«Non so nulla, dimenticatemi»

«Non so nulla, dimenticatemi» «Non vedo i miei familiari dall'89 e non li ho mai cercati. Spero che siano vivi» «Non so nulla, dimenticatemi» Ferdinando Carretta racconta la sua verità RITORNO DAL MISTERO LONDRA DAL NÒSTRO INVIATO «Ferdinando aveva solo voglia di lavorare, non faceva male a una mosca...», sembra stupito il responsabile dell'agenzia di pony express della City, dove Ferdinando Carretta ha lavorato fino a quattro giorni fa. Quando l'Interpol aveva già bussato alla sua porta, quando sembrava ad un passo la soluzione del mistero della famiglia Carrettta scomparsa nel nulla nove anni fa, quando a Panna i magistrati già pensavano di preparare l'ordine di cattura internazionale, chiedere l'estradizione e interrogare questo giovane di trentasei anni, qui a Londra da quando ne aveva ventisette, da sempre sospettato di sapere molte cose della sparizione dei suoi famigliari. «Ma io non so niente. Non li sento da allora. Non so nemmeno dove siano finiti, forse in Sud America...», si difende Ferdinando Carretta. E al cronista della «Gazzetta di Parma», ripete ancora una volta quelle frasi dette ai funzionari dell'Interpol che solo una settimana fa avevano bussato alla porta della sua villetta con i mattoni rossi alla periferia di Londra, quartiere di indiani e pakistani. «Io non ho (alto nulla di male, voglio solo essere dimenticato, rispettate la mia privacy», chiede di nuovo il silenzio Ferdinando Carretta, missine) dall'agosto dell'89, quando fa perdere le sue tracce. Quattro giorni dopo la scomparsa di suo padre Giuseppe, di sua madre Marta Chezzi e di suo fratello Nicola, partiti con il camper per le ferie in Nord Africa, arrivati chissà dove. E con il motor home abbandonato in via Aretusa a Milano, dove lo troveranno a novembre le telecamere di Chi l'ha visto? e. l'allora sconosciuto magistrato Antonio Di Pietro. «L'unica cosa illegale che ho fatto è stata solo portare via dei soldi, quei due assegni», ammette Ferdinando Carretta. Che per la prima volta non nasconde, ma senza spiegare, perchè pochi giorni prima di sparire lui stesso, sia andato in una banca di Panna con quei due assegni, totale sei milioni, con la firma falsa del padre e del fratello. «Quei soldi mi servivano per arrivare qui a Londra», si giustifica. Come se bastasse questo per interrompere la catena di sospetti e il convincimento dei magistrati giù a Parma, che dal momento della ricomparsa di Ferdinando Carretta stanno studiando la strategia per affrontare il caso, se emettere un ordine di cattura internazionale, se far partire da subilo la richiesta di estradizione. «Stiamo aspettando informazioni e carte dall'Italia», conferma Mark Steels, uno dei funzio¬ nari del National Criminal Intelligence Service, l'Interpol qui a Londra. «Non possiamo dire di più, solo allora saremo in grado di avere le idee più chiare», prende tempo anche mr. Steels, ora che spetta all'Italia l'ultima mossa. «Ferdinando Carretta è un uomo libero. Non c'è alcun mandato di cattura, non posso dire altro», fa muro Francesco Saverio Brancaccio, il magistrato di Parma che da nove anni cerca di dipanare il bandolo della matassa e ancora pochi giorni fa, nemmeno sapeva se qualcuno della famiglia Carretta fosse ancora vivo, magari ai Tropici. Come diceva quella leggenda in città, che dava i Carretta su una spiaggia ai Caraibi, a godersi chissà quali miliardi, trafugati dai fondi neri della vetreria in cui lavorava il capofamiglia. Una fantasia, quella dei miliardi. Sicuramente una fantasia per Ferdinando, spedizioniere, poi pony express qui a Londra. Con annesso modello UB 40, quello dei sussidi di sostentamento del governo inglese, chiesti sin dall'autunno della fuga. «Mi sono arrangiato a lavorare, ho degli amici, mi trovo bene, mi sento un inglese sotto ogni punto di vista. Lasciatemi perdere, me ne sono andato per problemi miei. Quando leggendo un giornale italiano, mesi dopo ho scoperto che era scappata anche la mia famiglia, mi è venuto un colpo», è il suo ritornello. Una versione da cui non si scosta da dieci giorni, dal momento del primo faccia a faccia con l'Interpol. Quello arrivato dopo la scoperta casuale di un Bobby zelante, che a un controllo antiterrorismo ferma la moto Suzuki nera del giovane, chiede i documenti e quando si sente rispondere in quel modo sicuro - «Sono Antonio Ferdinando Carretta, nato a Parma» - non si accontenta delle generalità snocciolate in pochi attimi. E controlla al terminale di Scotland Yard. «Quando la polizia si è presentata nel mio ufficio, ho capito che qualcosa non andava», racconta il responsabile dell'agenzia di pony express della City. «Ma poi Ferdinando mi ha telefonato e mi ha spiegato che lo cercavano, solo perchè un tempo era scomparso», spiega ancora il suo capoufficio. Una versione buona per il posto di lavoro. Dove lo ricordano come una persona riservata, al pub solo qualche venerdì sera, a casa una donna, forse una moglie, magari dei figli. «Ma no, qualche ragazza...», precisa Ferdinando Carretta. Come se bastasse questo, come se con qualche frase di rito, si potesse chiudere un sipario aperto dal 4 agosto 1989, quando Giuseppe Carretta, sua moglie e il figlio minore svaniscono chissà dove. Della scomparsa dei suoi genitori e di suo fratello, Ferdinando Carretta dice di non sapere nulla. All'Interpol adombra addirittura l'ipotesi che quei due assegni gli siano stati lasciati per depistare le indagini, per far cadere la colpa su di lui. E farlo diventare il capro espiatorio di tutta la vicenda. «Stiamo verificando», non dicono altro gli inquirenti che da Parma da giorni fanno la spola con Londra. E ancora non sanno cosa risponderà Ferdinando Carretta di quella pistola Walther calibro 6 e 35 acquistata pochi mesi prima di quell'estate dell'89, «l'ho buttata in un canale». E ancora non hanno potuto chiedergli perchè in questi nove anni, non si sia sentito in dovere di fare almeno una telefonata, magari solo agli altri parenti rimasti a Parma. «Se il signor Carretta voleva scomparire, a Londra non gli è stato difficile. Ci sono novantamila italiani nella metropoli, nessuno ha l'obbligo di registrarsi», spiegano all'ambasciata di Three Kings Road. Ma ancora nessuno sa, perchè Ferdinando Carretta abbia deciso di lasciare precipitosamente Parma, pochi giorni dopo la scomparsa dei suoi genitori e di suo fratello. Fabio Potetti «Fuggii perché avevo problemi psicologici Solo mesi dopo scoprii che loro erano scappati» Vive in un monolocale in affitto: «A Londra ho sempre lavorato facendo vita da recluso» camper dei Carretta ritrovato a Milano tre mesi dopo la scomparsa della famiglia parmense