Questionario per Kabila a Roma e in Vaticano di Domenico Quirico

Questionario per Kabila a Roma e in Vaticano Questionario per Kabila a Roma e in Vaticano OTTENERE la fine delle ostilità nell'Est del Congo, circoscrivere l'incendio che sta sconvolgendo la geografia politica e territoriale della zona dei Grandi Laghi, assicurare l'integrità territoriale dell'ex Zaire, un gigante che rischia di trasformarsi in una replica della Somalia moltiplicata per mille: è lunga e impegnativa l'agenda degli incontri romani del «padrone» del Congo, Laurent Kabila, che oggi incontra Scalfaro e il Papa. Kabila è un personaggio simpatico: ha la bonomia di un vecchio zio saggio e la crosta di carisma che è appiccicata addosso ai rivoluzionari degli Anni Sessanta. Ma è anche un politico che mescola cinica furbizia e astuzia da fiera. Da tempo gli applausi che avevano accompagnato la marcia su Kinshasa non accarezzano più la sua epidermide. Sembra passato un secolo da quando l'africanista Basii Davidson assicurava che la sua vittoria era «una buona notizia» perii Continente. La metà ricca del Paese è nelle mani degli ex alleati ruandesi trasformatisi in nemici mortali, il suo regime sopravvive solo sulla punta delle baionette di alleati esigenti e famelici come Angola e Zimbabwe. In Europa Kabila cerca alleati disposti a dargli credibilità politica e denaro in cambio delle immense ricchezze minerarie nascoste nel sottosuolo. Non bisogna accontentarsi dei minuetti della Realpolitik economica e diplomatica. Kabila è stato testimone e complice di atrocità che certamente avrebbero meritato l'interessamento degli sbalorditi accusatori di Norimberga. E' questa l'occasione per chiedergli conto di questi sanguinosi misteri. Ad esempio: fornire notizie su decine di migliaia di cadaveri, rifugiati hutu, che le sue milizie, operando come solerti alleati degli squadroni della morte tutsi, hanno abbandonato nell'omertà delle foreste che vanno da Goma al grande fiume Congo. E' uno spaventoso genocidio (duecento, trecentomila persone?) di cui non si conosce l'entità numerica ma per cui ci sono denunce, particolari, prove. Non bisognerà accontentarsi della cantilena con cui Kabila ha respinto qualsiasi indagine delle Nazioni Unite: «è tutta una congiura imperialista intemazionale». E' il momento di tirar fuori dai cassetti i dossier dell'Onu, delle organizzazioni umanitarie, dei missionari. Che cosa è realmente successo, ad esempio, a Mbandaha, dove migliaia di rifugiati sono stati gettati in fosse cornimi? Dove sono finiti i vecchi, le donne i bambini hutu rastrellati nei tenitori «liberati» e consegnati ai loro carnefici tutsi, decisi a pareggiare il conto mostruoso della pulizia etnica? Non è forse vero che migliaia di corpi sono stati cremati per cancellare le tracce, e i testimoni sono stati minacciati torturati uccisi? Ma non c'è solo questo. Come l'unica cosa che assomiglia perfettamente al Polo Nord è esattamente il suo opposto, cioè il Polo Sud, Kabila è la replica di Mobutu. Anzi, quando a Kinshasa regnava il grottesco regime del Grande Leopardo il capo dell'opposizione Etienne Tshisekedi, bene o male, guidava • l'opposizione e faceva politica. Come mai oggi, dopo la rivoluzione, tutti i partiti sono vietati e Tshisekedi è stato malmenato e incarcerato? E la corruzione è così penosamente simile al passato? E le spese faraoniche? E la svendita delle ricchezze minerarie? 0 bisognerà aspettare che un giudice Garzón in qualche parte del mondo si ricordi che ci sono anche i dittatori, vecchi e nuovi, d'Africa? Domenico Quirico icoj