«Patemi ancora un'occasione»

«Patemi ancora un'occasione» IL CASO LA RAGAZZA CHE NESSUNO VUOLE SALVARE Incontro nel «reparto detenuti» alle Molinette: «Sono stanca di buttare via la mia vita» «Patemi ancora un'occasione» «Voglio chiudere con ilpassato» LTORINO A violenza, la ribellione, l'asocialità e l'autodistruzione abitano una cella del repartino detenuti delle Molinette. Se ne stanno sdraiate nel letto al di là delle sbarre, hanno volto scavato, occhi lucidi, braccia esili come grissini. Ecco Tamara, la ragazza anoressica, bulimica, sieropositiva e drogata, la «rapinatrice con la siringa» che da 7 mesi e mezzo è rinchiusa in questo luogo in cui s'assommano le solitudini e le tristezze dell'ospedale e del carcere. Un luogo che non è né ospedale vero né carcere, che da entrambe le istituzioni pare aver preso solo il peggio. Posto temutissimo dai reclusi, chi ha la sventura di soggiornarvi rimpiange ben presto la prigionia normale dove almeno c'è il conforto di un minimo di socialità, di comunicazione con l'esterno, di quotidiane passeggiate sotto il cielo garantite dall'ora d'aria. Tamara è la venticinquenne «ragazza che nessuno vuole salvare», l'hanno dimenticata qua dentro, per lei in più di sette mesi i giudici non sono riusciti a trovare una comunità che la segua nell'impervio cammino verso il ritorno a una vita degna d'essere vissuta. Quel ritorno intrapreso già altre volte e sempre fallito. Solamente per colpa di Tamara che, pendolare della galera, ha bruciato ogni libertà ottenuta dai magistrati con nuove rapine per procurarsi i soldi del buco giornaliero. «Però, adesso basta, voglio chiudere con il passato. Sono stanca di buttare via la mia vita, mi sia concessa ancora un'occasione». Tirandosi faticosamente su, sistemando il cuscino sotto la schiena, Tamara parla con la senatrice di An, Maria Grazia Smquini, che, colpita dall'appello pubblicato ieri da «La Stampa», è andata nel repartino. Questo pallido fagotto di pelle e ossa ridotto dall'alleanza di anoressia e bulimia a trentacinque chili e mezzo ignora che il giornale s'è interessato a lei, però non mostra sorpresa per la visita della senatrice. Strano davvero: chissà, forse l'imperturbabilità è figlia della malattia dato che in questo universo del silenzio, della sohtudine, delle ore tutte uguali, qualsiasi novità, anche la più insignificante, dovrebbe essere accolta da meraviglia, eccitazione. Comunque, non immaginatevi in Tamara l'abulia, la confusione mentale. Anzi, è ben lucida, ha ancora il dono dell'ironia, scherza«continuando così finirò per diventare invisibile. Forse, tutto sommato, non è un male, potrò finalmente filarmela». La Siliquini s'informa sulle cure, la ragazza risponde: «Sonniferi, tranquillanti, antidepressivi. Me ne hanno dati a carrettate. In compenso non mi danno da mangiare, dicono che è inutile, che intanto poi vomito tutto e dunque...». «Chi lo dice?» domanda la senatrice. La risposta: «Gli infermieri. Ancora l'altro giorno mi sono lamentata per la pochezza del vitto, hanno ripetuto che per saziarmi dovrebbero passarmi il triplo di cibo e sarebbe lo stesso uno spreco, che se dovessero darmi quanto voglio manderei in fallimento le Molinette. E' vero, ho sempre fame, una fame tremenda. Ma, solo mangiando riesco a calmarla, e di conseguenza calmo me stessa... Certo, è vero che vomito. E' la malattia che nessuno mi cura». «Ti hanno portata qui perché in carcere, alle Vallette non c'era una struttura medica, il repartino esiste proprio perché i detenuti bisognosi di terapie vengano seguiti come se fossero in ospedale». Tamara ascolta la Siliquini, annuisce: «Ma io il medico non lo vedo mai. Cioè, lo vedo al mattino, due minuti, quello che fa il giro dei reclusi. E basta. Niente psichiatra, niente medicine, solo sedativi...». La ragazza «che nessuno vuole salvare» assomma in sé i problemi della tossicodipendenza e del disagio psichiatrico chiamato anoressia. Malattia e malefatte, ossia le rapine, l'hanno sprofondata in questo gorgo. In passato aveva girato alcune comunità. Dove la ricordano bene, ne parlano come di un ciclone di violenza, di una ribellione totale, anche alla più elementare convivenza. Per definirla, un sostantivo «flagello», tre frasi: «Fa sempre e unicamente ciò che vuole, gli altri per lei non esistono». Gior¬ ni, settimane di ricovero e terapie finiti tutti allo stesso modo: la fuga, il ritorno alla droga, le rapine. «Se non sbaglio devo "farmi" quattro anni, un processo non è ancora finito... Però, se in passato ho rifiutato tutte le opportunità, ora no, sono dispostissima ad andare in una comunità, a seguire qualsiasi programma di recupero. Mai avuta questa determinazione, so che è la mia ultima occasione. Sempre che me la diano. Guardi, senatrice, uscire di qui, trovare ospitalità in un posto dove mi curino davvero, sarebbe un miracolo. Capisco che i giudici non si fidino più di me, che è già un regalo grosso così se mi mandano in comunità con la formula degli arresti domiciliari. Malgrado tutto quanto ho passato e sto passando qui ho ancora la forza di illudermi che ce la farò». La visita è agli sgoccioli. Tamara è a poco a poco scivolata sotto le coperte, sporgono solo il mento affilato dalla malattia, il volto emaciato. Tende il braccìno, consegna alla Siliquini una lettera «per la mia famiglia, per mio cugino, che è medico, viene a trovarmi ma anche lui non è riuscito a ottenere cure vere...». Un sorriso: «Non mi dimentichi, faccia sapere che sono stanca di maltrattare la mia vita, l'ho già buttata via abbastanza». Parole vuote, promesse da marinaio? Mah, forse no perché i passati tentativi di rinascita erano sempre stati derisi, rifiutati da Tamara. Lo racconta la madre. Una madre che assiste da lontano la figlia «Non vuole vedermi, mi odia. Quanto me ne ha combinate, lei e i suoi amici drogati, per evitarli ho dovuto addirittura cambiare casa, vivo da clandestina nella mia Torino. Però, nonostante tutto è sempre la mia Tamara, da mesi lotto invano perché le sia concessa ancora una chance, perché provino ancora a curarla. Mia figlia è malata sin dall'adolescenza, però aveva un lavoro, era estetista. Poi, l'eroina l'ha rovinata. Tamara ha solo un futuro: il recupero o la morte, come un cane, per strada o su una panchina, con l'ago infilato nella vena». Parole tremende di una storia tremenda scritta dalla violenza, dalla malattia, dall'autodistruttività. Claudio Giacchino Continuando così finirò per diventare invisibile. Forse non è un male potrò finalmente filarmela. Vìvo a sonniferi e antidepressivi Trovare ospitalità in un posto dove mi curino davvero sarebbe un miracolo Voglio seguire ogni programma di recupero Sotto, Maria Grazia Siliquini senatrice di An In alto a sinistra l'edificio che ospita il repartino delle Molinette A lato, detenuta dietro le sbarre

Persone citate: Claudio Giacchino, Maria Grazia Siliquini, Maria Grazia Smquini, Siliquini

Luoghi citati: Torino