Pollet, un marginale della Nouvelle Vague

Pollet, un marginale della Nouvelle Vague Pollet, un marginale della Nouvelle Vague A chi è Jean-Daniel Pollet? Forse, semplicel mente, uno dei grandi poeti dei nostri giorni. Poeta per il tramite del cinema, che tanto si è allontanato dalla poesia...». Con queste parole Pascal Bonitzer salutava nel 1996 l'uscita di «Dieu sait quoi», il capolavoro della maturità di questo «marginale della Nouvelle Vaglie» la cui opera segreta, talvolta perfino misteriosa, attraversa come una meteora non identificata il cielo cinematografico degli ultimi quarant'anni. Il suo amico Philippe Sollers, che ha collaborato a diversi suoi film, lo ha chiamato «l'indiano», «un cineasta le cui bobine sono mandala, la cui arte non somiglia a nessun'altra». Praticamente sconosciuto in Italia, dove peraltro nel 1953 al Festival di Venezia il suo film d'esordio, «Pourvu qu'on ait l'ivresse», aveva vinto il premio come miglior cortometraggio, Pollet si potrà dunque vedere per la prima volta a Torino in una retrospettiva organica comprendente venticinque titoli. Dopo i primi corti, reportages teneri e feroci, dall'ironia danzante, sulle sale da ballo della periferia parigina («Pourvu qu'on ait l'ivresse», «Gala»), dopo il fallimento di «La ligne de mire» (il suo esordio nel lungometraggio nel 1959, montato e rimontato più volte, film «maledetto» mai uscito e rimasto invisibile per volontà dell'autore), nel 1963 Pollet intraprende un viaggio di 3500 chilometri intomo al Mediterraneo: nascono così, dopo un lavoro di montaggio divenuto ormai leggendiario, i 45 minuti di «Mediterranée». Accolto dai fischi al Festival del Cinema Sperimentale di Knokke Le Zout alla fine del '63, uscito a Parigi solo nel '67, sarà questo film, che si distacca profondamente dalla Nouvelle Vague e che merita di figurare tra i grandi capolavori del montaggio, a diventare in pochi anni un «cult» assoluto, amato da Godard e dai teorici «materialisti» del '68, da Ponge e da «Tel Quel». «E' più facile, per me - dichiarò allora Pollet - filmare le cose che le persone. Credo molto al "partito preso delle cose" di Ponge. Hanno accusato gli autori del Nouveau Roman di essere cerebrali, complicati. E' falso. Vogliono avere uno sguardo vergine davanti alle cose. Nulla di più semplice e onesto, in fondo, del loro atteggiamento». Escluso o autoesclusosi da una «carriera» nell'industria del cinema, testardo e solitario, Pollet si avventurerà da allora verso film in forma di saggi poetici ad alto rischio, inassimilabili sia al documentario che alla fiction tradizionale, poco visti e talvolta mai usciti, in cui l'autore stesso si cancella in quanto «soggetto». Tali saranno «Bassae», «La Femme au cent visages», «Le Horla», «Tu imagines Robinson», «L'Ordre», «Pour mémoire», «Au Pére Lachaise», «Trois jours en Grece». Anche qui, come in «Mediterranée», il più piccolo e il più grande, il più vicino e il più lontano si incontrano nell'imprevedibilità della giunta di montaggio. Il principio di organizzazione seriale culmina in «Contretemps», riflessione sul tempo e la ripetizione, un «unicum» nella storia del cinema: il regista vi compie un lavoro di distruzione e ricomposizione dei suoi film precedenti, ne smonta e rimonta il coipo vivo, creando un film nuovo a partire dalla propria memoria anteriore. Ma non c'è solo il Pollet poeta delle cose e maestro del montaggio, più vicino al Nouveau Roman che alla Nouvelle Vague, che possiamo rappresentare nel «ciottolo» di Ponge di «Dieu sait quoi». E' infatti lo stesso regista ad aver creato, in simbiosi con Claude Melki (l'attore feticcio scoperto per caso nella sala da ballo popolare di «Porvou qu'on ait l'ivresse»), una «serie» comica senza equivalenti nel cinema d'autore contemporaneo. Centrata sul personaggio di Leon, burlesco e malinconico, timido e impacciato, la «serie Melki» culmina, infatti, dopo «Gala» e l'episodio «Paris vu par (Rue SaintDenis)», nelle due grandi commedie «populiste» «L'amour c'est gai l'amour c'est triste» (1968) e «L'Acrobate» (1975), che un critico come Yacques Lourcelles colloca giustamente tra gli «arcani» ancora da chiarire della storia del cinema francese: «L'intesa tra Pollet e Melki ha qualcosa di unico, di infinitamente più profondo del legame autobiografico e narcisista che lega Truffaut a Jean-Pierre Léaud. Senza Melki, Pollet non farebbe commedie. Senza Pollet, Melki non sarebbe nessuno. Essi rappresentano uno per l'altro una sorta di strumento indispensabile. Attraverso Mel- ki-Léon, Pollet ha descritto il fallimento, nato in questo caso da un sentimento di esclusione, come una farsa e come una tragedia. Ha disegnato un essere così perfettamente grottesco da apparire quasi eroico». La retrospettiva torinese sarà dunque l'occasione unica per addentrarsi in una filmografia dalle sorprese affascinanti. Il viaggio mediterraneo era stata anche la scoperta della Grecia, che viene adottata da Pollet come «seconda patria inesauribile». Ma in Pollet ci sono anche i viaggi in Artico, in Brasile, in Africa, il 68 parigino (durante il quale ha organizzato gli Stati Generali del Cinema), la trama degli incontri e delle complicità (Sollers, Thibaudeau, Duhamel, Kristeva, Astrae, Kast, Melville, Barbet Schroeder, Lawrence Durrell, Mas Felipe Delavouet...). Ci sono soprattutto i «luoghi» oggetto e origine di tutti i suoi film, si tratti di una sala da ballo popolare alla periferia di Parigi o del tempio di Bassae, perduto nelle montagne e che non sappiamo più «interpretare»... Negli ultimi anni c'è la Provenza, dove Pollet si è trasferito con la sua compagna Francoise Geissler (montatrice di molti suoi film): una casa in campagna a Cadenet, ai piedi del Lubéron. E qui nel 1989 c'è un incidente imprevedibile, quasi incredibile. Pollet è stato investito da un treno locale mentre con la macchina da presa in mano stava facendo delle riprese sui binari per sperimentare una nuova pellicola. Sopravvissuto all'incidente, è rimasto invalido e spostarsi gli costa ormai molta fatica. Da allora la sua casa è diventata il «luogo», il set espanso, il «cosmo» dei suoi film. Lì ha realizzato in piena felicità creativa «Dieu sait quoi». Lì sarà girato «Ceux d'en face», interpretato da Michael Lonsdale. Lì sta lavorando ad un altro progetto, «Planète terre», un film interamente di montaggio a partire da immagini documentarie (soprattutto televisive). Il cosmo e il microcosmo, il pianeta e la casa, ancora una volta il «partito preso delle cose». Roberto Turigliatto «L'amour c'est gai, /'amour c'irsi t ri.ilr" di Jean-Daniel Polle! Sotto. Michael I lanche