Sperduti sulle Alpi del sogno italiano

Sperduti sulle Alpi del sogno italiano A piedi, sui sentieri del Moncenisio, a dodici gradi sottozero, per sfuggire ai controlli Sperduti sulle Alpi del sogno italiano Con Vavanguardia clandestina nella notte delle stelle IL VIAGGIO IN CERCA DI UN LAVORO COL DU MONT-CENIS DAL NOSTRO INVIATO C'è un uomo con la testa avvolta in un turbante giallo, che trema nel suo K-way e si gira quando sente il rumore della frenata sulla neve. Alza le mani per arrendersi, domanda: «Polke?». No, quassù niente poliziotti. «Portami in Italia. Quanto vuoi? Fammi entrare nel bagagliaio». Sono le undici di sera, al colle del Moncenisio, frontiera tra Francia e Italia, 2083 metri di altitudine, altopiano a 12 gradi sotto zero. Dieci passi avanti ci sono altri due uomini. Sono emigranti, l'avanguardia clandestina che scavalca le montagne francesi per raggiungere l'Italia, in cerca di un posto nella sanatoria, un lavoro, una vita nuova. Uno ha addosso una tuta nera, la scritta Adidas lo tradisce nel buio. L'altro ha un paio di Nike con il tallone che riflette la luce dei fari. Borse strapiene, buttate nella neve. I due si siedono per terra, «siamo stanchi», fa quello con il turbante giallo, un vecchio asciugamano. «Questa mano non la sento più». La mano è semicongelata. «E' sicuro che non sei un poliziotto?». Chiede i documenti. Li guarda bene, «Documenti veri, beata te che li hai. Ci fai salire un momento? Hai paura? Ti capisco. Tu sei donna, noi siamo tre uomini. Ma stiamo morendo di freddo. Ci fai salire? Grazie». IL MARATONETA. L'uomo con la tuta Adidas ha 29 anni, si chiama Moussakeika, è nato in Mali, fa il maratoneta. Si spiega bene in italiano, ma parla in inglese perché così anche gli altri due capiscono: uno è indiano «del Nord», l'altro è del Pakistan. Il primo elettricista, l'altro studente di ingegneria. Sono arrivati fin qua, «dalla Germania, da otto anni viviamo in Frankfurt». Forse mente, perché questa è la loro prima neve. «Non l'abbiamo mai vista». Il maratoneta l'ha vista perché viveva in Italia, «a Maddaloni, vicino a Caserta. Operaio in una fabbrica di ombrelloni da spiaggia. Cinquantamila al giorno, in nero». Il sogno è di fare l'atleta professionista. «Ho preso le ferie, sono andato in Francia a fare il provino per un club, a Melun. Stavo rientrando e l'Italia ha annunciato la sanatoria. Sono a posto, penso. Invece mi hanno fermato a Modane. Ho 48 ore di tempo per lasciare la Francia. Ce la farò a passare in Italia?». MODANE, LA STAZIONE. Moussakeika è arrivato ieri. La stazione è piena di polizia, di bambini piangenti, donne con chador e gonne lunghe, uomini disperati che rifiutano i panini della Croce Rossa, e urlano «Devo andare in Italia, fatemi risalire sul treno», «Sono curdo, rifugiato politico», «Sono iraniano, mio fratello mi aspetta a Bardonecchia, lasciatemi andare». Andare avanti non si può. Tornare indietro? Nem- meno. I ragazzi della Crs, i reparti di pronto intervento francese, presidiano la stazione. Teste rasate, anfibi nei piedi, manganello alla cintura. Non parlano, controllano. Quelli della Gendarmerie dicono che è colpa degli italiani. «La vostra sanatoria! Fino al 30 dicembre ci sarà questa grande fuga». Il termine è il 15 dicembre. «Noi sappiamo che verrà prolungata». Al centro interforze italo-francese, Alain Silvy, comandante della Polke di Modane, dice: «Quando hanno capito che il treno non funzionava, si sono precipitati ai telefoni. Hanno chiamato parenti, amici, e quelli che hanno organizzato i viaggi. In due ore non c'era più una carta telefonica. Il giorno dopo sono arrivati gli amici, in macchina. Li hanno caricati, sono andati al traforo del Fréjus. Lì sono stati fermati, arrestati. La polizia chiede i documenti, nessuno di loro li ha». LA MONTAGNA. L'ultima