E Primakov disse: non voglio Ocalan qui

E Primakov disse: non voglio Ocalan qui Dalla partenza dalla Siria all'arrivo a Roma: la ricostruzione di trenta giorni di intrighi E Primakov disse: non voglio Ocalan qui Un mese a Mosca, poi la fuga MOSCA NOSTRO SERVIZIO Era un pomeriggio grigio e freddo, con raffiche di vento che buttavano violentemente la pioggia in faccia. Un gruppo di uomini stava osservando da dietro un'enorme vetrata un aereo che si stava avvicinando al terminal. La voce metallica dell'altoparlante aveva annunciato l'atterraggio del volo da Atene e i passeggeri erano cominciati a emergere nella sala dell'aeroporto Sheremetievo. Mentre tutti andavano alle cabine delle guardie di frontiera, uno si è diretto verso il gruppo che l'aspettava, ha stretto la mano a ciascuno e li ha abbracciati. Si trattava di un uomo alto e corpulento, con un paio di folti baffi e 10 sguardo deciso: «Apo» Ocalan, il leader curdo. Migliaia di uomini e donne del suo popolo lo avrebbero riconosciuto subito, ma qui, nel viavai dell'aeroporto di Mosca, poteva passare per un commerciante turco, un imprenditore greco o un diplomatico arabo. Se non fosse per 11 riguardo che gli avevano riservato i suoi accompagnatori, venendolo a prendere direttamente allo sbarco e scortandolo al primo piano, nella saletta vip. Così, accompagnati da una hostess sono entrati in una porta laterale e, dopo aver consegnato il passaporto del passeggero alla guardia di confine e pronunciato le magiche parole «delegazione parlamentare», si sono accomodati nelle ampie poltrone rosse stile Anni 70. Qualche sorriso, poche parole, un silenzio teso. Un'ordinazione al bar per ingannare l'attesa: tè, caffè, un cognac. A due metri di distanza, dietro la parete rivestita di legno, in uno sgabuzzino sterile e freddo, il passaporto del passeggero da Atene veniva illuminato con una luce accecante e sfogliato sotto la lente d'ingrandimento. Poi il clic del timbro: «Benvenuto a Mosca». .^^^ Un sospiro di sollievo e tutti sono usciti. Sono scesi per ima scala stretta nella sala partenze, scansando i tassisti che ofitencrana' corsa verso Mosca a prezzi follìe sono saliti su un'auto nera con la targa della nomenklatura. Si parte verso Odinzovo, alle porte di Mosca, una zona di dacie di ricchi, potenti e famosi. Qui, con vicini come Eltsin e Primakov, si può vivere lontano da occhi indiscreti. Una di queste dacie diventerà rifugio e quartier generale di Abdullah Ocalan. Tra la scomparsa del leader curdo dalla Siria, all'inizio di ottobre, e la sua ricomparsa a Fiumicino c'è un mese di misteri, intrighi internazionali di governi e servizi segreti, battaglie politiche. Una vicenda che viene definita «avvincente» dai suoi stessi protagonisti che però avvertono: si potrà raccontare tutto solo tra qualche anno. 0 forse mai. Ma tra ammissioni, bugie e silenzi emerge la trama della lunga fuga del leader curdo. A cominciare dalla sua entrata in Russia, con l'aiuto stando a una «fonte informata» degli uomini di Vladimir Zhirinovskij che hanno usato i mezzi della Duma per facilitare a Ocalan lo sbarco a Sheremetievo. E' andata davvero così? Alexej Mitrofanov, presidente del comitato della Duma per la geopolitica e braccio destro di Zhirinovskij, sor- ride: «Non nego e non confermo». E' stato questo giovane deputato a promuovere la causa del Kurdistan in Parlamento. Ha incontrato Ocalan durante il suo soggiorno russo? «Non nego e non confermo». Il governo russo invece continua a negare tutto, ma il rappresentante del partito operaio del Kurdistan in Russia, Mahir Velat, ormai ammette apertamente: «Il nostro leader è stato qui fino al 12 novembre». La rivelazione è anche una vendetta nei confronti di Evghenij Primakov, che ha costretto Ocalan a lasciare Mosca. «I russi sapevano - dice Sharaf Ashiri, del Parlamento curdo in esilio -, èravamo in contatto permanente con il governo, poi ci hanno detto che non avrebbero dato asilo a Ocalan, che doveva andarsene». Sapevano fin dall'inizio e taceva¬ no. Anche quando una telefonata via satellite partita da Odinzovo è stata intercettata dai servizi israeliani. Alla richiesta della Turchia Primakov ha risposto di aver ordinato senza esito di rintracciare Ocalan in Russia. Velat fa capire che non c'era bisogno di cercare: «Era solo un gesto diplomatico». Non era comunque la Russia la meta di Ocalan. Velat spiega che si è trattato di una fuga organizzata in tutta fretta. Appariva comunque un buon rifugio: una Duma antiamericana e antiturca e un premier che è stato nel Kgb e avrebbe aiutato negli Anni 70 i maixisti curdi. Ma Karen Brutenz, ex viceresponsabile del dipartimento internazionale del Ce del Pcus, smentisce: «Non li abbiamo mai aiutati, temevamo conflitti con gli alleati dell'epoca, l'Iraq e la Siria. A mio avviso è stato un errore: dovevamo dargli una mano». E Velat sbuffa: «Primakov è quello che ha distrutto il comunismo insieme con Gorbaciov». Ma i tempi sono cambiati, e per Ocalan dopo pochi giorni la terra in Russia comincia a scottare. La Duma chiede di dargli asilo, Eltsin tace, il governo è diviso e Primakov è contrario. Ha un bisogno disperato di aiuti economici occidentali, il curdo non può che complicare le cose. Cominciano i preparativi per volare a Roma. E le autorità italiane? Velat sorride: «Sapevano e non sapevano. Non abbiamo chiesto garanzie specifiche, ma è ovvio, queste cose si pianificano prima». Anna Zafesova E' entrato nel Paese con l'aiuto degli uomini del leader della ultradestra, Zhirinovskij Il governo, che ha un disperato bisogno di aiuti, temeva complicazioni internazionali