un GENIO nel labirinto dei numeri

un GENIO nel labirinto dei numeri A colloquio con Giorgio Parisi, candidato al Nobel per la fìsica, maestro della «teoria del caos» un GENIO nel labirinto dei numeri ROMA ___ DAL NOSTRO INVIATO Voce lenta, frequenza acuta: «Va bene, venga domani. L'aspetto alle 12,05». Perché zero cinque? «Perché no?». Già, perché no? Dicono prenderà il Nobel entro i prossimi due anni. Dicono sia il più geniale fisico teorico italiano. Dicono sia un personaggio stravagante, umorale, scheggiato da silenzi improvvisi. Incontrarlo procura una specie di vertigine. Perché il suo mondo è fatto di numeri, equazioni, algoritmi che spesso non prevedono alcuna soluzione. Tecnicamente lui non fa altro che allinearli, moltiplicarli o dividerli tra loro, seguirli dentro ai meandri dei loro labirinti. I labirinti sono il nostro mondo e le sue (probabili) leggi. Le leggi procedono verso le loro temporanee verificabilità. Lui le incalza fin oltre quei tempi di quiete. Perché nel suo campo non ci sono soluzioni univoche, né definitive. Il suo campo si chiama Caos. Cioè la più complessa tra le teorie scientifiche, ma anche la più suggestiva. Perché ci parla di inconoscibilità, ci mostra il disordine (di cui siamo parte) dicendoci che il preteso ottimismo scientifico di una natura che viva in prossimità dell'equilibrio, non è mai stato vero. Lui si chiama Giorgio Parisi. Il caos ha a che fare (persino) con il suo aspetto e la sua stanza, la numero 110, Palazzo Fermi, università La Sapienza, primo piano. Permesso? «Prego». Giorgio Parisi, 50 anni,- è allampanato e serio. Indossa un giacca molle quanto uno scialle buttato sulle spalle. Un paio di jeans amaranto sdruciti, tenuti da una cintura che ha mancato gli ultimi tre passanti e che perciò sta di sghembo sulla camicia azzurra, la quale camicia, per metà è scivolata fuori dai calzoni. Tutta la sua espressione ruota attorno a un ciuffo che gli copre per metà gli occhi e che lui sposta con gesto lento, inclinando appe na la testa. Si è laureato nel '70 a Roma. Ha studiato alla Columbia University di New York e all'Ecole Normale Supérieure di Parigi. E' stato il più giovane scienziato ad accedere all'Accademia dei Lin cei, anno 1987. E' socio straniero dell'Accademia francese delle scienze. «Che paragone c'è tra noi e loro? Guardi, sulla fisica teorica o sullo studio delle alte energie, noi siamo messi piuttosto bene. Ma i francesi, come gli americani, hanno più soldi e ricercatori più giovani. L'età media dei nostri è di 47 anni, troppo... I numeri, per certi versi, hanno bisogno di menti molto elastiche e molto creative. Con l'età fai più fatica a infilarti nei labirinti...». Parisi ha mia moglie, una figlia, una casa in campagna. I suoi corsi sono sempre pieni di studenti che (a occhio) lo adorano e che (a occhio) lui adora. Un paio di loro - uno col codino, l'altro con la barbetta - entreranno nella stanza durante l'intervista («Prof., ho portato dei calcoli...». «Bravo. Falli girare al computer. Poi ripassa che li rivediamo»). Li accompagna alla porta, chiude, si ficca le mani in tasca, sospira: <(Ali, i conti... Ancora adesso, per rilassarmi a casa, mi metto a risolvere dei conti, o certe equazioni che sembrano semplicissime, ma possono avere anche 5 soluzioni, tutte teoricamente esatte... 1 numeri ti ripuliscono la mente e poi te la aprono». Pausa: «E' come guardare la neve». Prego? «La neve dei ghiacciai, quella luce, alla mattina molto presto... A me piace molto sciare, qualche volta ci vado. Scendere, risalire, stare dentro al silenzio, calcolare le traiettorie, creare quelle sinusoidi... Tutto molto fisico e contemporaneamente molto astratto, come piace a me». E sulla parola «astratto» chiude gli occhi come stesse immaginando il ghiacciaio, i numeri, quindi il suo lavoro. Anche se adesso ti dice: «Io tendo a non lavorare su problemi specifici, ma su applicazioni generali», si è occupato di fisica delle particelle, di energia, e per due anni pure di immunologia, studiando i sistemi di comunicazione tra i linfociti T e B nel sistema immunitario sregolato dall'Aids. Continua: «In realtà faccio quello che mi viene