Spazio Italia, cresce la voglia di realtà

Spazio Italia, cresce la voglia di realtà Spazio Italia, cresce la voglia di realtà TRENTADUE lavori per scoprire trentadue (o forse più) modi diversi per fare cinema oggi in Italia. E' forse questo il modo migliore per condensare in una battuta lo spirito che attraversa la selezione di Spazio Italia. Tutti i lavori presentati hanno motivi di interesse, ma visti in un solo colpo d'occhio hanno un valore aggiunto: la loro polifonia è il modo migliore per compendiare i vari modi di fare cinema che sono possibili oggi nel nostro Paese. La selezione è suddivisa (come avviene già da qualche anno) in due tronconi di concorso, che raccolgono rispettivamente la fiction e la non fiction, e qui il primo elemento di novità balza all'occhio: rispetto agli anni scorsi, la percentuale di autori che si cimentano nella non fiction è in netta crescita. Se da un lato, quindi, si è deciso di sanzionare questa novità con la sezione Sopralluoghi, gli effetti di questa nuova situazione si intravedono anche tra i film e i video in concorso; e che il loro interesse sia in crescita esponenziale è provato anche dal fatto che Planete, il canale tematico riservato ai documentari, sponsorizzi il premio e sia interessato ad acquisire i diritti dei migliori lavori. Attraverso la non fiction si possono raccontare storie di personaggi (come fa Paolo Pisanelli con il suo «Magnifico sette»), si può parlare di cinema come fanno Giulia D'Intino con «Grattacieli sdraiati», Mirco Melanco e Marco Segato con «La voce del silenzio» e Cristina Mazza con Giordana Mayer in «Ma chi è questo Grifi?) oppure proporre un'elaborazione concettuale del flusso di linguaggi che quotidianamente ci travolge (ed è il caso di «(traparentesi)» in cui Renato Pengo, uno dei maggiori artisti italiani contemporanei, analizza l'ossessione televisiva e in generale il bombardamento catodico). Insomma, la via del documentario proposta dagli attori di Spazio Italia è molteplice, affascinante, ricca di suggestioni. Ma naturalmente le storie possono essere narrate anche nei lavori di fiction, avendo come obiettivo minimale il tirarsi fuori dalla piattezza che, a causa soprattutto del predominio televisivo, caratterizza la fiction contemporanea. La vena di foiba che pervade ad esempio «L'amore non ha confini» di Paolo Sorrentino o «Non mi basta il successo più» di Massimo De Lorenzo è sicuramente la spia di un mondo intelligente per forzare schemi e situazioni; ma anche l'apparente minimalismo usato da Francesco Ballo in «Come un giorno d'inverno» o l'impostazione volutamente teatrale di «E' ora che vada» di Marino Bronzino o ancora la telecamera ostentamente tenuta a mano da Giuseppe Selva in «Da dove vieni?» sono da leggere come un preciso tentativo di uscire dalle secche dell'omologazione. Nel presentare il Concorso Spazio Italia dello scorso anno, si notava la presenza di nomi famosi all'interno di un cinema produttivamente molto povero e basato sull'autofinanziamento. Un anno dopo, non possiamo non confermare tale tendenza, spia del fatto che anche chi si è costruito una certa notorietà può avere ancora voglia di mettersi in gioco senza rete. Ecco allora figurare nei vari cast nomi come Valerio Mastandrea (in «La verità» di Chiara Cremeschi), Nino Castelnuovo (nel divertente «Chiara» di Maria Asiride), Lou Castel (in «Il piano dell'uomo sotto» di Pietro D'Agostino), Renato Carpentieri (in «Quasi fratelli» di Francesco Falaschi); e a questo parziale elenco vanno aggiunti almeno due protagonisti di documentari, Felice Andreasi (cui è dedicato «Felice l'attore che dipinge» di Antonio De Lucia e Enrico Venditti) e Francesco Leonetti (l'artista zavattiniano-marxista che racconta la propria vita in «Lo scrittore a sette code» dì Marina Spada). Andrà ancora ricordato che la fiction può essere anche unicamente il volto di una donna accompagnato dalle musiche di Wim Mertens («Claudia» di Emanuele De Vincenti) opppure il turbinio di trovate visive che viene proposto da Gianluca Sodaro in «Don Mariano è caduto dal cielo»; così come la non fiction può raccontare con poesia un fatto strettamente privato («Quel che resta di lei» di Riccardo Rovescalli) oppure spingersi nella direzione di un vero e proprio saggio di antropologia culturale («Siamo troppo sazi» di Stefano Missio). Mille percorsi differenti, per dimostrare che infinite sono le vie attraverso le quali si può pensare oggi di fare cinema in Italia. [s. d. e] Foto: «Quasi fratelli» di F. Falaschi

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