Torcia umana davanti al Celio di Enrico Singer

Torcia umana davanti al Celio Torcia umana davanti al Celio Un curdo si dà fuoco gridando: viva Ocalan ROMA. Era arrivato davanti al Celio sabato mattina. Con i primi curdi calati a Roma da tutta Europa per stringersi attorno a Ocalan. Zulkuf Yimaz, trent'anni, alto, i folti baffi neri, veniva dalla Svizzera. Da Sciaffusa dove vive da sette anni e dove lavora come operaio. Era partito con la moglie e il figlio di due anni che aveva rimandato a casa lunedì. Con lui era rimasto un amico, Ali Demnaz, al quale adesso deve la vita. E' stato Ali che gli ha gettato il cappotto addosso, che ha spento il fuoco. Ali è ancora sconvolto e ce lo racconta: «Avevo capito quello che stava per fare. Fino all'ultimo non ci ho creduto. Ma poi...». Ma poi Zulkuf lo ha fatto: ha tentato di bruciarsi vivo proprio al centro di quel piccolo «Kurdistan libero» che da cinque giorni canta, balla, protesta, trema per il freddo e fa lo sciopero della fame a pochi passi dal Colosseo. Una fiammata alta, accecante. E subito urla e come un'onda di terrore che attraversa la folla. Sul palco stava suonando il complesso Koma Ahmad, ma la musica si è interrotta e il sibilo della sirena di un'ambulanza ha coperto ogni altro rumore. Erano passati tre minuti dopo le 17. Tutto è successo in pochi istanti: una bottiglia di benzina rovesciata addosso, una frase gridata - «Viva il presidente Ocalan, nessuno potrà mai eliminarlo» - e la scintilla di un accendino. Per fortuna l'intervento del suo amico Ali è stato immediato. Anche altri curdi che erano vicini a Zulkuf hanno aiutato. Con le coperte, con le mani. Sono stati avvertiti i carabinieri che, per la prima volta, sono entrati fin nel cuore del «villaggio» curdo. Il medico dell'ambulanza ha prestato il primo soccorso. Zulkuf, steso sulla barella, faceva ancora il segno della vittoria con le dita bruciate. Poi la corsa fino all'ospedale San Giovanni che non è lontano. Adesso Zulkuf Yilmaz è stato trasferito in un altro ospedale, il Sant'Eugenio che a Roma è specializzato nei casi di grandi ustioni. Anche quando ha lasciato il pronto soccorso del San Giovanni ha trovato la forza di dire, con un filo di voce, «Viva Ocalan». Ma le sue condizioni sono gravi. Ha ustioni sul quaranta per cento del corpo e la prognosi è ancora riservata. «Ha il settanta per cento delle possibilità di cavarsela», dice un medico. 11 fuoco gli ha leso le braccia, il tronco e il volto. Queste notizie sono rimbalzate in piazza Celimontana verso le 19, lette da un portavoce del Pkk assieme a un messaggio di «Apo» Abdullah Oca- lan: «Sono contro ogni azione suicida, non è questo che vogliamo, la nostra azione deve essere pacifica». Il portavoce si preoccupa di tranquillizzare, di calmare gli animi: «Quello che è successo è un fatto disgraziato, un gesto isolato, individuale. E ci dispiace che sia successo proprio qui in Italia, a Roma». Dalla piazza risponde uno slogan ritmato: «Apo è a Roma, Ankara è in coma». E' lo stesso scandito sin dal primo giorno. Il portavoce del Pkk sembra soddisfatto. Certo, l'emozione per quanto è accaduto appena due ore prima non è svanita. Ma la gente cerca di mantenere la calma. Attende un collegamento con la clinica di Palestina in cui si trova Abdullah Ocalan. Forse telefonico. Forse, dice qualcuno, addirittura televisivo attraverso l'emittente curda Med-tv. Ma il senso del messaggio di Ocalan lo riassume il suo avvocato ita¬ liano, Luigi Saraceni, che è anche senatore dei Verdi: «Bisogna astenersi da azioni che, per quanto generose, non sono necessarie. Ocalan vuole che siano riconosciuti i suoi diritti e conta sulle leggi della democrazia italiana. Finora queste leggi sono state rispettate e ho buone ragioni per credere che lo saranno in futuro». Dall'ospedale torna il gruppo di curdi che ha assistito Zulkuf Yilmad. C'è il suo amico Ali e c'è Evi, una ragazza che ha potuto scambiare qualche parola con Zulkuf attraverso il citofono della stanza sterile al decimo piano del Sant'Euge¬ nio. Evi - il suo nome in curdo significa speranza - racconta che «è lucido, riesce a parlare, ma soffre molto» e che ha voluto «mandare un saluto al presidente Apo». Accanto alla macchia scura sull'asfalto, nel punto in cui Zulkuf si è dato fuoco, intanto, è stata innalzata una specie di altarino con foto di Ocalan, mazzi di fiori rossi, gialli e verdi - i colori della bandiera curda - e decine di candeline accese. Fa freddo e il popolo del piccolo Kurdistan libero si prepara a passare un'altra notte sul Celio. Enrico Singer Un amico lo ha «Apo» condanna salvato buttandogli il gesto: siamo contro il cappotto addosso ogni azione suicida Ma ha ustioni sul la nostra politica 40 per cento del corpo deve essere pacifica