«La lotta contro i Grandi per me è come il Viagra» di Gabriele Romagnoli

«La lotta contro i Grandi per me è come il Viagra» «La lotta contro i Grandi per me è come il Viagra» L'i PAOLO FULCI NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Dice che questa sarà «la partita delle partite» e allora gioca una vigilia di pretattica, strategia, mosse e contromosse, studiando marcamenti a uomo. Non vuole fare pronostici, ma ammette: «Se perdiamo, finiamo in serie B e chissà quando mai risaliremo». Più che allarmato sembra, però, eccitato e non lo nasconde: «Per me le votazioni sono come il Viagra, un afrodisiaco che mi dà la carica». Francesco Paolo Falci, ambasciatore italiano all'Onu da una vita e oltre, combattente di duelli all'ultimo voto per vocazione ereditaria: 400 anni di candidature familiari alle spalle, nei comuni, nei sindacati, nei partiti, nei circoli ricreativi. Praticamente imbattuto. Anche all'Onu. Record personale: 24 votazioni vinte su 25. Ma domani «la partita delle partite», quella che determina i futuri assetti del Consiglio di sicurezza, mette l'Italia a capo di un inedito schieramento composto da Russia, Cina e dai Paesi non allineati e la porta a scontrarsi con il più potente dei cartelli: Germania, Giappone, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Brasile e India. Sulla carta, da sempre, una sfida impossibile. Invece, la vigilia dice che il risultato è in bilico. E allora, ogni mezzo è valido per influenzarlo e i corridoi del Palazzo di Vetro, idealmente congiunti a quelli di ambasciate lontane, diventano spogliatoi dove si prepara lo scontro finale. Ha scritto un giornale sudafricano che l'ambasciatore Fulci è come Dino Zoff: un portiere che ha difeso con tenacia gli interessi dell'Italia, parando i colpi da tutte le parti. Con la differenza che Zoff non ha potuto usufruire di una legge speciale che gli consentisse di restare tra i pali anche oltre l'età pensionabile. Ha sconfitto le leggi di natura poi, anche lui, se n'è andato. In panchina, però. Proprio come Fulci, che agisce da allenatore di una squadra improbabile, perché il problema è che non sai chi giocherà con te e chi, all'ultimo momento, si schiererà dall'altra parte. Nello spogliatoio corrono litri di caffè. All'occhiello dell'«allenatore» Fulci c'è un curioso distintivo con la faccia di un omino in smoking che solleva la tazzina e lo sguardo al cielo. E' l'emblema del «Coffee Club», il circolo dei Paesi non allineati decisi a votare la mozione italiana che vuole la soglia dei due terzi come linea di sbarramento per il passaggio di ogni risoluzione. Nella vigilia della «partita delle partite», per la prima volta, il distintivo è finito anche sulla giacca dell'ambasciatore cinese e l'acquisto dello «straniero» ha dato morale alla squadra. Poi l'allenatore ha sguinzagliato i suoi in un marcamento a uomo: ogni funzionario addosso a dodici ambasciatori, impegnato a convincerli a giocare dalla parte dell'Italia. Nell'ultimo match (ma era, al confronto, un'amichevole) ha funzionato. Mozione italiana contro tedesca: nella votazione regolare, pareggio 92 a 92. Marcamento a uomo prima del ballottaggio e vittoria di 41 punti ai supplementari. Applausi da stadio e il mister Fulci che alza le braccia al cielo e dà cinque alla sua squadra. Stavolta, tutto più difficile. L'avversario da tenere d'occhio è il Giappone. «Stanno usando mezzi convincenti - dice Fulci - molto convincenti. Agiscono nelle capitali, dove in queste ore succedono cose turche...». E non è neppure una gaffe, considerato il caso Ocalan, perché nella battaglia per la soglia dei due terzi che chiuderebbe la porta del Consiglio di sicurezza a Germania e Giappone, la Turchia è al fianco dell'Italia. Alleato affidabile? Sembrerebbe di sì, ma va a sapere quello che può succedere nelle ultime ore, con gli «argomenti molto convincenti» del Giappone. Vatti a fidare delle parole altrui. Sabato mattina l'accordo sembrava fatto, la soglia dei 124 voti necessari a ogni stadio di votazione accettata, poi le controparti hanno preso tempo, detto: «Ci vedia¬ mo all'una per concludere». Invece, Fulci e i suoi sono rimasti lì, con le loro tazze di caffè, ad aspettare, fino alle tre: invano. Una telefonata: «Vi faremo sapere lunedì mattina». Hanno, allora, addolcito con lo zucchero la stizza e l'allenatore ha preparato due diversi mterventi. Uno conciliante, in caso di accordo in extremis, uno duro nel caso la partita delle partite si giochi senza esclusione di colpi. Ultime parole, che forse diventeranno famose: «Ciò che qui è in ballo è la democrazia contro l'oligarchia, la trasparenza contro la segretezza, la partecipazione contro l'esclusione». S'intuisce che il «discorso di guerra» è già sulla punta della lingua di Fulci, la battaglia nei suoi desideri, la speranza di vincerla nei suoi conteggi: «Sempre però tenendo presente l'imponderabile "lavatory factor", cioè la possibilità che improvvisamente un gruppo di votanti senta l'esigenza di andarsi a lavare le mani, facendoci mancare l'appoggio su cui contavamo», Ha perso una sola volta e appare fiducioso che resterà l'unica: quattro secoli di elezioni non possono essere cancellati da quattro nipponici che se ne vanno in giro cercando di comprare voti. E se dovesse, invece, perdere? «Perde l'Italia, perché finisce in serie B per almeno trent'anni, perde l'Europa, perché può dire addio al seggio unico europeo e perde l'Onu, perché cancella un principio base del suo funzionamento». Sembra dirlo per scaramanzia, sembra davvero convinto che l'Italia e i suoi amici dell'ora del caffè possano fare gol al Resto del mondo. Stamattina in campo: tutta la verità minuto per minuto. Gabriele Romagnoli «Se perdiamo questa partita finiamo in serie B e chissà quando mai risaliremo» «E' in ballo la democrazia contro l'oligarchia, la trasparenza contro la segretezza» Il Consiglio di sicurezza dell'Orili A sinistra l'ambasciatore italiano all'Onu Francesco Paolo Fulci