Eccentrici e fedeli per Orizzonte Europa
Eccentrici e fedeli per Orizzonte Europa Eccentrici e fedeli per Orizzonte Europa SCORRENDO il panorama eh Orizzonte Europa, la sezione che il Torino Film Festival dedica alle nuove tendenze del cinema europeo, si noterà che i film sono stati scelti attraverso due criteri principali. Da un lato, sono statprivilegiati i lavori eccentrici rispetto alla media della produzione europea: non ssono cercate le «belle sceneggiature» o «lavori di qualità» (che qualcuno considera gli elementi principali di un cinema che ha come principale urgenza il contrapporsi allo strapotere della produzione americana), bensì i lavori eccentriciquelli che ritengono ancora possibile pensare a un cinema in cui la ricerca sia ancora l'elemento principale di interesseDall'altro, si è scelto di continuare a seguire gli autori che proprio grazie al festival di Torino sono diventati più noti apubblico italiano. Due criteri, naturalmente, che si mescolano e che di fatto costituiscano il Dna del Torino Film Festival. Se a Torino, nel 1996, il pubblico aveva scoperto, apprezzato e amato il grande cinema del portoghese Paulo Rocha, è sempre a Torino che si potrà vedere cosa lia fatto nel frattempo lo stesso Rocha. «O rio do ouro», il suo ultimo film presentato a Cannes, è uno straordinario spaccato visionario dove si mescolano poesia e autobiografia, una storia d'amore che si svolge in una delle regioni più belle del Portogallo che va gustata proprio come un bicchiere del buon vino che in quella zona sproduce, in attesa dell'accelerazione finale che da sempre caratterizza il cinema di Rocha e che in questo caso riesce veramente a mozzare il fiato per bellezza e intensità. Paulo Rocha, peraltro, è un regista che non arresta mai la sua ricerca, la grande voglia di cinema che lo sottende: e nfatti la sua minipersonale è completata da un video appena finito ed- intitolato «Camoes», presentato in prima mondiale immagini e suoni, teatro e poesia a partire da alcuni testi del XVI secolo), da «Desvio» (diretto dalla sua collaboratrice Claudia Tomaz), e dal making of più eccentrico della storia recente, diretto da Saguenail sul set di «O rio do ouro». Anche l cinema di Olivier Assayas, già critico dei Cahiers e da una decina d'anni anche regista intenso e sorprendente (il pubblico torinese aveva particolarmente apprezzato il suo episodio «L'eau froide» inserito nella serie «Tout les gargons et les filles...», grande successo di pubblico e di critica fatto conoscere proprio dal festival di Torino), appartiene al patrimonio geneico della manifestazione. Ecco allora la proiezione di «Fin aoùt, debut septembre», ultima fatica del regista francese, toria appassionante di due persone unite dall'amicizia e sconvolte dalla malattia di uno di loro, esplicito omaggio al cinema di Philippe Ganel e riflessione intensa sul enso della vita. Sempre dalla Francia ar¬ riva «L'examen de minuit», che sotto la forma della commedia racconta una ragazza sola alle prese con due uomini altrettanto soli, con un ritmo incalzante ma non frenetico e un susseguirsi di sorprese godibilissime. Aniva dall'Olanda il documentario «Lagrimas negras», che racconta la storia e i pensieri di un gnippo musicale cubano molto particolare (non solo per l'età media che è comunque notevole, 84 anni); per loro, naturalmente, la musica è anche vita, e d'altro canto quello che raccontano sulla vita fa riilettere e affascina proprio come le loro bellissime canzoni. Un altro cinema tradizionalmente marginale, il cinema greco, è rappresentato da un'opera sorprendente di un autore che ha già al suo attivo la partecipazione a molte rassegne intemazionali. Il suo nome è Pantelis Voulgaris, il suo film si intitola «E' una lunga strada» e racconta tre storie attraverso le quali si comprendono bene gli stati d'animo e le sensazioni che attraversano un Paese del quale si parla poco nelle cronache ma nel quale stanno maturando tante novità. E' mvece ambientato negli Anni Trenta «Die Siebtelbaueni», un film che nana la vicenda di un giuppo di contadini nominati eredi di una proprietà agricola ma contrastati nella nuova condizione sociale dall'ostilità dei proprietari temeri. Lotta di classe, avventura, scavo psicologico: sembra per certi versi di vedere un film di Pietro Germi o di Giuseppe De Santis, maestri italiani di quelle avventure a sfondo sociale che Ennio Flaiano definiva «southern» sottintendendo che si trattava, nell'Italia del dopoguena, di una via nostrana per raggiungere la carica emozionale dei western americani. Non ha invece bisogno di particolari presentazioni «My Name is Joe», ultimo bellissimo film dell'inglese Ken Loach: la sua forte passione politica e la sua abilità nel'introspezione sociale riescono ancora una volta nel difficile compito di alternare dramma e commedia fornendo un belissimo spaccato della vita proletaria nela Gran Bretagna di oggi. [a. b.] Foto: «Ola ine dromos» di Pantelis Voulgaris, per Orizzonte Europa
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