La norma di S. Mr.

La norma La norma In tribunale record di «no» MILANO. «Un'estenuante sceneggiata che non serve a niente». L'avvocato Ennio Amodio sintetizza così quello che succede nello aule dei tribunali con il «nuovo» 513, l'articolo del codice di procedura che regola gli interrogatori dei coimputati reinterpretato dalla Corte Costituzionale. Si potrà pensare ad un giudizio di parte, ma ecco cosa è concretamente successo, ad esempio, a Milano. Il processo riguarda una vecchia vicenda di Mani Pulite, i corei fantasma finanziati dalla Cee; viene chiamata la principale imputata, Adriana Barani la quale dichiara subito la sua intenzione di avvalersi della facoltà di non rispondere. A questo piuito il pm, Fabio De Pasquale chiede di acquisire agli atti le dichiarazioni rese durante le indagini. «Così non è possibile - ribatte il presidente del tribunale, Francesca Manca - occorre fare delle contestazioni». Trenta minuti di intervallo per raccogliere le idee e poi il pm legge tutto quello che è scritto nei verbali. Ci vuole più di un'ora. Alla fine il presidente chiede all'imputata: «Ha qualcosa da dire?». «No». Fine. Se poi ci si sposta in aule dove alla sbarra ci sono personaggi di ben altro «spessore criminale» la scena assume i connotati di una «situazione ridicola». Così almeno l'avvocato Carlo Taormina definisce quanto accade a Cosenza, in un processo contro la 'ndrangheta. «Gli imputati vengono portati in aula uno dopo l'altro. E tutti, uno dopo l'altro, infilano soltanto una sequenza di "no"». Oppure succede, come a Bologna, ad uno dei processi collaterali per la banda della «Uno bianca». Fabio Savi, già condannato, viene chiamato come imputato in un procedimento connesso e dichiara subito di «avvalersi». Pm e avvocati, come vuole la sentenza della Consulta, partono con le contestazioni su quanto aveva dichiarato prima. E Fabio Savi, pur non rispondendo direttamente, ne approfitta subito per dichiarare che suo fratello Alberto e Marino Occhipinti, cioè gli imputati, «non meritano l'ergastolo». Una dichiarazione spontanea, non permessa all'imputato-testiinono, che così entra nel processo. Creando un «caso», con imbarazzi e polemiche. Se ci si sposta ad Ancona si scopre che un presidente di tribunale ha così risolto la questione: pm e avvocati devono presentare all'imputato di reato connesso la lista delle domande che intendono porre; lui le potrà esaminare con l'avvocato e decidere se e a quali rispondere; nessun'altra domanda potrà essere formulata durante il processo. Non si sa se questa specie di intervista preconfezionata potrà trovare proseliti in altri tribunali, Certo è invece che cominciano a fioccare nuove eccezioni di incostituzionalità. Una, a Genova, è già stata accolta dal gip Anna lvaidi che ha definito «non manifestamente infondata» l'ipotesi che, dopo la sentenza della Consulta, l'articolo che regola l'incidente probatorio non sia in linea con alcuni articoli della Costituzione. Un'altra questione di illegittimità l'ha sollevata proprio l'avvocato Amodio in un processo per disastro colposo in corso a Novara. «Il dover rendere dichiarazioni dice - è in contrasto con il principio che tutela il diritto al silenzio dell'imputato. Il cosiddetto "contraddittorio" è solo un camuffamento, un protesto per far introdurre i verbali dell'accusa», [s. mr.]

Persone citate: Adriana Barani, Amodio, Carlo Taormina, Ennio Amodio, Fabio De Pasquale, Fabio Savi, Francesca Manca, Occhipinti

Luoghi citati: Ancona, Bologna, Cosenza, Genova, Milano, Novara