Il punto: paradosso o enigma?
Il punto: paradosso o enigma? EUCLIDE Il punto: paradosso o enigma? PRENDO il libro di Euclide, i famosi «Elementi» e lo apro alla prima pagina. Vi trovo subito una curiosa definizione: «Un punto è ciò che non ha parti». L'affermazione sembra innocua. Ma non lo è. Sapevo che la struttura assiomatica della geometria euclidea richiede, per sua natura, la definizione dei termini primitivi come punto e segmento, ma non sapevo che dietro ognuno di essi possono celarsi profonde riflessioni e sofferte conquiste del pensiero. La storia della definizione del punto nasconde un insegnamento importante: se procediamo di corsa, rischiamo di perdere di vista le piccole cose, che, spesso, sono le più belle. Ringrazio Richard Trudeau, che, con il suo libro «La rivoluzione non euclidea» (Bollati Boringhieri), mi ha accompagnato su un bellissimo prato, facendomi scorgere un piccolo fiore che m'era sfuggito. Eccolo. La definizione di Euclide (300 a. C.) fa intendere che il punto sia un ente che non ha lunghezza né larghezza o, in altre parole, ha lunghezza e larghezza nulle. Però è anche vero che un segmento di una certa lunghezza è costituito da punti affiancati gli uni agli altri; come è possibile, allora, che dall'accostamento di oggetti privi di lunghezza si ottenga un segmento? La nostra intuizione si scontra con questo dilemma e sembra non riuscire a risolverlo. Eppure, Euclide non ebbe scelta, la descrizione che diede del punto era l'unica logicamente possibile. Vediamo perché. Euclide sapeva dell'esistenza dei numeri irrazionali; era stato Ippaso di Metaponto (dopo il 430 a. C.) a dimostrare che il rapporto tra le lunghezze di due segmenti non si può sempre esprimere come rapporto di duenumeri interi (cioè come numero razionale). Egli citò l'esempio del rapporto tra la diagonale di un quadrato di lato unitario e il lato stesso. Si sa (basta applicare il teorema di Pitagora) che tale rapporto è pari a radice quadrata di 2; con una magnifica dimostrazione, Ippaso diede prova dell'impossibilità di rendere questo numero come quoziente tra due interi (la prova si trova in molti testi di matematica, se qualcuno non fosse in grado di reperirla, usi il mio indirizzo di e-mail e l'avrà). Ora proviamo a supporre che i punti, anziché avera lunghezza nulla, abbiano un diametro d maggiore di zero; immaginiamo, inoltre, che tutti i punti abbiano lo stesso diametro (non ci sarebbe ragione per ipotizzare il contrario; i filosofi chiamano questo ragionamento «principio di ragion sufficiente»). Allora potremmo pensare di ingrandire una porzione del segmento e di scorgere ciò che è mostrato nella figura. Bene, adesso consideriamo il rapporto AB/d e indichiamo il risultato con la lettera m; dato che abbiamo diviso la lunghezza del segmento per la lunghezza di uno dei suoi punti, m sarà il numero di punti contenuto nel segmento AB, cioè un numero intero. Ora ripetiamo le stesse operazioni per un generico segmento CD, questa volta CD/d sarà uguale a n. Ma cosa è successo al rapporto tra AB e CD, a seguito di queste argomentazioni? Be', esso è diventato: AB/CD = (m d) / (n d) = m/n, cioè un numero razionale! Dunque, se ipotizziamo che i punti abbiano una lunghezza diversa da zero, per quanto essa sia piccola, giungiamo a concludere che il rapporto tra le lunghezze di due segmenti qualsiasi sia razionale, affermazione che, grazie a Ippaso di Metaponto, sappiamo essere falsa. Euclide sapeva bene queste cose e, dovendo scegliere tra ciò che suggeriva la sua intuizione e ciò che indicava la logica, optò per quest'ultima, facendo un altro passo nella direzione, promossa da Talete nel 600 a. C, che avrebbe caratterizzato tutta la matematica e la scienza dei millenni a venire. Lorenzo Galante galante@tin.it
Persone citate: Lorenzo Galante, Pitagora, Richard Trudeau
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