LE ANIME DI GIOBERTI di Giorgio Calcagno

LE ANIME DI GIOBERTI LE ANIME DI GIOBERTI Una giornata di studio all'Accademia delle Scienze Venerdì 20 novembre, a partire dalle ore 9,30, nella Sala dei Mappamondi dell'Accademia delle Scienze di Torino, in via Accademia delle Scienze 6, ha inizio la «Giornata Giobertiana», organizzata dall'Accademia stessa, dal Dipartimento di «Discipline filosofiche» dell'Università di Torino e del Centro Studi Filosofico-religiosi «Luigi Pareyson». | L nome di Gioberti, a un gioI vane d'oggi, evoca un liceo di H Torino, noto all'esterno soprattutto perché ci ha studiato Piero Gobetti, cui è dedicata l'aula magna. A un adulto una via laterale presso Porta Nuova, dove c'è l'ufficio di collocamento. Ai torinesi più attenti, un monumento in piazza Carignano, dove molti si stupiscono di non trovarci, in sua vece, Vittorio Emanuele II, che lì era nato, o Cavour, che ci ha trascorso la sua carriera. E invece no, ci voleva proprio Gioberti: e non solo per il fatto, del tutto accidentale, che il monumento fu sistemato nel 1859, quando Cavour e re Vittorio erano ancora in vita, l'Unità d'Italia di là da venire. La giornata giobertiana annunciata all'Accademia delle Scienze dovrebbe rispondere a molte domande su questo religioso, ingiustamente disertato dalla nostra cultura. Fu più politico o uomo di fede? Quanto contò il suo pensiero sulla nostra storia? E quanto la sua visione politica fu influenzata dalla sua filosofia, che lo portò a compiere tanti errori, sul piano pratico? Certo, questo cappellano di corte di Carlo Alberto, che da giovane scriveva sotto falso nome pagine di ispirazione repubblicana sulla «Giovane Italia» di Mazzini, sembrava nato per dispiacere a molti; e finì per dispiacere quasi a tutti. Voleva fare dell'Italia una confederazione di Stati presieduti dal Papa: senza tener conto che 0 Papa non lo voleva affatto. Voleva riformar la Chiesa, in tempi di assolutismo teocratico, cercando di conciliare la religione con la civiltà moderna: mentre si stava consumando la più grave rottura fra i due campi. Considerato l'ispiratore del movimento neoguelfo, per le idee da lui sostenute nel «Primato morale e civile degli italiani» (pubblicato all'estero, nel 1843) avrebbe deluso assai presto i suoi antichi compagni di fede passando a una concezione laica e democratica dello Stato. Quando Carlo Alberto lo chiamò, in circostanze difficilissime, alla presidenza del Consiglio, nel dicembre 1848, riuscì soltanto a far precipitare la situazione. Si era messo in testa di far tornare Pio IX a Roma e il granduca Leopoldo a Firenze con l'aiuto dell'esercito sardo; e si inimicò tutti: i sovrani in esilio, i democratici provvisoriamente al potere. Dovette dimettersi, lasciando Carlo Alberto al suo destino, e all'imminente catastrofe di Novara. Ma fu proprio questo utopista dalle molte anime, fermentanti e mutevoli, a scrivere, negli anni più bassi della nostra storia, il libro decisivo: quel «Rinnovamento civile d'Italia» dove sosteneva che il Piemonte doveva mettersi alla guida del Paese e dargli unità e indipendenza. Era il 1851. Cavour lesse quelle pagine, le commentò a Vittorio Emanuele: e partì, da Torino, quel processo chiamato Risorgimento. Gioberti non ebbe il tempo di saperne nulla. Morì cinquantunenne, a Parigi, il 26 ottobre 1852, nella stanza dove fu trovato con un libro accanto. Si cercò di far credere che fosse «L'imitazione di Cristo». Era una Bibbia protestante. Giorgio Calcagno Un ritratto di l incenzo ( lioberli politieo e religioso la cui figura controversa è al centro della giornata di studio