chance è la montagna che il tramonto colora di rosa. Tre giorni fa è nevicato, alla prossima neve il valico sarà impraticabile. «Bisogna fare in fretta, la neve è la nostra rovina», dice un ragazzo del Bangladesh in cammino verso il colle. Va di buon passo, coperto da un giubbotto corto con il collo di pelliccia falsa. Niente guanti. Niente cappello. Una povera borsa in una mano, un sacchetto con due arance e la bottiglia d'acqua. LA DONNA CINESE. Fa l'autostop. «Vai hi Italia? Portami al lago. Ti darò 300 franchi». Ha un borsone con la cerniera strappata, un cappottino rosso leggero, ai piedi scarpe con il tacco, al collo un foularino di cotone a fiori. «Quattrocento franchi? Di più non posso darti. Arrivo da Parigi, Gare de Lyon. Mi sono nascosta in una cuccetta. Tre donne e tre uomini. A Modane ci hanno preso. Devo passare di là. Ho pagato 3000 franchi, mille subito, gli altri li restituirò lavorando. A Firenze, in una pelletteria. Sono brava a cucire i manici delle borsette». IL BIDONE. E' buio. Impianti di risalita, un cannone che spara neve artificiale per gli sciatori del prossimo weekend. Alla curva il cartello d'ingresso ad un parco. «Ferme», chiuso. Seduto su una pietra un curdo, maglione e pantaloni di cotone, nel gelo. Cerca il passaggio per il colle fatato, un taxista l'ha portato per 500 franchi qui. «Vedi? Il colle è chiuso». E' ripartito, quel «Ferme» è diventato un bidone da 500 franchi. Altre crudeltà costano meno. A Modane un italiano ha venduto al senegalese Babacar la ricevuta di un ristorante di Pinerolo. «Gli ho dato 50 mila lire, la userò per dimostrare che ero in Italia da prima del 27 marzo. Vedi, qui c'è scritto 11 febbraio». Ma come dimostrerà che proprio lei l'il febbraio era a Pinerolo? Non c'è il suo nome. Scoppia a piangere: alla truffa non aveva pensato. IL COLLE. Dodici sotto zero. «Col du Mont-Cenis. Altitude 2083 m.». La strada brilla di ghiaccio, i fari illuminano un vecchio fascio littorio, i francesi l'hanno trasformato in monumento ai caduti della Liberazione. Riecco i tre pellegrini in tuta da ginnastica, e l'uomo con il turbante giallo. «Sai dov'è il lago? Cerchiamo la strada che porta al lago artificiale. Hai una mappa?». Sulla mappa c'è un lago, ma poi un altro. Moussakeika ha pagato cento franchi a un uomo di Lanslebourg per avere l'informazione giusta, e un nome: Roterei. E' il lago piccolo, vicino al confine. . «P. PALATZ». E dopo il lago? Dopo c'è un biglietto con su scritto «P. Palatz». Su altri biglietti, mostrati a Modane, c'era scritto «Porta Palace», e «Porta Palatzo». Il sogno di tanti: il mercato generale di Torino, «Porta Palazzo», «lì si trova tutto, "papiers", permesso di soggiorno, contratto di lavoro. Tu paghi, loro ti danno tutto». Da qui a Torino è ancora lunga, e ci sono i posti di blocco francesi, e poi quelli italiani. «Cerchiamo il lago. Signora, per favore, alzi il riscaldamento?». POSTO Di BLOCCO. «Bella questa macchina. E' tua?». No. «Rubata?». No, un prestito. Dall'ultima curva si intravede il vecchio confine francese. Lo chalet di legno è buio. Nessuno. Cinque chilometri più avanti, forse, l'Italia. Nessuno parla. «Spegni le luci, abbiamo paura, se la polke ci trova è finita». Fari spenti, cielo nero. «Look, the PolarStar!». E in quel momento preciso ecco una stella cadente, una delle Leonidi. «Good luck, buona fortuna, per noi quattro. Ma a te cosa succede se ti trovano con noi? Ti arrestano?». Sotto c'è il blocco italiano, e c'è di sicuro. Lo ha garantito nel pomeriggio il giovane capitano dei carabinieri di Susa, Silvano Ceccato: «Da sei giorni, 24 ore su 24. Lo troverà». E allora indietro, a cercare il Roterei. IL LAGO. La mappa segna una strada, tracciata da Napoleone. «L'Empereur! E' passato da qui?». Dopo l'obelisco, a destra dovrebbe esserci il