Marta, un teste tradisce la difesa

Marta, un teste tradisce la difesa Doveva confermare l'alibi di Ferraro, ma la sua deposizione è stata una serie di «non ricordo» Marta, un teste tradisce la difesa E ora rischia di essere indagato ROMA. E quattro. Dopo lo studente che aveva fatto l'occhiolino agli imputati e la studentessa che raccontò di minacce della polizia, al processo per l'omicidio di Marta Russo altri due testimoni della difesa rischiano di finire indagati per le loro deposizioni in aula. «Questo metodo va avanti da tempo, tutti possono giudicare», commenta uno dei difensori, l'avvocato Enzo Siniscalchi, al termine dell'ennesima udienza ricca di tensioni e scontri tra le parti. Ad aprire le ostilità è il procuratore aggiunto Italo Ormarmi, che chiede alla Corte gli atti dell'udienza precedente, nella quale l'impiegata Laura Cappelli mise in dubbio le accuse della super-testimone Gabriella Alletto. La donna disse che la segretaria le confidò di essere stata «messa in mezzo», che lei non stava nell'aula 6 di Filosofia del diritto, che gli inquirenti le avevano fatto dei nomi. Circostanze, secondo l'accusa, non riferite dalla signora Cappelli in istruttoria: di qui la possibilità che venga inquisita per falsa testimonianza o favoreggiamento. L'altro episodio arriva a metà giornata, al termine dell'interrogatorio di un'altra persona chiamata a deporre da Salvatore Ferraro, uno dei due imputati per l'omicidio di Marta. Si chiama Domenico Condemi, ha ventisei anni, è calabrese come Ferraro e stando a un rapporto della Digos avrebbe contatti con i malavitosi del clan Morabito. Condemi riferisce in maniera confusa le cose che sa, ma soprattutto non fornisce alla difesa l'alibi che sperava. Ferraro sostiene infatti che la mattina del 9 maggio '97, giorno dell'omicidio, lui era a casa, e tra le telefonate ricevute ci fu pure quella dello studente Condemi, «che chiamò intorno a mezzogiorno». Gli avvocati difensori vanno subito al punto: «Ricorda quella telefonata?». Lo studente ci pensa e poi risponde: «Non ricordo se telefonai il 9 maggio. In quel periodo feci varie telefonate a Ferraro, perché volevo spiegazioni sull'esame di Filosofia del diritto». E' il massimo che la difesa riesce a incassare da un testimone che, nel giro di qualche risposta, finisce per diventare una pedina dell'accusa. Dai tabulati Telecom, il 9 maggio non risultano chiamate mattutine dalla casa di Condemi a quella di Ferraro; ce n'è invece una fatta alle 15,44. «Di che parlaste?», chiede il pm. Condemi non ricorda. Ormarmi insiste: «Non è che per caso lei disse a Ferraro che bisognava andare all'università per recupe- rare una pistola?». Il ragazzo tentenna in silenzio, poi risponde: «Non ricordo». Per l'accusa può bastare, e dopo la pausa Condemi precisa: «Dovete capirmi, sono confuso e molto emozionato. Pensavo che quella domanda si riferisse alla pistola dell'altro processo». Già, perché Domenico Condemi da Africo, provincia di Reggio Calabria, nella primavera del '97 è rimasto coinvolto in un tentato omicidio per il quale le forze dell'ordine l'hanno cercato dal marzo al giugno di quell'anno. «Io quando seppi che mi cerca¬ vano sono sceso a casa mia, in Calabria, e ci sono rimasto finché non mi hanno trovato, a giugno», rivela il ragazzo. Che poco prima, a un'altra domanda, aveva risposto: «La mattina del 9 maggio rimasi nella mia casa di Roma». Ma come poteva essere a Roma se in quel periodo stava in Calabria? Condemi balbetta: «Non so, sarò sceso e risalito». Le telefonate con Ferraro, dopo il 9 maggio '97, sono tante, e secondo l'accusa coincidono con le novità sull'inchiesta per l'omicidio di Marta. Ma Condemi insiste: non ricorda di che cosa parlavano. Il pm chiede gli atti per decidere se indagare anche lui per favoreggiamento e falsa testimonianza, mentre Salvatore Ferraro prova a mettere ordine in questo guazzabuglio. L'imputato dice di aver conosciuto lo studente Condemi all'inizio del '97, e che nelle telefonate si parlava sempre dell'esame di Filosofia del diritto. Ricorda anche quella del 9 maggio mattina: «Una telefonata stranamente frettolosa, sbrigativa». Imputato e testimone vengono messi a confronto, ma Condemi non aiuta Ferraro: «Io questa telefonata sbrigativa non me la ricordo, perché ogni volta ti salutavo, ti chiedevo come stavi...». L'udienza prosegue con la deposizione di Giuseppe Scattone, padre dell'altro imputato di omicidio, che si dice sicuro dell'innocenza del figlio Giovanni. Al termine il padre di Marta Russo commenta: «Dal punto di vista umano posso esprimergli solidarietà, anche se al suo posto avrei clùesto a mio figlio: "Cosa hai fatto il 9 maggio?"», [gio. bia.] E' uno studente calabrese Forse sarà inquisita che secondo la Digos avrebbe anche la donna che smentì legami con il clan Morabito l'accusatrice dei due imputati Salvatore Ferraro (a sinistra), ieri in aula, salutato da una suora di Rebibbia Il teste Domenico Condemi (a destra) dopo il confronto con l'imputato In basso, Giuseppe Scattone, padre di Giovanni

Luoghi citati: Africo, Calabria, Giovanni, Reggio Calabria, Roma