«Diplomifici per ricchi»

«Diplomifici per ricchi» «Diplomifici per ricchi» «Leprivate non preparano alla vita» LMILANO E scuole private sono diplomifici, accessibili solo a chi ha i soldi, controllate al 90% dai preti e non preparano alla vita. Quindi, niente parità e niente finanziamenti», è il diktat di Gabriele, 18 anni, zazzera e jeans sdruciti, felpa e scarpe americane con le stringhe arancione, ultimo anno di liceo e idee chiarissime. «Se non c'era l'occupazione, andavo anch'io al corteo», quasi si giustifica, in quest'auletta al primo piano del liceo classico Alessandro Manzoni, Regio liceo come ricorda il marmo, all'ingresso. Scuola occupata da cinque giorni, come spiegano i cartelli a pennarello con il programma di autogestione. Dove alla visione di gruppo dei cartoni tv dei Simpson si accompagna il collettivo sul marxismo, quello sull'autodifesa, il concerto della sera e pure le versioni dal Latino del mattino, con i professori non più in cattedra ma tra i banchi. «Andiamo alla Corea», dice Gabriele svoltando l'angolo, puntando verso la saletta chiamata così, con l'autoironia di chi si appiccica l'immagine del reietto. Nella Corea si riuniscono quelli del Rase, che poi starebbe per Rete autogestita degli studenti dei collettivi. Quelli della scuola pubblica che pestano i piedi contro i 346 miliardi della legge sulla parità, quelli che non vorrebbero dare una lira ai «fighetti con lo scooter e i pantaloni firmati, che pagano milioni tanto poi li promuovono, che fanno due ore di religione alla settimana e gli fanno una testa così». «Io li vedo, quelli lì, sul tram», parla con malcelato disprezzo Carolina, 16 anni, prima liceo, trucco leggero e tre orecchini conici al lobo sinistro. «Io li sento, quando parlano solo di moda, di cinema. E mai di politica, perché sono superficiali», li bolla lei, per quei cinque minuti sulla stessa piattaforma del tram, divisi da una fermata, l'ideologia, l'abito come appartenenza, la musica che passa nelle orecchie e pure l'immagine che vorrebbero del migliore mondo possibile. «Con le autogestioni c'è gente che si è avvicinata ai centri sociali, che ha partecipato all'ultima occupazione della casa dove adesso c'è Metropolix», fa l'elenco dei meriti Gabriele. «Nelle scuole private invece si rimbambiscono. Stanno in nove per classe, sempre quei nove. Poi quando all'università si trovano in cento, sono problemi», la sa lunga Giulia, brillantino al naso e bandana, che all'università - «Mi piacerebbe fare l'archeologa» - ci andrà tra due anni. ((Anche se il mio futuro non è solo il lavoro ma crescere e conoscere», puntualizza. «Io alla scuola privata sono contro per principio», non fa sconti Valerio, seconda liceo, che pure ammette di avere passato due anni in una scuola così ma di non essere cambiato poi molto, da allora. «Sono quello di prima, anche se adesso non sono più costretto a mettere il cerotto per nascondere il piercing al naso», se la ride mentre incrocia gli occhi sotto ai capelli biondi ossigenati e spettinati come quelli di un Johnny Rotten dei Sex pistols, musica punk di riferimento ancora oggi, venti anni dopo il loro scioglimento, quattro anni prima che nascesse Valerio. «Sì, ma non generalizziamo. Non sempre si vede la differenza tra noi e loro. Non sempre i professori delle scuole private sono i peggiori», fa i distinguo Carolina, 16 anni, treccine e l'ultima classe delle elementari, tutte le medie inferiori e pure due anni di ginnasio in una scuola privata d'elite. «Certo che da loro esce la futura classe dirigente. Ma solo perché vengono da corte famiglie, perché sono destinati», replica Valerio, stessa panchina a un passo dalla palestra, con i murales e le pareti verdi. «I finanziamenti alle private tolgono soldi alla scuola pubblica. A noi manca la rete per la pallavolo, nelle loro scuole hanno anche la piscina. Per non parlare delle scuole di periferia o quelle al Sud», fa i conti Martina, 16 anni pure lei, capelli cortissimi, occhiali con montatura bianca dietro a cui si vede appena la sfumatura dell'ombretto. «Mia madre insegna in una scuola a Rozzano, sembra una giungla. Se quelli vogliono andare in una scuola privata, se la paghino. Ma non con i soldi nostri», assicura. Alle 14 e passa, dalla rosticceria arrivano i maccheroni, cinquemila la porzione, autogestiti pure quelli. Come le lezioni di recupero con gli insegnanti che giudicano illegale l'occupazione, ma poi si fanno in quattro. Come i concerti della sera e il film della buona notte, ieri l'inossidabile Rocky Horror. «Noi non molliamo», fa la battagliera Martina, mentre passa davanti alle classi dove ci sono i cartelli che indicano la materia del colletivo, uno che arpeggia di chitarra, due che si baciano. «Che in una settimana di collettivo si imparano più cose che in tre mesi di lezione», cita, Gabriele. «Lo so che l'ha detto Mario Capanna. Lo so chi è, i miei hanno fatto il '68», puntualizza. E poi spiega che nella Costituzione c'è scritto che il diritto allo studio è garantito ma non si parla di finanziamenti alla scuola privata, che lo Stato è laico e non confessionale. Che, insomma, di quei 346 miliardi su cui il governo si è diviso «quelli là, non devono avere nemmeno una lira». Fabio Potetti Lo sfogo degli occupanti del liceo milanese Manzoni

Persone citate: Alessandro Manzoni, Fabio Potetti, Johnny Rotten, Manzoni, Mario Capanna, Simpson

Luoghi citati: Corea, Rozzano