«Qui non siamo numeri»

«Qui non siamo numeri» «Qui non siamo numeri» «Nellepubbliche c'è soltanto caos» LTORINO A scuola pubblica è andata tutta in centro: un giovane, talora giovanissimo, fiume colorato di giacche, jeans, zaini attraversato da slogan, sovrastato dal pum-pum della techno music. La scuola privata, invece, non s'è mossa: è dove si trova tutte le sante mattine. Al suo posto, con gli insegnanti in cattedra, gli studenti nei banchi. Prendiamo l'istituto Rosmini, ad esempio, dove abbiamo domandato ai «privatisti» che cosa pensano delle polemiche che squassano il pianeta istruzione, come giudicano la lotta politica sulla parità scolastica. Silenzio nei corridoi, dalle aule arrivano fioche le voci dei professori, le risposte dei ragazzi. Alle 12,35, la campanella annuncia ad alcune classi la fine lezioni, ad altre l'intervallo di 5 minuti prima dell'ultima ora. I giovani che hanno concluso la mattinata scendono le scale con la fretta rumorosa che tutte le generazioni studentesche mettono nello svignarsela: a soddisfare la nostra curiosità provvedono Laura Ferrerò e Alessandro Sona, compagni nella 4a liceo scientifico: li attende ancora l'ora di latino, raccontano perché «privato è meglio». Già, perché? «Perché qui c'è rispetto assoluto per noi, non siamo solo un numero sul registro, un nome che gli insegnanti, sì e no, mal conoscono. Nel nostro istituto è l'opposto: innanzitutto, esiste un rapporto vero con i professori». E' naturale che difendiate il vostro modo di studiare. Però, chi vi assicura che la «statale» sia solo il regno dello sfascio che state dipingendo? «I primi a dipingerlo sono i nostri amici del pubblico, dicono che l'insegnamento pubblico ha sempre meno dell'insegnamento e sempre più del caos, della disorganizzazione». Laura Ferrerò è una graziosa ragazza bruna, gli occhi brillano della luce che anima lo sguardo dei tenaci, di coloro ai quali madre natura ha regalato determinazione d'acciaio. Questo sguardo accompagna il dire della studentessa: «Ho sperimentato il pubblico alle elementari, è bastato. A me e ai miei genitori. Al Rosmini non ho più respirato, manco un giorno, il clima di poca serietà di quando ero bambina: una volta sì e una no mancava il maestro, il supplente lo vedevi dopo giorni e giorni, l'anno era un girotondo senza fine di facce nuove in cattedra. Anche alle superiori, oggi, non è cambiato granché, illuminanti i racconti di amici e amiche del liceo statale». Alessandro Sona, alto, occhialuto, la serietà degli adulti trasmigrata in un viso diciottenne, ribadisce «Anch'io nelle elementari ho provato il pubblico, il ricordo è pessimo. Logico che pure nella scuola dello Stato ci sia qualche nicchia di buon funzionamento, ma si tratta appunto di nicchia: quindi, di eccezione che conferma la regola dell'inefficienza». Voi qui in classe, i vostri coetanei in centro, a manifestare. I nostri due ragazzi annuiscono, Laura è la più drastica: «I più non sanno affatto per che cosa scioperano. Hanno idee vaghe, confuse, lo scendere in piazza è un pretesto per non passare una mattinata in classe. A questa obiezione ti rispondono che fare sciopero significa socializzare però sono solo alibi: la realtà è che perdono unicamente ore di studio. Come non ne perdessero già tante». Alessandro conferma coniando lo slogan: «Chi sceglie il privato sceglie l'impegno». Ma, via, manco un'invidia piccola piccola non la provate, voi e gli altri liceali del Rosmini, per quelli della pubblica che se ne sono andati in centro? La risposta è un «No, manco un briciolo». E, un briciolo di parole liquida la questione politica, le polemiche innescate dalla parità, dal finanziamento agli istituti privati: «Polemiche se ne fanno sempre su tutto, normale investano la scuola. Ad ogni modo, è giusto che il settore privato venga aiutato». Per gli istituti religiosi non dovrebbe provvedere la Chiesa? Eppoi, ci sono già le rette, che sono pure salate. Laura e Alessandro, a una sola voce: «Giusti e doverosi gli incentivi statali, anche perché dal privato "esce" la qualità. O, almeno, una qualità che nel 90 per cento dei casi è migliore di quella prodotta dal pubblico». Che tutti i «privatisti» siano della stoffa di Laura e Alessandro? Mah, dubitare conviene. Anche perché, a poche centinaia di metri dal Rosmini, in via Nizza, davanti all'edificio che ospita l'«Istituto Padano» alcuni studenti appena usciti di classe ridono: «Che culo gli "statalini", oggi si sono di nuovo divertiti. Lei vuole sapere per cos'era lo sciopero? Boli, dunque, ecco, c'è tutta questa storia dei soldi, cioè dicono...» Al Rosmini sostengono di non invidiare gli scioperanti. Risposta di gruppo, immediata: «Là sono tutti secchioni». Claudio Giacchino Parlano i ragazzi torinesi dello «storico» Istituto Rosmini

Persone citate: Alessandro Sona, Boli, Claudio Giacchino, Laura Ferrerò, Rosmini