Sale la febbre turca, minacce all' Italia

Sale la febbre turca, minacce all' Italia Ancora cortei davanti alle sedi diplomatiche, il governo non fa pagare i fax di protesta per Roma Sale la febbre turca, minacce all' Italia //premier: risposta adeguata ai complici dei terroristi ISTANBUL DAL NOSTRO INVIATO La febbre turca sale. «Se non ci date Ocalan, l'Italia condividerà la responsabilità dei crimini commessi dal Pkk... e la risposta sarà adeguata», ha minacciato ieri il premier Yilmaz. Lo ha detto nella sala di velluto del Parlamento, con ogni ufficialità. In altri tempi, parole simili stavano a pochi passi da una qualche dichiarazione di guerra, tra bandiere e cortei che marciano per strada. Ma «il secolo breve» ha almeno insegnato a politica e diplomazia ad avere nervi elastici; e le parole, durissime certo, parole di autentica intimidazione, che ieri il primo ministro lanciava contro l'Italia, rivelano soltanto una forte tensione. L'ultima guerra con la Turchia resterà quella che ottant'anni fa combattemmo con i suoi nonni dell'Impero Ottomano. Comunque, se fosse mai necessario, le bandiere e i cortei ci sono già. Mentre Yilmaz gridava applaudito l'indignazione ufficiale del suo Paese, in quella stessa ora del mattino le vecclùe strade di Istanbul che girano attorno a Beyoglu e al quartiere del consolato italiano parevano un fotogramma asincrono della memoria popolare, quando i pugni in aria e gli slogan gridati in coro accompagnavano le marce dei nazionalismi dell'Ottocento. Nel sole freddo di un autunno nervoso, con l'aria che montava a spifferi duri dalle acque del Bosforo, le bandiere splendevano di rosso (la mezzaluna restava coperta, tra le pieghe), i muri sapevano di tempi lontani, e il selciato della Grande Rue de Pera sarebbe andato a meraviglia per un altro balilla. Se guerra ha da essere, non sarà comunque di quelle che si fanno con il cannone. Yilmaz non è diventato matto, né lo sono quei due o tremila manifestanti che stavano occupando le stradine «italiane» di Beyoglu. La guerra che si va montando da queste parti, la si poteva trovare già sul¬ l'altra sponda del Bosforo, passando il vecchio ponte che sa di pesce rancido: a Fetih, quartiere popolare della vecchia Costantinopoli, qualche volenteroso giovanotto andava appiccicando sulle vetrine di negozi e negozietti un manifestino bianco tirato a fotocopia: «Italyan Mah Satmyanz». La lingua turca non è poi delle più facili, ma il signor Goku Esaip, che vende foulard e telerie, è stato molto gentile (come in genere lo sono tutti i turchi). Ha spiegato che quelle parole foto¬ copiate significano «Qui non vendiamo prodotti italiani». Oltre che essere gentile come persona, il signor Esaip è poi un eroe come commerciante: ha ammesso senza esitazione che alcuni dei suoi foulard sono proprio italiani, e anche qualche tela di quelle sue eleganti; però poi, gonfiando il petto di orgoglio nazionale, ha annunciato: «Ma io non li vendo, se voi non ci ridate Ocalan». La «guerra» molto probabilmente ci sarà, e già lo sbandierano tutte le Camere di commercio turche, che fanno arrivare ai loro clienti italiani una letterina dove assicurano affari con chiunque «eccetto che con coloro che aiutano il terrorismo internazionale». E lo dice anche il governo, lo dicono quelli intervistati alla tv, lo dicono i giornali; lo dicono pure le migliaia di fax di protesta che vengono inviati - gratuitamente, per disposizione del ministero delle Poste - alle missioni diplomatiche italiane di quaggiù o anche a Roma (con preziosa sollecitudine, il quotidiano «Sabah» pubblica tutti i numeri telefonici utili). Quello che Yilmaz vuole, certamente sta dentro i panni di Ocalan, ma non soltanto. La questione curda è uno dei più drammatici problemi di questo Paese: ha fatto 30 mila morti, ha distrutto storie individuali e collettive, tiene un intero pezzo della Turchia sotto rigido controllo militare; e un capo di governo non può non richiedere l'estradizione dell'uomo che viene considerato il nemico pubblico numero uno. Però poi, di suo, Yilmaz ha tutti i guai di chi sta reggendo un governo di minoranza e tra meno di una settimana si troverà in Parlamento ad affrontare una mozione di sfiducia per la quale - novanta su cento - lui verrà spedito a casa. Si capisce allora che, per puri motivi di bottega, si possa anche essere tentati di usare le parole dell'Ottocento, minacciando «guerre» che, suvvia, gli alleati nemmeno si sognano di mettere in campo. Il nazionalismo aiuta i governi in crisi. La «guerra» italo-turca resterà comunque limitata ai bollettini di spedizione delle merci. Ma dietro la crisi di Ocalan s'infilano poi un sacco di tensioni che vanno ben al di là dei rapporti bilaterali, e toccano il ruolo estremamente sensibile che Ankara ha nella Nato, negli equilibri del Medio Oriente, nei progetti di sviluppo dell'Asia centrale, perfino nel controllo delle vie del petrolio. Si capisce allora anche perché gli Stati Uniti ieri siano addirittura scesi in campo, essi stessi, per appoggiare pubblicamente le dichiarazioni ottocentesche di Yilmaz. L'intrico si va complicando, dannatamente. I Consolati suggeriscono di rinviare i viaggi in Turchia, qualcuno - il giornale «Ortadogu», per esempio - esorta a trasformare la prossima partita tra Juventus e Galatasaray in una specie di disfida di Barletta, mettendo in campo non solo i calciatori in braghe corte e maglietta ma anche i nazionalismi in guerra (sebbene poi ci sia di tutto, tra quelli chiamati a tirare il pallone: olandesi, romeni, francesi, tedeschi, slavi. Mezzo mondo, insomma, altro che una bandiera). ■ Come finirà? Ieri, a due passi dal bazar, hanno bruciato un frigo di marca italiana e poi hanno lanciato tra le fiamme anche una nostra bandiera. Gridavano «Italia Mafia» e «Italia Tradimento». Però ieri il signor Esaip ci aveva anche voluto fare entrare nel suo negozietto di tele e ci aveva offerto il tè. Avevamo brindato. «Salute». «Salute». Mimmo Candito Nei quartieri popolari di Istanbul manifesti sulle vetrine: qui non vendiamo prodotti italiani o La polizia in questi giorni presidia in forze l'ambasciata italiana nella capitale turca per timore che possa subire un attentato Zulkuf Yilmaz viene portato al reparto ustionati dell'ospedale Sant'Eugenio In alto, il primo ministro turco-