RAPITE L'IMPERATORE PER EVITARE CAPORETTO

RAPITE L'IMPERATORE PER EVITARE CAPORETTO RAPITE L'IMPERATORE PER EVITARE CAPORETTO Grande Guerra: trattative segrete col nemico ottant'anni dal suo concludersi la «grande guerra» sembrerebbe un po' meno grande di quel che la retorica fascista e l'infatuazione post-bellica avevano contribuito a far apparire. Anche se la «grande guerra» continua ad essere, e non potrebbe essere altrimenti, poderoso crogiolo e «luogo comune» di molti'ingredienti che ci hanno fatto, noi italiani, quello che ora siamo. Buona parte del lavoro attualmente in corso - di inquadramento, certo, ma anche di ridimensionamento degli eventi prettamente militari - in realtà non è nuovo. Già negli Anni Sessanta e Settanta - com le opere fondamentali di Rochat, Isnenghi, Melograni, Monticone, Forcella, Silvestri - si era scavato, e molto, sulla realtà del conflitto. Da quei lavori di vent'anni fa, alcuni dei quali sono stati ripresentati in questi mesi, emergeva come la grandezza non andasse presentati in questi mesi, emergecercata in certe battaglie (Vittorio Veneto) - che forse battaglie vere e proprie non furono - né individuata in strategie che dietro l'immenso numero dei morti lasciati sui campi di battaglia celavano solo l'impressionante povertà di riflessione e conoscenza degli alti comandi. E tuttavia v'era, dentro quegli anni, un'indubitabile e vera grandezza. Non solo per i sacrifici della nazione e l'immenso numero dei morti ma per tutte le innovazioni che dentro quegli anni prendevano posto: nella produzione e nella comunicazione, nell'organizzazione di grandi masse umane e nella gestione di immensi apparati. Novità che - introdotte dal conflitto - costituivano la prima e vera irruzione della modernità nell'esperienza concreta di milioni di italiani (e di europei). Ai soldati che stanno al fronte la modernità - come spiega quel testo fondamentale di Eric J, Leed che è Terra di nessuno - si presenta col volto di un mondo alla rovescia: dove, tanto per cominciare, si vive non sopra la terra ma nelle sue viscere, sotto terra, dentro le trincee. A differenza che nella vita ordinaria la notte diventa il tempo dell'azione mentre non appena fa chiaro la «terra di nessuno» tra gli schieramenti contrapposti torna deserta, spopolata. Perché l'invisibilità del nemico è un'altra connotazione di questa guerra dove i lunghi periodi di inazione («ci sono soldati che pensano di essere già morti») sono intervallati da traumatici sconvolgimenti (artiglierie, bombardamenti, attacchi chimici) che provocano, in chi vi è sottoposto, una sorta di drammatica «vacanza dalla vita» («Siamo completamente liberi • scrive Gotthold von Rhoden - la morte non incute più paura. Se non avessi paura di es¬ sere frainteso, potrei dire che ci sentiamo "staccati" da persone e cose della nostra vita passata»). Che questa «vacanza dalla vita» plasmata dall'esperienza del grande massacro avvenuto nelle trincee della prima guerra mondiale sia la vera matrice - più di tanti stampini ideologici - dei movimenti totalitari che s'installano di lì a poco in Italia e in Germania, nonché del mortifero masochismo e della sconvolgente identificazione col piacere di soffrire della dittatura stalinista, è cosa troppo nota perché vi si debba soffermare. Chi ora provi a specchiarsi in questo «mondo rovesciato», delineato dalla «grande guerra», prova fortissima la tentazione di scappare via. Di emergere verso vicende ariose dove anche l'umano guerreggiare conservi una dimensione di sfida, di leggerezza, di cavalleresco seppure crudele confronto. Vicende di questo tipo accadono anche allora. Una di queste prende posto sul fronte italiano, un mese prima