«Italiani, è una causa sbagliata» di Mimmo Candito
«Italiani, è una causa sbagliata» «Italiani, è una causa sbagliata» «Per noi democratici Ocalan è un terrorista» IL DIRETTORE DI CUMHURIYET ISTANBUL DAL NOSTRO INVIATO I politici sparano cannonate verbali per la piazza, gl'imprenditori agitano il boicottaggio per la gioia delle tv, la gente comune si sente in dovere di bruciare la bandiera del nemico. E all'improvviso la gentile, dolcissima Turchia si trasforma in un Paese dove puoi perfino temere di parlare in italiano se vai ,per strada. «E' certo che il "problema Ocalan" tocca un tasto sensibilissimo del mio Paese». Lo dice Himet Cetinkaya, che è uno dei pochissimi che il giornalista straniero abbia trovato ancora dedito a Cartesio e non a Rodomonte; dirige uno dei 3 più importanti giornali turchi, il «Cumhuriyet», un quotidiano esemplare nel suo spirito democratico, che ha pagato quest'impegno con la morte di alcuni giornalisti e con bombe e attentati alla sua vecchia redazione di Turkocagi Caddesi. Lui stesso, il direttore, è stato in prigione due volte - nei Putsch militari del '73 e dell'80 - imprigionato, torturato, e condannato. Perché? «Perché ero marxista, tutto lì. Ma proprio per questa mia storia personale posso oggi dire a pieno titolo che Ocalan - che si professa marxista e leninista con il marxismo non ha proprio nulla a che fare, né col proletariato». E allora cos'è, Ocalan? «E' soltanto un terrorista». E il Pkk allora che cos'è? «E' un'organizzazione terroristica». Ma c'è, dietro, un progetto di riscatto nazionale? «La Turchia è un mosaico, ci vivono curdi, turchi, albanesi, assiri, slavi, arabi. Ci sono 26 etnie e cinque religioni, e questo pezzo di mondo ha sempre saputo vivere unito. Nessuno vuol cancellare nessuno». Però nel Kurdistan turco c'è la legge marziale. «Nelle regioni del Sud-Est, da 14 anni c'è una guerra coperta. L'ha lanciata il Pkk». Che chiede indipendenza, o forse soltanto autonomia. E' un progetto democratico. «Nel terrorismo non c'è democrazia. Il terrorismo non è né di destra né di sinistra; è solo il boia della democrazia». Ma la legge marziale, i soldati, i cannoni, i villaggi bruciati - tutto questo non è democrazia. «La Turchia ha bisogno di democrazia. Però dietro ogni guerra ci sono sempre ragioni economiche, e il sottosviluppo delle regioni del Sud-Est (il Kurdistan, ndr) diventa un terreno di coltura per questa grave crisi». E', dunque, il problema di una minoranza che non riesce a entrare nelle dinamiche di modernizzazione della Turchia? «I curdi non sono una minoranza. Loro sono dovunque, ci sono banchieri, imprenditori, generali curdi, c'è stato perfino un primo ministro - Turgut Ozal - che era curdo». E allora la guerra coperta? «Dietro possibili ragioni ideali c'è ben altro. Italia e Turchia sono Paesi fratelli nella lotta contro la mafia, e la mafia si regge sul traffico della droga e su quello delle armi. Noi abbiamo avuto un redattore ammazzato, Urgu Mumcuk, che stava svelando questo intreccio tra mafia e politica. E voi avete un procuratore generale che deve anche dormire sotto scorta. Né l'Italia né la Turchia hanno saputo smontare il meccanismo delle complicità internazionali della mafia». E il sangue, i morti, la repressione? «Muoiono soldati e muoiono civili, e il Pkk ha ammazzato anche donne e bambini curdi. In questa guerra i diritti civili sono costantemente violati, anche perché la Turchia ha ancora un largo deficit di democrazia». E intanto qui si agita la guerra all'Italia. «Questo sciovinismo è strumentale. Va condannato fermamente, è molto pericoloso. Bisogna fare un fermo richiamo alla razionalità, al senso della misura». Però l'attenzione che l'Italia mette al problema curdo non è solo dell'Italia, c'è anche l'intera Europa. «Una delle colpe della Turchia, vittima del suo deficit di democrazia, è di non aver saputo spiegare all'Europa il caso curdo. Che è soprattutto un caso di sottosviluppo e di radici feudali, di grandi proprietà fondiarie, di emigrazione disperata verso la città, Smirne, Antalya, Ankara. Dei 13 milioni di stambulioti, 8 vengono da quelle terre». Accusando il Pkk di terrorismo, non si rischia di ripetere il meccanismo che 20 anni fa bollava Arafat di terrorismo? «I palestinesi lottavano per recuparere la loro terra. I curdi ce l'hanno, la loro terra». Ma il trattato di Sèvres dà comunque un fondamento alle loro rivendicazioni, se non altro di autonomia. «Un governo autenticamente democratico può risolvere an- che questo problema, perché è autenticamente rappresentativo». Basterà, a fermare i massacri, i morti, le ribellioni? «E' anche un problema di strategie generali. Il caso curdo nacque dentro la Guerra Fredda, quando la Turchia era un bastione della Nato; ora "il caso" si inserisce all'interno di un'altra tappa del Grande Gioco, dove interviene anche la carta iraniana. Gli Usa sono interessati a formare un qualche Stato curdo nel Nord dell'Iraq, e c'è come posta la via del petrolio, e anche il controllo del Medio Oriente. Il problema è dannatamente complica- to». Lei che farebbe, con Ocalan? «Si trova in Italia, giudichino le leggi italiane che cosa farne». (Per inquadrare compiutamente l'intervista, il reporter ha l'obbligo di raccontare il contesto nel quale si colloca l'analisi di Cetinkaya. In questi giorni, per ben tre volte l'ingaggio di un interprete è stato rescisso perché alla fine il traduttore aveva paura di mettersi nei guai andando in giro con il reporter. «Mi scusi. Io, qui ci vivo». La Turchia di oggi è questa.) Mimmo Candito
Persone citate: Arafat, Himet Cetinkaya, Ocalan, Smirne, Turgut Ozal, Urgu Mumcuk
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