Il ribaltone alla siciliana

Il ribaltone alla siciliana Il ministro Cardinale pilota il cambio di maggioranza, sacrificando un altro cossighiano: il presidente Drago Il ribaltone alla siciliana Un centrosinistra dal volto enigmatico PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Non chiamatelo ribaltone, perché è molto più complicato. 0 almeno: visto dalle vetrate splendide di Palazzo dei Normanni, sede dell'assemblea regionale siciliana che l'altro ieri ha eletto il suo 52" presidente, sembra piuttosto una novità ritardata, un prevedibile imprevisto, un mistero di evidenza. E' finita una maggioranza di centrodestra, certo. E ne è cominciata un'altra di centrosinistra, la prima con presidente ex pei, l'onorevole agrigentino Angelo Capodicasa. Si sente dire: ha fatto tutto il ministro Cardinale, dell'Udr, formazione che prima ancora di nascere svolgeva da tempo il ruolo della De. Magari fosse così. Davanti a un piatto di spaghetti con i ricci, servito nel pomeriggio ormai inoltrato da 'Roney', senti dire che se non entra in giunta tale Ciccio De Martino, rappresentante dei socialisti Sdì («sdisonorati» secondo le abbondanti malelingue) torna tutto in discussione. La Rete è spaccata, poi, Orlando in minoranza. I popolari litigano, i dimani sono irrequieti. Insomma: il genio manovriero, l'adattabilità labirintica e al tempo stesso la vocazione belligerante che distingue i 90 onorevoli dell'Ars fa in modo che tale passaggio risulti enigmatico, inclassificabile. Di questo sono quasi tutti assai lieti. Anche i franchi tiratori, naturalmente, che qui sono tra i più rinomati del mondo e che dopo aver fatto mancare i voti al presidente (che però ce l'ha fatta lo stesso per procurato abbandono d'aula da parte dei rifondatori dell'isola, anch'essi specialissimi) hanno in pugno la situazione. E la stringeranno a piacimento, dovendo votare io ùnpiombare) nei prossimi giorni nome dopo nome, assessore dopo assessore. Ma un presidente, nel frattempo, è stato eletto. Con il consueto eccesso di rappresentazione - di cui i giornalisti che piovono dal nord resteranno grati in eterno trovi scritto che non solo è il sosia di Saddam Hussein, ma che durante la guerra del Golfo, a Londra, fu effettivamente scambiato per il dittatore iracheno in fuga e trattenuto dalla polizia inglese. In realtà, Capodicasa ha una bella faccia e una discreta pettinatura Anni 50. Funzionario di partito, uomo perbene, tenace e flemmatico, non brillante, non immaginifico, ma per proprio questo ormai apprezzabilmente diverso dal ceto partitico/ru-yhi oggi in voga. Poco aduso ai gesti simbolici, si è rifiutato di portare come suo primo atto un mazzo di fiori sui luoghi dove furono uccisi Piersanti Mattarella e Pio La Torre (di cui fu stretto collaboratore). E' dell'ala eminentemente «politica» (e un po' consociativa, secondo gli avversari) del comunismo e post-comunismo siciliano, quelli che hanno saputo resistere alle suggestioni nuoviste e orlandiane. Ancora un po' impacciato nel ruolo, con la moglie che l'ha accompagnato a Palazzo dei Normanni, ricorda di sfuggita «le lotte - dice - che mi hanno fatto persona», aveva 16 anni ed era lì quando Ancata pronunciò forse la più straordinaria invettiva antidemocristiana della storia, dopo la frana di Agrigento. «L'ho fatto io segretario della federazione - spiega da Roma Emanuele Macaluso è un riformista per temperamento, il meglio che potevano trovare». Ma sarà difficile riformare, in Sicilia. E partendo da che? Da chi? Dai precari «articolisti» (dal famigerato articolo 23) che in numero sempre crescente (ora sarebbero 40 mila) incarnano la disoccupazione endemica della Sicilia? Dal bilancio che se ne va a rotta di collo? Dalla sfiducia che cresce? L'ex presidente, Beppe Drago, ha invece i più consapevoli requisiti dell'immagine e la faccia da attore, sul tipo di Franco Nero. Ha