IL DILEMMA DELLA FORZA

IL DILEMMA DELLA FORZA IL DILEMMA DELLA FORZA televisivo ha chiesto a un magistrato quel che pensasse della malvagità eli quegli scafìsti che messi alle strette gettano a mare i clandestini e si danno alla fuga. Forse non si tratta di malvagità, è stata la sorprendente risposta, ma solo un naturale impulso di sfuggire alla cattura. Quando qualcuno ha suggerito poi che a quegli scafìsti in fuga le forze dell'ordine dovrebbero sparare per impedire loro di riprendere il traffico l'indomani, il magistrato si è indignato e il pubblico anche. Con questa cultura alle spalle, all'Italia non riesce facile far sentire la sua voce nel dibattito che si è recentemente riaperto sulla difesa europea. Un tema, questo, che non tocca solo il futuro dell'Europa ma tutto il problema dell'uso internazionale della forza, un tema che non ha niente di astratto ma è anzi estrema¬ mente attuale e concreto e che si e posto drammaticamente più volte in meno di un anno nell'Iraq e nel Kosovo. L'alternativa tra uso della forza e dialogo diplomatico, tanto cara alle nostre forze politiche, è infatti una finta alternativa; o meglio, è un'alternativa se si è disposti in caso di necessità a usare la forza. Nessuno può pensare che Milosevic avrebbe dato via libera a duemila osservatori internazionali che in qualche modo vigilano in Kosovo sulla sorte di un popolo minacciato di sterminio se non vi fosse stata una seria e concreta minaccia militare. O che Saddam Hussein abbia fatto marcia indietro per pura bontà d'animo. 11 premier inglese Blair ha parlato in queste pagine in termini positivi, anche se ancora vaghi, della creazione di una forza di difesa dell'Unione Europea e la cosa ha destato sorpresa. L'Europa è assorbita dall'ormai prossima nascita dell'Euro ed è divisa intellettualmente tra stabilità e rilancio dell'economia. La politica estera comune è stata da ultimo, ancor più che timida, inesistente. La Gran Bretagna ha sempre guardato con sospetto a una identità di difesa in Europa e la Germania di Schroeder non è né più entusiasta né più combattiva della Germania di Kohl. E allora? Allora, semplicemente, le due esperienze balcaniche dimostrano che senza un apporto militare americano gli europei non solo non hanno possibilità di azione ma neppure di minaccia. Non è che non possano mettere truppe sul terreno (anche gli Stati Uniti hanno problemi a farlo); è che i loro eserciti, che messi insieme costano più della metà del bilancio militare americano, sono sordi e ciechi senza l'«intelligence» e la logistica di questi ultimi. Perciò Blair propone una difesa europea: forse non tanto in nome di un progresso dell'Europa quanto per ridare credibilità agli eserciti nazionali, ivi incluso il suo. Quale può essere dunque la parte dell'Italia in questo quadro? Alla riunione dei ministri degli Esteri dell'Ueo l'Italia ha suggerito il traguardo di un modello di difesa da integrare nell'Unione Europea, partendo dagli aspetti tecnologici e industriali e dalle strutture operative (Eurofor, Brigata franco-tedesca, ecc.) già esistenti tra alcuni Paesi membri. Il percorso non è né breve né facile ma è giusto averlo indicato, sia per il futuro dell'Europa sia per quello del nostro Paese. L'Europa è un grande passepartout. Come il progetto di una moneta comune ha fatto sì che gli italiani mettessero ordine nei loro conti così il progetto di una difesa comune può aiutare la nostra opinione pubblica a mettere ordine nelle menti e a riconoscere il dovere degli Stati di tutelare le leggi e gli interessi dei loro cittadini all'interno e all'esterno dei confini. Boris Blanchèri

Persone citate: Boris Blanchèri, Kohl, Milosevic, Saddam Hussein, Schroeder