lago. La neve è intatta, stanotte nessuno è passato. Si scende, tra cespi di erba ghiacciata, orme di animali, una poiana vola via, accecata dai fari. «Spegni, c'è una luce». Non è la police, è la casa del guardiano della diga. La strada è piena di buche. A destra qualcosa luccica, ed è il lago che comincia a gelare. Il Roterei è ancora lontano. A PIEDL «Speriamo che non ti rubino la macchina». Gli occhi si abituano al buio, le stelle bastano ad orientarsi. A destra il lago, davanti la vecchia strada. Le Nike scivolano, le suole di cuoio peggio. Moussakeika: «Toma indietro. Ma vendimi i tuoi scarponi. Sei stata brava, ti sei vestita da alpinista. Ti do 50 mila lire e le Nike». Gli scarponi sono numero 40, il maratoneta del Mali calza il 43. Niente scambio. «L'uomo di Lanslebourg mi ha detto "non fermarti mai, altrimenti morirai congelato». Avanti, avanti. «Hai del cognac?». No. Lo studente del Pakistan ha mal di denti. Tira fuori dalla borsa una camicia, l'annoda in testa. Un altro chilometro. Poi il maratoneta decide che la «donna italiana» deve tornare indietro. Forse dietro quel mucchio di pietre che scintillano di neve gelata c'è il loro «passeur», la guida. Lui dice «siamo soli, non avevamo più soldi per il passeur». Mezzanotte passata. Il telefonino non funziona. Per chiamare chi? «Non c'è campo, vedi? anche il mio non funziona». Tira fuori dalla tasca del K-way mi Motorola Gsm. «Torna indietro». L'mdiano fa sì con la testa: «You will be tired in two hours. You are a woman». Il Roterei deve essere laggiù, da qualche parte. «Adieu, merci: non denunciarci». Rifiuta mi paio di guanti, «Prega invece per noi. Se muoio qui? Pazienza, meglio che in Francia. Lì sono troppo razzisti». LA GRAND-CROI*. I tre sono spariti. Ma vanno sulla strada sbagliata, traditi dalla mappa. Il Roterei è sotto, ma a Est. Loro hanno piegato a Ovest, si troveranno alla diga, nel punto esatto dove l'inverno scorso due uomini degli impianti di risalita sono stati colpiti da una slavina. A Grand-Croix si oltrepassa la garitta dei francesi. Le sbarre alzate. Poi i tornanti, le chiamano «scale del Moncenisio», ima classica delle corse in salita. Di notte fanno paura. Sulla sinistra una cascata ghiacciata. I CARABINIERI. Una volpe salta sulla strada. Poi un gruppo di baracche di legno, una scritta «Restaurant. Polenta», il cartello «Bard Cenisio Frazione di Venaus», una sbarra, la bandiera italiana luminosa. Uomini che corrono, una lanterna. Carabiìiieri. «Documenti. Chi è? Apra il bagagliaio. Cosa ci fa quassù? Vuole un caffè?». Al «Bai- Dogana» tre carabùùeri giovani, e un maresciallo che beve amaro Montenegro. Il padrone del locale si chiama Vincenzo Losito: «Ho visto i clandestini italiani che nel '46 passavano il colli; verso la Francia, in cerca di lavoro. Ma questi qua...... I carabinieri giovani vengono da Moncaliuri, sono del «battaglione», li spediscono sulle emergenze. Ma fa troppo freddo, «anche con la termofodera». «Qui ci dovrebbero mandare gli alpini». «Noi speriamo solo che nevichi. Due metri, tre metri, così da qui non passerà più nessuno». Brunella Giovara «La montagna è la nostra ultima chance In treno o in auto ormai non passiamo più. Ma bisogna fare in fretta, la neve è la nostra rovina» La rabbia dei gendarmi «Per colpa della vostra sanatoria sarà così fino al 30 dicembre» Il barista al Colle: nel '46 ho visto i clandestini italiani che espatriavano in cerca di un posto La stazione di Bardonecchia: per più di un clandestino il sogno italiano è finito qui COLLE DEL MONCENISIO I GRAND CROIX 2083 di altitudine, valico utilizzato da Napoleone per scendere in Italia Era la vecchia sede delle dogane, prima del trattato di Schengen ^

Persone citate: Alain Silvy, Brunella Giovara, Cenisio, Empereur, Lyon, Mont, Silvano Ceccato, Vincenzo Losito