meglio, matematica astratta, sviluppando formalismi...». Sarebbe a dire? Cammina verso il centro della stanza, poi si volta, e guardando altrove dice: «Vuole sapere di cosa mi occupo esattamente! Di trovare, se esistono, delle regole dentro ai sistemi caotici. Di ipotizzare strumenti matematici in grado di prevedere lo sviluppo disordinato di cose molto complesse, come la meteorologia, i sistemi biologici, le proprietà dei materiali, il comportamento dei fluidi. Tutti campi dove agiscono talmente tante variabili da generare equazioni piuttosto complesse». Piuttosto, quanto? Parisi chiude gli occhi, scuote la testa, sposta il ciuffo. Tutto lentamente: «Non credo capirebbe... Sono equazioni seriali che gestisce il nostro calcolatore in grado di fare 25 miliardi di operazioni al se • condo. Le basta?». Vent'anni fa, dalle parti di Los Alamos, New Mexico, e del Santa Fe Institute, una pattuglia di giovani scienziati - fisici, matematici, biologi, astronomi - pensò una nuova teoria, la cosiddetta Teoria del caos, che cambiava radicalmente il punto di vista della scienza. Lavorava sulla «impredicibilità» degli eventi in quasi tutto quello che accade nella vita vera del mondo reale. Era, per qualcuno, la terza rivoluzione scientifica del XX Secolo: «La relatività - scrisse il fisico Joseph Ford nel suo What is Cahos - eliminò l'illusione newtoniana dello spazio e tempo assoluti; la teoria quantistica eliminò il sogno di un processo di misurazione controllabile; adesso il caos elimina la fantasia laplaciana della prevedibilità deterministica». E scrisse: dove comincia il caos si arresta la scienza classica. Lei condivide, professor Parisi? Silenzio. Poi dice: «In un certo senso, sì...». Poi dice «No...». Poi dice «Un momento, vediamo...». Si siede, chiude gli occhi: «No, non credo sia esatto. Perché in fondo la scienza è sempre andata di crisi in crisi. Il suo modo di procedere è seguire una via fino a incontrare ostacoli che mettono in discussione tutto il percorso precedente. Allora si cambia direzione, sapendo però che tutto il vecchio percorso era necessario per imboccare il nuovo. La Teoria del caos non fa eccezione». Quello che prima la scienza non ammetteva - il cosiddetto effetto farfalla: «il battito d'ali di una farfalla nel Golfo del Tonchino potrebbe determinare un temporale a New York» - diventa il fondamento della Teoria del caos: piccolissimi mutamenti iniziali producono grandi effetti (inattesi) finali. L'obiettivo è sempre lo stesso: «Capire il mondo. Indagare le strutture della natura». La fisica tradizionale sa cosa accade in una molecola d'acqua. La teoria del caos prova a misurarsi con le reciproche in terazioni tra milioni di molecole. La geometria euclidea descrive triangoli e quadrali. La Teoria del caos usa i frattali - numeri non interi visualizzabili al computer - per descrivere; forine assai più complesse, come il ramo di un albero, il litorale di costa, il fumo ascendente di una sigaretta. La natura forma strutture: alcune ordinate nello spazio, ma disordinate nel tempo, altre ordinate nel tempo, ma disordinate nello spazio. «Quello che io faccio - racconta Parisi - è allestire differenti cassette di attrezzi per forzare la serratura delle cose. Capire come funzionano i meccanismi intrinseci». Ed è solo in un secondo momento che entrano in scena i supercalcolatori. «In effetti sono loro ad avere reso possibile la teoria del caos. Senza la loro capacità di eseguire milioni e milioni di operazioni necessarie, non sarebbe mai stato praticabile l'approssimarsi alla verifica delle ipotesi teoriche». Ma occuparsi della comples¬ sità del mondo, avere a che fare quotidianamente con quelli che i tisici chiamano «problemi profondi», quanto e come cambia la vita di tutti i giorni, e la sua ardua semplicità? Parisi ascolta con aria svagata la domanda. Si alza (facendo cascare la sigaretta accesa) cammina, si ferma. «Dov'è la mia sigaretta?». La trova. Dice: «Vita quotidiana? 