Timidezza, infelicità, impotenza: basta una pillola? di Aldo Carotenuto

Timidezza, infelicità, impotenza: basta una pillola? TRA CORPO E PSICHE Timidezza, infelicità, impotenza: basta una pillola? E' un errore credere che esista un farmaco per tutti i nostri problemi FA piacere sentir dire da uno storico della scienza e della medicina come Grmek che «la malattia è uno modo inevitabile di esistenza». Un po' di sano realismo non guasta, infatti, in un panorama di scientismo onnipotente che vorrebbe fare dell'uomo una «macchina perfetta». Al centro del revisionismo critico di Grmek - che sull'argomento ha pubblicato un saggio molto penetrante (La vita, le malattie e la storia, Di Renzo, 1998) - è un'acuta discussione su ciò che è da intendersi per «normale» e «patologico» e la consapevolezza che non sempre la malattia è il nemico da combattere: a volte può essere il male minore che nasconde e mitiga quello peggiore. L'esempio che Grmek ci mostra è quello dell'Hiv, esploso proprio in ragione della scomparsa della quasi totalità delle malattie infettive «minori». Partendo dall'idea che ogni malattia costituisce, assieme allo stato di salute, un equilibrio «normativo», Grmek rispolvera su un piano pratico l'affascinante tesi di Goerges Canguilhem (Il normale e il patologico, Einaudi 1998) e prima ancora quella di Freud secondo cui il raggiungimento di un equilibrio omeostatico è da preferirsi al completo annullamento del bene e del male. Questo in termini psichici, quanto fisici. Al giorno d'oggi, anche la psicoanalisi, come la medicina, ha di che interrogarsi: se è vero infatti che il progresso della tecnica - e sia l'una che l'altra possono intendersi tali, nel senso greco di téchne, ossia di attività artigianale che include un sapere tecnico-scientifico e la pratica di un'arte - si avvicina sempre più alla soglia della massima precisione, è altrettanto vero che con ciò aumenta il numero dei «casi» irrisolvibili. Ci basti pensare ai primi studi sull'isteria di Freud e al dilagare delle attuali forme di depressione a sfondo esistenziale; oppure alla polmonite e al- l'Aids. Freud sosteneva che il sintomo fa da «schermo» a qualcos'altro: ebbene, allora è possibile che la polmonite facesse da schermo all'Aids - come sostiene Grmek - e che l'isteria e le nevrosi facessero da copertura alla depressione. Ma dove può portarci questo progressivo perfezionamento dei nostri mezzi conoscitivi e curativi? Hillman direbbe: Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio (Raffaello Cortina, 1998). Seguendo il pensiero medico, da qui a pochi anni ci sarà una pillola per ogni sintomo; ma eliminato il disturbo - inteso come campanello d'allarme e non come causa del malessere permane la cruda realtà di un equilibrio spezzato. Lo psicofarmaco, si sa, assopisce la coscienza ma non ricuce la ferita. Fatta eccezione per quelle «patologie d'organo» che necessitano di un intervento medico, ma che non è detto che trovino la loro origine solo ed esclusivamente su un piano fisico, siamo sicuri di dover porre rimedio alla totalità dei disturbi? E' dimostrato ad esempio che la prevenzione farmacologica ha portato sì a un abbattimanento delle malattie infettive, ma ha anche accentuato le forme allergiche: l'organismo, in altre parole, è diventato iperreattivo alle sollecitazioni esterne. Sarebbe sciocco, nonché poco salutare, suggerire a un paziente che soffre di dolori addominali «prenda un antidolorifico!». Bisogna piuttosto indagare sull'origine del disturbo. Perché allora a un paziente che accusa sintomi di depressione dovremmo rispondere «prenda il Prozac», o a un altro che lamenta un'incapacità a interagire col proprio simile dovremmo suggerire la pillola contro la timidezza? Non smetterò mai di stupirmi dinanzi a soluzioni così a basso prezzo, ma posso com¬ prenderne la logica: se scopo primario della medicina ò curare, come quello del meccanico è aggiustare, allora bisogna avere a disposizione nel proprio cilindro magico una pillola per ogni occasione. Per fortuna, non sempre è cosi: esistono ancora persone, come Grmek, che sanno riconoscere che una parola o cinque minuti di conversazione possono fare piti di un farmaco, soprattutto se ci si trova dinanzi a un «caso» senza soluzione. Esistono ancora persone che non hanno dimenticato che l'essere umano non è fatto solo di sinapsi e di formule chimiche, ma possiede anche un'anima - elemento a tutt'oggi inafferrabile per la scienza, ma essenziale per la vita. Certo, è possibile che in un domani non troppo lontano qualcuno venga a dirci che esistono il gene dell'anima e la pillola della felicità, ma se davvero il senso della nostra esistenza dovesse risolversi nel completo automatismo del nostro corpo, non vedo proprio a che ci servirebbe essere felici. Aldo Carotenuto Università di Roma «La Sapienza» I disturbi fisici spesso hanno radici nei rapporti umani Anche la psicoanalisi però oggi deve ripensare se stessa

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