Ankara, sanzioni da 300 milioni di dollari di Mimmo Candito

Ankara, sanzioni da 300 milioni di dollari Una nuova minaccia: «Se Ocalan avrà asilo politico romperemo le relazioni diplomatiche» Ankara, sanzioni da 300 milioni di dollari «Stop agli armamenti italiani» ISTANBUL DAL NOSTRO INVIATO Pareva che potesse essere perfino la guerra vera (bum!), dando credito a quanto gridava Yilmaz in questi giorni. Però intanto il ministro della Giustizia preannuncia formalmente la rottura delle relazioni diplomatiche, se Ocalan avrà l'asilo politico, e comunque la Turchia lancia la guerra degli affari, che se non è una guerra vera è pur sempre una guerra seria. E così, dopo una settimana di minacce generiche e di roghi di bandiere, ieri la Turchia è passata dalle chiacchiere ai fatti; e in pompa magna - con la scenografia di una conferenza-stampa voluta e tenuta su di tono - ha comunicato che le forniture militari con l'Italia sono bloccate. La botta è data in testa all'Italia, ma il solenne discorso era fatto e organizzato perché lo potesse ascoltare tutta l'Europa, Germania prima di tutti gli altri. Non è una botta da poco: ne restano travolti 300 milioni di dollari l'anno, per i contratti che già sono stati firmati, ma soprattutto ne restano travolte le molte speranze di contratti nuovi, che erano a un passo soltanto dalla chiusura e che portavano affari per parecchi miliardi di dollari. Quello di maggior rilievo era l'accordo che stava per essere firmato con la fabbrica Agusta, per la fornitura di 135 elicotteri e un costo complessivo di 3,5 miliardi di dollari. E poi c'è la meccanica e la chimica. Il ministro della Difesa, Ismet Sezcin, ha dato l'annuncio con atticciata seriosità, come si conviene a un atto che vale la rottura delle nostre relazioni commerciali e fa da megafono verso i consigli d'amministrazione del continente. «Comunico che, per decisione del governo, nessuna impresa italiana sarà chiamata a partecipare alle aste che il mio Ministero andrà a indire per le forniture delle forze armate turche». Il ministro ha anche annunciato che oggi l'ambascaiatore turco a Roma presenterà ricorso contro la decisione di scarcerare Ocalan. Sezcin non si è limitato agli annunci formali. Gasato e soddisfatto per l'esercizio di autorità che in quei minuti aveva potuto esporre agli occhi del mondo, si è poi lanciato in una ardita lezione di etica all'Italia, ricordando che «Apo in villa a Roma è come Apo in villa a Damasco» e ironizzando su «Roma culla del diritto» e su «Roma maestra nella difesa dei diritti umani». Però qui, nella Turchia dei «detenuti politici» morti di violenze dentro le carceri della polizia, è talmente vergognoso lo standard di applicazione (meglio, di non-applicazione) dei diritti umani, che quella ironia finisce solo per ritorcersi addosso a un governo cui proprio su questo tema - l'intera Unione Europea ha mollato il più solenne dei ceffoni. E c'è da credere che continuerà a mollarglielo, fino a quando questo governo continuerà a credere che i diritti della persona non siano tutelati nell'ambito dell'esercizio del potere. Comunque, finora le manifestazioni di boicottaggio venute dalle imprese turche sapevano più di folclore che di sostanza concreta. Il capo dell'associazione dei meccanici aveva assicurato che i suoi iscritti non avrebbero più riparato le auto italiane (bum!), e il capo dell'associazione dei cambisti stradali aveva detto, anche lui, che i suoi soci non avrebbero più cambiato le nostre lire (qui, bum! bum!). Ma provate a portare una Fiat da un meccanico d'Istanbul e state certi che vi pelerà vivo, altro che fare lo sciopero. E ieri pomeriggio poi, in Istklal Caddesi, il vo¬ stro reporter ha provato lui a farsi cambiare lire italiane, e - anche qui, altro che boicottaggio - si è trovato contornato da una piccola folla di cambisti che si spintonavano di brutto per accaparrarsi il cliente. Chissà, forse nessuno di loro era socio del signor Seyran Cakmaci. C'è insomma un distacco reale tra i proclami - del governo o dei cortei - e poi la pratica della vita quotidiana. Così ieri, mentre nei negozi «italiani» continuavano comunque le vendite, un po' ridotte certo ma continuavano, i soliti cortei facevano la loro dimostrazione quotidiana, accendendo un falò di pneumatici davanti alla Pirelli di Izmit. Il clima s'accende. La Farnesina sconsiglia i viaggi quaggiù, le grande aziende italiane hanno richiamato in patria i loro dirigenti. Il gioco che si sta manovrando in Turchia è complicato, c'è sempre qualcuno che ha interesse a intorbidirlo; le «guerre» ormai sono quelle che si fanno per i soldi. E in quest'area girano affari colossali. Mimmo Candito L'esercito turco è un ottimo cliente della industria bellica italiana Adesso Ankara minaccia di rivolgersi ad altri fornitori

Persone citate: Ocalan, Yilmaz