« Vito non aveva mai toccato un'arma» di Fulvio Milone

« Vito non aveva mai toccato un'arma» « Vito non aveva mai toccato un'arma» Il fratello del contrabbandiere ucciso: voglio tutta la verità LA FAMIGLIA DELLO SCAFISTA BRINDISI DAL NOSTRO INVIATO Lo chiamano il Villaggio dei pescatori: casette basse, pulite e bianche che si affacciano sul mare piatto, alla periferia di Brindisi. Ogni costruzione ha il suo terrazzino con i panni stesi ad asciugare e i vecchi che aggiustano le reti. Ma da anni alcuni di questi marinai hanno scelto un altro mestiere, pericoloso ma più remunerativo: il contrabbando di sigarette. Da timonieri di pescherecci si sono trasformati in scafisti, spericolati piloti che a bordo di bolidi dell'acqua fanno la spola fra le coste pugliesi e quelle dell'ex Jugoslavia. Tra questi c'era anche Vito Ferrarese, morto a 46 anni in una notte di primavera di tre anni fa a bordo di un motoscafo. Ucciso da Francesco Forleo, dice il giudice che ha fatto arrestare il questore di Milano. «Era ora che succedesse, qui tutti sapevano la verità», sbotta Gino Ferrarese, fratello di Vito, seduto nel salottino della sua casa accanto alla sorella Maria e ai genitori i Armando e Giuseppina Sapevate che l'ex questore di Brindisi aveva ucciso Vito? «Queste no, sono rimasto sorpreso quando ho avuto la notizia. Ma tutti davano per certo che mio fratello era stato ammazzato dai poliziotti, e che quelli della questura avevano organizzato una sceneggiata per non passare un guaio. Hanno fatto credere che era stato Vito a sparare per primo, ma non è vero». Cominciamo con il racconto di quella notte? «Pensi che Vito non doveva neanche trovarsi sul motoscafo. Non lavorava quella notte, era rimasto bloccato sull'altro lato dell'Adriatico perché i traghetti per Brindisi erano in sciopero. Chiese un passaggio a due suoi amici scafisti, loro presero a bordo. Non l'avessero mai fatto. Il resto della storia me l'ha raccontata un amico che da Brindisi era in contatto radio costante con la barca. Mi ha detto che all'improvviso scoppiò il finimondo, che sentiva mio fratello e gli altri due gridare terrorizzati: "L'elicottero, l'elicottero si abbassa. Ma che fanno, sono pazzi, sparano". Mi ha detto anche che attraverso l'altoparlante si sentivano dei botti, mentre le voci si facevano sempre più concitate: "Stanno sparando. Madonna mia, le bombe"». Chi l'ha avvertita della morte di Vito? «Il mio amico mi chiamò, ma non ebbe il coraggio di darmi subito la notizia. "Corri al molo Sant'Apollinare. E' successa una cosa brutta", e io andai. Non trovai nessuno, allora mi rivolsi alla Finanza: pensavo che Vito fosse stato arrestato o feri¬ to dai finanzieri perché sono loro che di notte cercano i contrabbandieri in mare. Non potevo immaginare che c'era di mezzo la polizia». Dov'era suo fratello? «In ospedale. C'erano guardie ovunque, ma nessuno rispondeva alle mie domande. La verità l'ho saputa da un medico. Due giorni dopo ho letto tutte le infamità scritte sui giornali. Dicevano che Vito e i suoi amici avevano sparato per primi, che sul motoscafo era stata trovata una mitraglietta. Cose da pazzi. Mio fratello non ha mai toccato un'arma. Tutti qui sanno che Vito aveva paura delle pistole, figuriamoci di un mitra. Era un contrabbandiere, non lo nego, non un assassino. Cliieda in tutto il quartiere: mai e poi mai avrebbe sparato». Si è mai rivolto ai magistrati? «Sono andato dal giudice e gli ho detto che la questura aveva imbrogliato le carte. Non mi ha neanche ascoltato. L'inchiesta è stata archiviata pochi mesi dopo la morte di mio fratello, a febbraio. Sapevamo che sarebbe finita così». Perché? «E me lo chiede? A chi vuole che creda, un giudice: alla parola di un poliziotto o a quella dei parenti di mi contrabbandiere morto?». Poi il caso è stato riaperto. «Già. Quando l'avvocato ce lo ha detto siamo rimasti stupefatti. Il questore di Brindisi l'assassino di Vito... Chi poteva immaginarlo? Per la verità da queste parti si sapeva che qualche agente non si comportava da vero poliziotto». Sarebbe a dire? «Circolava mi nome, quello di Filomena (l'ex ispettore Pasquale Filomena, in carcere dall'ottobre scorso per associazione mafiosa e ora accusato di aver fatto mettere il mitra nel motoscafo, ndr). Ma questa è un'altra storia, a me interessa sape¬ re tutta la verità sulla molle di Vito, un omicidio in piena regola». Non ha mai pensato che suo fratello o mio dei suoi due amici fosse davvero armato e abbia sparato per pruno? «Non diciamo sciocchezze. Forleo non è accusato da contrabbandieri, ma da due suoi colleghi. Hanno detto o no che dal motoscafo non è partito neanche un colpo?». Da quanto tempo Vito era uno scafista? «Da nove aiuii. Prima aveva lavorato come marinaio a bordo del panfilo di una persona molto nota in Puglia. Prima ancora era imbarcato su un mercantile. Lavori duri e pagati poco, ma sicuramente più tranquilli». Avrebbe potuto continuare, non le pare? «Io non voglio giudicare mio fratello, né permetto ad altri di farlo. Ma ima cosa è certa: Vito non meritava di morire così, ammazzato come un cane con un colpo alla testa. Chi l'ha ucciso la pagherà cara». Fulvio Milone «Quella notte un amico mi chiamò. Aveva sentito via radio: "La polizia spara"» «Al giudice dissi che la questura ha imbrogliato le carte. Non mi ha creduto» Accanto: Gino Ferrarese, fratello del contrabbandiere ucciso tre anni fa

Persone citate: Forleo, Francesco Forleo, Gino Ferrarese, Pasquale Filomena, Vito Ferrarese