della tragedia di Caporetto. E' il settembre del 1917 quando - dopo vari preliminari - sul fronte di Carzano, in Valsugana, un giovane ufficiale pluridecorato dello schieramento austriaco, Ludovico Pivko, prende contatto con i suoi dirimpettai italiani. Pivko fa parte del Reggimento ceko. Nonostante le azioni di valore che ha compiuto sull'Altipiano di Asiago, non ha più fiducia nei comandi di Vienna: durante una breve licenza ha assaporato, poderosa, la voglia dei suoi compatrioti di staccarsi dall'Impero asburgico. Quando torna in trincea cerca l'abboccamento con i «nemici»: l'italiano che lo incontra, nella terra di nessuno, è il capitano Finzi Pettorelli Lalatta, dell'Ufficio informazioni della I Armata. La guerra, in quelle settimane, infuria su tutto il fronte e anche in Valsugana. Ma sulle pendici del Levre, per poche ore notturne soltanto, la guerra sembra cessare per incanto. Silenziose dalle trincee escono alcune ombre e nella «terra di nessuno» s'intrecciano lunghi colloqui. Dal lungo confabulare nasce alla fine il piano di un'azione audace: «Pivko ci avrebbe fatto trovare la via aperta sul fondo della Valsugana, in corrispondenza al fronte tenuto dal suo battaglione. Attraverso questa falla si sarebbe insinuato alla chetichella dapprima il battaglione nostro di testa scrive Pettorelli Lalatta - poi la divisione di testa italiana per precipitarsi nella larga breccia e avanzare lungo il fondo dell'indifesa Valsugana, dove le riserve erano insignificanti». Piano audace: d'altra parte Pivko non era anche l'uomo che la settimana prima - in occasione di una visita al battaglione ceko dell'Imperatore austriaco, il giovane Carlo - ha proposto agli italiani, con realistica concretezza, d'involare, con un colpo di mano dei suoi commilitoni, il sovrano giunto da Vienna? Portandolo di peso dentro le linee italiane? Naturalmente i capoccioni con l'aquila d'oro sul cappello rabbrividiscono. Gli sembra meno rischioso buttare soldati sul campo di battaglia che muoversi lungo un copione che sembra inventato dall'Ariosto. Devono però accettare, alla fine, il piano d'irrompere con un colpo di mano - attraverso il varco di Carzano - su Trento. Scelgono però di affidare il comando dell'azione all'uomo sbagliato: «Un generale - scrive un altro ufficiale ben addentro al piano, il capitano Marchetti - nuovo della zona, alla prima prova come comandante di truppa in combattimento, uomo da tavolino, tutto regolamenti...». E così accade quello che non dovrebbe accadere: «La divisione del generale Zincone - scrive il Marchetti - si mosse con la velocità della lumaca. Invece di correre si snodò sospettosa, procedette coi piedi talmente di piombo che si persero due ore senza concludere nulla... Così la sorpresa svanì. Alla primissima e debole reazione nemica fatta a casaccio, lo Zincone diede l'ordine di ritirata, senza tentar nulla». L'azione che poteva cambiare il corso della «grande guerra» sul fronte italiano abortisce. Di lì a poche settimane arriva Caporetto. Ma, questa, è un'altra storia. Oreste del Buono Giorgio Boatti La proposta, insieme ad altre poi fallite, fatta nella «terra di nessuno» per una visita al fronte di ( ìirlo dAbsburgo Da leggere: E.J. Leed Terra di nessuno: esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale Bologna, 1985 G. Rochat L'Italia nella prima guerra mondiale: problemi di interpretazione e prospettive di ricerca Milano 1976 P. Melograni Storia politica della grande guerra, 1969 e, ora, I99B C. Pectorelli Lalatta I.T.O., Note di un capo del servizio informazioni d'armata T. Marchetti Ventotto anni nel Servizio Informazioni Trento I960 Un'immagine del disastro di Caporetto nella Prima Guerra Mondiale