resistito strenuamente e fino all'ultimo, poco attento alla simbologia ha nominato in extremis un suo fedelissimo consigliere della Croce Rossa. E' pure lui dell'Udr, ma l'hanno defenestrato lo stesso, avendo preferito Cardinale cinque-assessorati-cinque alla presidenza della regione. La spiegazione di tale preferenza la dà, nella sede un po' spoglia di Forza Italia, l'onorevole Gianfranco Miccichè, rappresentante del berlusconismo dell'isola, che sembra una belva in gabbia. I protagonisti di un ribaltone che qui, dove aveva vinto il centrodestra, è comunque molto più ribaltone che a Roma, sono i soliti democristiani. I loro meccanismi sono, a giudizio di questo giovane ex ribelle della buona borghesia, prodigiosamente riuscito a Publitalia e ormai da anni appassionatosi alla più dura e pericolosa politica siciliana, ecco, i meccanismi sono mirabilmente circolari: clientele utili per le poltrone e poltrone utili per gli affari. La nuova giunta non è per lui una sorpresa in assoluto: «Si è ricomposto un blocco di interessi che da 25 anni unisce la De a un pezzo di Pei». Con sublime scetticismo, il presidente dell'Assemblea, Nicola Cristaldi, di An, ridimensiona il tutto: «Qui in Sicilia si passa da una dominazione all'altra senza traumi». Resta il fatto che la vecchia maggioranza non stava in piedi, e la nuova - blocco o non blocco - ancora non si capisce come potrà starci. La misteriosa contraddizione sembra comunque un'occasione d'oro per un giovane leone di An come Fabio Granata: «Tocca alla sinistra, ora, sperimentare le resistenza e gli appetiti del magma centrista». Solo in Sicilia l'Udr può dimostrare di avere un corpo, oltre alla testa. La proporzionale qui gioca a suo favore: «Gli assessorati di spesa servono a rastrellare voti. Voglio vedere i bilanci, tra un po' di tempo». Ma intanto la caffetteria della regione, nel 1997, ha speso 370 milioni, pari a dieci caffè al giorno per ogni onorevole o dipendente. Tutti dovrebbero essere nervosetti, in teoria, per il colpo di Palazzo. La regione è la creatura democristiana per eccellenza. Macaluso racconta come, ormai mezzo secolo fa, gli Alessi e i Restivo ne forgiarono, le strutture, l'apparato, i funzionari, la mentalità a loro im¬ magine somiglianza. E invece silenzio, passi felpati, movimenti erratici, attesa del nulla. Eppure, per storia, condizioni geo-politiche e peso simbolicoevocativo, la Sicilia non è esattamente il Molise. Un rovesciamento di equilibri, qui hell'isola-laboratorio, ha sempre comportato o si è trascinato appresso, qui nell'isola, un potere quasi sempre indecifrabile, al momento, ma poi in qualche modo addirittura profetico. Si spiega così, con un dato di atmosfera collegato alla più assoluta incontrollabilità delle assemblee e alle forze oscure che qui più che altrove si immaginano al lavoro die¬ tro le quinte, la ricorrente analogia della stagione di Silvio Milazzo, il de che anticipando dii una trentina d'anni l'attuale concetto di «trasversalità» generò - tra i franchi tiratori e con il sostegno dell'Eni una giunta anti-romana e antifanfaniana appoggiata da comunisti, socialisti e missini. Nulla di avvicinabile all'oggi, ovviamente, a parte quell'ombra lunga di intrecci tormentati, di spade affilate, di arsenico e sottigliezze che pare di cogliere, in certi momenti, in certi silenzi, in certi occhi persi nel gioco del potere. Filippo Ceccarelli Al vertice il diessino Capodicasa un funzionario nato e cresciuto negli uffici del Partito comunista Segni particolari: sosia di Saddam I socialisti chiedono assessori Il ppi litiga, la Rete si spacca Tutto finisce in mano a un gruppo di agguerritissimi franchi tirator Angelo Capodicasa «sosia» $ di Saddam Hussein (a lato) Silvio Milazzo In alto: Palazzo dei Normanni sede dell' Assemblea regionale siciliana Angelo Capodicasa «sosia» $ di Saddam Hussein (a lato)