MAURENSIG: COPPIE D'AMORE LESO
MAURENSIG: COPPIE D'AMORE LESO MAURENSIG: COPPIE D'AMORE LESO VENERE LESA Paolo Maurensig Mondadori pp. 177 L. 27.000 OSI' a sé nella narrativa italiana, così intenso, uno scrutatore raro del rebus umano. Paolo Maurensig, origini goriziane, da tempo ancorato a Udine, cesella Venere lesa, subito disorientando chi si attendeva una storia calata nell'atmosfera «mitteleuropea», costruita intorno a un mistero «giallo» 0 «nero», quasi scaghata verso la soluzione. Come La variante di Lùneburg, l'opera d'esordio, un lungo bestseller, come Canone inverso. Piuttosto, queste pagine appena uscite, riecheggianti talvolta il passo avvolgente di Mario Soldati verso il lato oscuro che svela ogni anima, sono gemelle di un libro lontano, rimasto a lungo nel cassetto, recuperato mesi fa dall'autore: L'ombra e la meridiana. Là dove non è la trama a dominare i personaggi, sono i personaggi a reclamare in quanto tali l'occhio assoluto. Non a caso lo strumento di Venere lesa è la cinepresa, bracconiera di immagini, di fotogrammi su cui interrogarsi: «Spesso mi sono chiesto quale sarà l'immagine che soprawiverà a noi; quale sarà lo spezzone prescelto a rappresentarci per l'eternità». Dopo gli scacchi e la musica, l'amore, «sempre una partita patta in cui anche il più grande dei vantaggi viene ben presto rimontato, e tutto finisce in pareggio, tutto tende alla quiescenza; e di eterno non restano che le regole del giuoco». Venere lesa (un volto dell'astrologia) è una sorta di «De l'amour» necrofilo, un'estinzione inesorabile del sentimento, fino al grande sonno: «Il sonno di due coniugi non uniti dall'amore è quanto di più rassomigli alla morte e alla sua sotterranea logistica sepolcrale: il buio che avviluppa dei corpi come la nera terra». Due coppie e un io narrante «col sogno di scrivere» si dividono la scena di Venere lesa. L'artifizio che innesca il romanzo è il «ritorno». Un uomo ritorna nella casa antica dove, alle soglie dei quarant'anni, finito il matrimonio, sostò una primavera e un'estate, aspettando di riprendere il cammino. «E' una costruzione massiccia; con gravidi balconi di ferro battuto», un'eco della settecentesca villa nella Variante, del Collegium-fortezza nel Canone inverso (l'hortus conclusus è il «luogo» di Paolo Maurensig, un mago della compressione estrema: stiva e stiva ancora, umori, caratteri, istinti, generando, quindi, l'esplosione, l'urlo, lo sfregio). Angele e il professor Deravines, Flora e Giulio Colombi (e l'inferma e terrifica madre di costui: «forse è già morta», ma a perseverare è «il gelo della sua presenza») nutrono un ambiente naturalmente in decomposizione, il lungo, mterminabile suicidio della borghesia 0, meglio, della sua controfigura. Angele (che suona il pianoforte) e il maturo Ermes (Deravines), da lei ingannato chissà quante volte («Mi conosceva bene, sapeva che la tentazione si annulla in me solo cedendovi»). Flora, la violinista che rassomiglia «in modo impressionante a uno dei ritratti di Munch, gli stessi capelli arruffati, lo stesso pallore del volto». E Giulio, il fidanzato che la trascura, «corteggiato dalle donne per il talento, la bellezza, la sua virile fragilità», e tenuto in scacco dalla gelosa, isterica genitrice, argine granitico al matrimonio. Venere lesa è un girotondo au ralenti e insieme velocissimo, inseguendo il giusto ritmo («L'abitudinarietà, il tentativo di arrogarsi l'eterno, uno sforzo per imprimere alla propria vita un moto perpetuo»: ecco un cardine della «commedia»). Maurensig è il cocchiere di un quartetto guidato «non dalla morale comune, ma da un presunto senso estetico». La frusta letteraria (perché la scrittura ha lo scintillio e l'impeccabilità di un'uniforme) schiocca in un limbo dove «le parole non sono più astri luminosi 0 smaglianti galassie, ma duri sterpi al margine di un sentiero ghiacciato». La solitudine è il traguardo, la comune vocazione, almeno nel «prevedibile futuro», di Angele e Ermes, di Flora e Giulio, e della vecchia signora. Paolo Maurensig è un demiurgo di destini incrociati, epperò mai irretito, mai «leso» dal copione che via via cuce. A salvarlo, a consolarlo, oggi come ieri, la letteratura, certo, ma in particolare gli scacchi e soprattutto, lui violoncellista, la musica, «arte che nella sua essenza sfuggente già suppone la continua vanificazione di se stessa». Ovvero: «Nulla al mondo può affermarsi senza determinare con questo anche l'inizio della propria distruzione». Dalla torretta dove trovò rifugio l'io narrante, tortore si levano in volo «come un applauso di mani inguantate». Hanno capito. Bruni* Quaranta VENERE LESA Paolo Maurensig Mondadori pp. 177 L. 27.000
Luoghi citati: Udine
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