11 problema è che talvolta perdo un po' la bussola... Sono distratto. Vede, in realtà io lavoro molto, otto, nove ore al giorno, poi devo dormire un po' al pomeriggio, devo viaggiare per questioni scientifiche, devo leggere molti messaggi via e-mail, rispondere... Non ini resta molto tempo... Vediamo: la mia passione è un piccolo campo che coltivo a granturco...». Un campo a granturco? «Piccolo piccolo». E allora? «E' un campo che io curo nel tempo libero. E che avrei dovuto innaffiare con regolarità...». Come tutti i campi, del resto. «Già. Solo che non l'ho fatto. E il mio raccolto è andato perduto: tutto secco». Bene, e che altro? «Che altro cosa?». Che altro a? «Oh. Leggo molta storia. Hobshawm, per esempio, oppure la storia dei mercanti veneziani, non ini ricordo il titolo, oppure dei saggi di biologia... Oppure Kant... Leggo molta roba così». V. pensa mai a Dio? «L'ho fatto, sì... Ne ho discusso » lungo con un teologo. Poi ho smesso, perche in fondo non si tratta di un problema affrontabile razionalmente... Prendiamo il suo fondamento: la nascita del inondo. Esistono solo dui; possibilità: o pensiamo che l'universo abbia una spiegazione in se stesso, oppure chi! abbia la necessità di una spiegazione al ili fuori di se stesso. Solo nella seconda ipotesi la soluzione è Dio». Lei in quale crede? «Alla prima. Vede: le due soluzioni sono ugualmente rispettabili, lo penso che quando Laplace disse: Dio è un'ipotesi non necessaria, usò un modo arrogante di presentali! le cose. Uni non si tratta di provare una cosa o l'altra...». Scusi, ma se si dimostrasse una volta per tutte l'origine dell'universo, quei primissimi istanti... Parisi chiude gli occhi, sta pensando e la domanda lo sfiora appena: «Come dice? Oh, i primissimi istanti... Pongono una questione paradossale: cosa è accaduto prima che iniziasse il tempo? Nessuna questione è così radicale: cosa c'è prima che inizi il prima e il dopo? E' un problema profondo, di cui non sappiamo ancora nulla...». Apre gli occhi, riprende il filo: «Ma neppure questa e la strada perché non è la risposta scientifica a eliminare l'ipotesi di Dio. Un giorno il teologo mi spiegò che secondo la dottrina, anche il miracolo è un evento compatibile con le leggi naturali, in cui il credente vede il segno di Dio. Quindi nemmeno serve che il miracolo sia una violazione della raziona¬ lità. Ripeto non si tratta di dimostrare una cosa o l'altra perché tra fede e razionalità non c'è contrasto, semplicemente stanno su due piani differenti, la prima e solamente soggettiva, la seconda oggettiva». C'è una speciale iridescenza nel personaggio di Giorgio l'arisi, il suo parlare, dentro all'ordine caotico di questa stanza che annovera un grande Apple (collegalo a tutto il mondo dei numeri futuri) e un piccolo termometro galileiano (segno di un passato remotissimo) che ti spinge verso l'ingenuità di domande ultime, tipo: dove va la scienza, quanto durerà ancora il mondo, per quale equazione finale siamo nati, cose così. Parisi (per la prima volta) sorride: «Ah, no, non laccio il filosofo. Ho piccole competenze su grandi problemi e in un certo senso grandi competenze su piccoli problemi». Di leggi generali dice - ne conosce pochissime, comprese quelle di cui si nutre il caos, distruggendole. Ancora un sorriso: «Rè se vuole ce n'è una, generalissima, che è molto più interessante di quanto si creda. Non esiste alcun numero, per quanto grande lo si possa scrivere o immaginare, che moltiplicato per 0 dia 1. Il tutto per il nulla, dà il nulla. Istitutivo, non crede?». E stavolta Parisi - ciuffo, occhi chiusi, sopracciglia alzate non sta parlando affatto di matematica. Pino Corrias Corpo a corpo con formule che spesso non prevedono alcuna soluzione: lui allinea, moltiplica e divide, con l'aiuto di calcolatori da 25 miliardi di operazioni al secondo Ha cinquantanni è il più giovane scienziato ad essere stato accolto nell'Accademia dei Lincei // suo mondo è fatto di equazioni e frattali: «I calcoli ripuliscono la mente e poi la aprono. E' come guardare la neve» un GENIO Il matematico Pierre-Simon de Laplace; a destra Giorgio Parisi Accademico dei Lincei e docente dell'università La Sapienza. Un'immagine dei frattali. non interi visualizzabili al computer e usati dalla teoria del caos

Luoghi citati: New Mexico, New York, Parigi, Roma, Santa Fe