Il pan grattato del potere
Il pan grattato del potere Quella piccola poltrona, luogo strategico e premio di consolazione Il pan grattato del potere MROMA AMMA, da grande voglio fare il presidente di Commissione parlamentare... Il patto, il negoziato, la protesta in aula dell'udr, che sale pure a Palazzo Chigi, e di nuovo il pds che invoca il sacrificio a uno dei suoi, ma invano. Infine, al solito, il rinvio. Tutto per una poltrona - che poi non si sa nemmeno quale. Comunque la poltrona di presidente di Commissione parlamentare. E sarà la politica, d'accordo, saranno anche gli accordi da rispettare, gli equilibri nella maggioranza, le esigenze all'interno dei partiti. Ma al di là delle ragioni e dei pretesti - l'assenteismo udr risultando formalmente motivato sulla «cartolarizzazione» dei crediti Inps - lo psicodramma di giornata spingerebbe un po' anche a chiedersi quanto costa, quanto vale e quanto rende, in termini istituzionali, di potere e di brutale convenienza economica, questa stra-benedettissima poltrona di presidente. E allora, se non altro per il fatto che parlando della trattativa si finisce spesso per parlare di mercato, al netto fanno 3 milioni e 90 mila lire al mese in più di «indennità d'ufficio». Nel senso che tale gruzzoletto va a sommarsi agli 8 milioni e 333 mila dell'indennità parlamentare, ai 6 milioni e 753 mila ex portaborse (simpaticamente intitolate «spese inerenti al rapporto tra eletti ed elettori») e alle varie e variabili diarie di viaggio e soggiorno (da zero a quattro-cinque milioni). Oltre al sonoro titolo di «presidente» e al posto in prima fila nel convegno, il fortunato ha poi di- ritto a un'automobile di servizio (non sua, ma disponibile) e - privilegio anch'esso invidiatissimo nel Palazzo - a tre collaboratori di segreteria. Gli uffici che lo ospiteranno a Montecitorio e Palazzo Madama sono in genere belli e spaziosi, anche se non sempre e non tutti tecnologicamente adeguati ai tempi. Un particolare che illumina il tira-e-molla di questi giorni è che su quella particolare poltrona si sta comunque seduti due anni: sicuri e beati. Seppure i più raffinati osservatori parlamentari sostengano che in assoluto «presidente di Commissione è meglio di sottosegretario», pare trattarsi di un buon premio di consolazione. Così almeno è stato vissuto da un'ampia gamma di personaggi, da Andreotti a Sgarbi, passando per Fanfani, Oc- chetto, Pomicino, Preti, Vassalli, Piccoli, Malagodi e Maccanico. Così come, durante la solidarietà nazionale - e in quel caso si trattò di un premio di compensazione non potendo i comunisti andare al governo, alcuni di loro (tra cui il papà di Massimo D'Alema) li si elesse presidenti di Commissione. Grosso modo, le loro mpusioni ricordano in miniatura quelle del presidente nei confronti dell'Assemblea. Grosso modo, perché se quest'ultimo è un organo di garanzia, in Commissione il presidente è di fatto il capo della maggioranza. Perciò convoca l'ufficio di presidenza, disciplina le sedute, tiene i rapporti con il governo e la pubblica amministrazione, può introdurre l'esame dei progetti e vota, a volte risultando determinante. A Montecitorio, inoltre, dove dall'inizio della legislatura 108 provvedimenti (su 425) risultano approvati in Commissione, il nuovo regolamento assegna ai presidenti, convocati in una apposita conferenza, ulteriori poteri nella richiesta di dati al governo (e possibilità di sedare il loro possibile utilizzo ostruzionistico). Su un piano più pratico - anche considerato l'andazzo - in nessun luogo come da quelle poltrone si può rallentare o incoraggiare leggi e leggine. Le presidenze di Commissione, recita un adagio del Transatlantico, sono «il pan grattato del potere». «Attendiamo con fiducia - diceva ieri Mastella una risposta concreta». Filippo Ceccareili Tra gli illustri predecessori Andreotti Fanfani e Occhietto II senatore a vita Giulio Andreotti
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