«Le nostre case di ghiaccio» di Pierangelo Sapegno

«Le nostre case di ghiaccio» Tra la gente che vive nei containers di Colfiorito: dormiamo nei materassi bagnati, il tempo e la terra sono una condanna che ci perseguita «Le nostre case di ghiaccio» «Usiamo ilphon per aprire le porte» L'INVERNO DEI TERREMOTATI COLFIORITO DAL NOSTRO INVIATO Le pantofole verdi le ha messe vicino alla stufa. Bolle la minestra di verdura. E' l'atta con l'acqua minerale. Sbirciando fuori dalla finestra, si vedono tanti vecchi. Due bambine fanno i chierichetti. Lei tossisce mentre cerca di far vedere il materasso, «guarda si bagna tutte le notti d'umidità», e lo rivolta e lo strizza negli angoli. «Forse noi piangiamo troppo», dice Frasina Magini. Qui dentro al container adesso fa caldo da rifocillarsi Si sento il fischio del vento. La polvere di neve offusca la finestrella. Giù in basso, nel viale Baden Powell, comincia la Messa, al campo di Colfiorito. «Ma è il tempo che ci fa paura, voi non potete capire. Il tempo e la terra, o come la terra. Sembra una condanna che ci perseguita», dice Frasina Anche il parroco, nell'omelia, quando ricorda il terremoto lo abbina al tempo: «Ve lo ricordate, quando vennero le prime scosse, faceva un buio ch'era fisico, che andava oltre alla notte e ai suoi colori, era un buio di tragedia, era un buio terribile». Forse non è mai passato quel buio. Anche l'altra notte quando e arrivata la bufera, la terra ha tremato di nuovo. Epicentro, Annifo. Frasina accende il fuoco. Prima bestemmiava perché adesso sono rimasti senz'acqua. Il freddo ha ghiacciato le condotte. Sua figlia Sandra ha dovuto truccarsi alla buona: due righe sopra gli occhi un po' gonfi. A Colfiorito è come se il tempo fosse tornato indietro. Dice Magina: «Come se qualcuno ce l'avesse con noi». Quando siamo arrivati quassù, non veniva ancora l'alba e il campo profughi di Colfiorito era un villaggio di dolore schiacciato dal vento. Se nevicava non si può dirlo, perché forse era solo la bufera che sollevava mulinelli di fiocchi. La macchina slittava passando davanti alle case ancora sfregia- te. Le porte dei containers cigolavano. Le ruspe avevano ammucchiato la neve agli incroci. Un paesaggio spettrale, che cominciava da sotto, da Casenove, con i ponteggi della ricostruzione tutti ricoperti di neve, i semafori che ballonzolavano, l'Alfa della Stradale che saliva lentamente, la radio che annunciava la chiusura della statale 77 dal chilometro 19. «Per aprire le porte ghiacciate, l'altra mattina abbiamo dovuto usare il phon», ricorda adesso Carlo, poggiando la pala sulla spalla. Maurizio Angeli e Balduino Cantarmi stanno nel capanno della Croce Bianca. Spiegano che con questo tempo, «si gela l'acqua e si gelano gli scarichi. Non c'è solo il vento, c'è anche il ghiaccio. Ma l'uomo non ha colpe». Anche se Rolando Pinacoli, il sindaco di Gualdo Tadino, ha minacciato: «Questo dev'essere l'ultimo inverno passato dentro i containers. Ci dev'essere una mobilitazione generale per far sì che nel '99 tutti possano tornare a casa». Solo che invece la situazione è questa, informa Lino Loreti, presidente del Comitato Partecipativo di Zona: «Quest'inverno è molto più freddo dell'anno scorso. L'anno scorso aveva nevicato una volta il 26 ottobre, e poi basta. Quest'anno le gelate hanno già fatto da sole un mucchio di danni. Ma dall'anno prossimo la ricostruzione sarà avviata. In Friuli era partita tre anni dopo. Le cose possono andare avanti bene, se il cielo e la terra smettono di perseguitarci. Fra un anno, però, solo metà degli sfollati potrebbe rientrare nelle case». Così anche Loreti guarda in alto. L'altro giorno persino i soccorsi sono rimasti bloccati per strada, nella tempesta di neve e di vento, racconta Giovanni Mancini. E Alessio Fedeli è passato con il trattore a prendere Sandra e Freda e Beppe e portarli al lavoro, al caseifi¬ cio di Caponero. Ci si mette due ore di più, ma è l'unico modo per arrivarci. «Angela invece non è venuta perché doveva badare al vecchio», ricorda Sandra. Con questo freddo, i vecchi sono quelli che rischiano di più. A Colfiorito ci sono 64 containers. E' un villaggio di Natale, tenuto per bene, anche se martoriato dal tempo. E' un freddo cattivo, questo. Fanno male i piedi. Bisogna batterli per terra. E allora la signora Frasina apre la porta, quando viene la luce del giorno. Il numero, non ricordo. Sulla targhetta però c'era scritto: Martuferio Vincenzo. Tutt'intorno le strade ritagliate fra i containers si chiamano via Fortuna, via Speranza, via Amore, via dell'Allegria, e i volontari della Croce Bianca fanno sorrisi e anche il parroco fa un sorriso spiegando la Messa ai chierichetti nella baracca con la campana di fuori: «Oggi bisogna fare in fretta, perché c'è da lavorare. Dobbiamo accettare quello che viene dal cielo». E' venuta giù tanta neve come non era più suc- cesso, e la neve, diceva il profeta Isaia, «prima di tornare al cielo deve fecondare la terra». Solo che adesso il vento la alza come polvere che brucia sul viso. I containers sono scatole di latta lunghe e strette che sembrano ballare quando il vento fischia come questa mattina. I mucchi di neve sono alti come questa Panda blu ferma davanti al capanno di Martuferio. Frasina cerca di spiegare la sua vita, per far capire la maledizione che li perseguita. «Forse piangiamo troppo», continua a dire. Sua figlia Sandra, seduta dietro al tavolo, le dice: «Tu non piangere». Ma questo freddo, questo ghiaccio, sarebbe niente, «se avessimo una casa, se avessimo la nostra casa». Nel container, hanno messo una grande fotografia di montagna all'ingresso. Sul fornello, la minestra, due patate bollite, e mi pezzetto di carne: «Il mangiare non ci manca». Le stufe 4 stagioni De Longhi. Lo sposo di Sandra non c'è, è arrabbiato «perché in 4 qui è dura fare marito e moglie, mi capisce?». Due immagini della Madonna in camera di letto. Una targa di merito della Chiesa per Vincenzo, «mio marito». La lavatrice praticamente regalata da Merloni, «pagata solo 80 mila. E anche la tivù l'abbiamo pagata poco»: è grande quasi come la lavatrice. «La nostra era una casa piccola», dice Frasina, «chissà se vivrò a lungo per ritornarci. Era 60 metri quadri, l'avevamo tirata su io e mio marito. Siamo operai, abbiamo tribolato tutta la vita per quella casa. Quattro volte il destino ci aveva rotto tutto, poi alla fine ce l'avevamo fatta». Sandra le dice: «Non piangere». Frasina è vecchia, «ma sapete che cosa vuol dire questo terremoto che non finisce mai? E' come se volesse ammonirci sempre, perché abbiamo osato troppo, è una tortura dentro che ci ripete: voi no, voi non potete». Pierangelo Sapegno I ponteggi della ricostruzione sono coperti dalla neve «Fra un anno solo la metà degli sfollati potrà riavere un tetto» Accanto: uno dei villaggi dei terremotati ricoperti dalla neve. A sinistra: la basilica di Assisi

Luoghi citati: Friuli, Gualdo Tadino