La PENISOLA del tesoro

La PENISOLA del tesoro Si è aperto ieri il secondo Salone dei Beni culturali: un patrimonio immenso da far fruttare. Ma come? La PENISOLA del tesoro NTORINO ON è frequente che un'iniziativa torinese abbia una tale eco internazio Inale da meritare mezza pagina su due testate americane come il prestigioso New York Times e il diffusissimo Usa Today. E' accaduto con il primo Salone del gusto, organizzato dall'Arcigola negli spazi del Lingotto, agli inizi del mese, con un successo che nessuno aveva previsto. Ieri si è aperto, negli stessi spazi, un nuovo appuntamento: il Salone dei Beni artistici e culturali, seconda edizione, creatura dell'ex ministro Walter Veltroni. Nonostante un articolato e significativo programma di seminari, convegni e mostre d'arte, sarà difficile che la manifestazione finisca sul Times o su Le Monde. Dovremmo dedurne la conferma dello stereotipo che vuole gli italiani eccellenti nelle arti culinarie ed enologiche, un po' meno nella produzione e organizzazione di cultura? La realtà è che da noi l'idea moderna di bene culturale si è fatta strada molto più lentamente che altrove. Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, anche in Germania, e soprattutto in Francia, si è sviluppata fin dagli Anni Sessanta una concezione del patrimonio artistico e culturale come risorsa economica e produttiva. Invece in Italia è prevalsa la concezione di conservare e tutelare. Per ragioni storiche: possediamo infatti un patrimonio colossale e la preoccupazione dominante è stata di salvaguardarlo. Affidato in passato alla Pubblica istruzione, soltanto nel 1974 se ne riconosce la specificità, costituendo il ministero per i Beni culturali. Ma bisogna arrivare alla seconda metà degli Anni Ottanta perché al criterio della conservazione si affianchi quello della valorizzazione, con una serie di leggi come quella sui giacimenti culturali. Che cosa significa, sul piano pratico, considerare i beni culturali anche beni economici? Significa esattamente che i quaranta milioni di pezzi d'arte che abbiamo in Italia, i 3300 musei, le 85.000 chiese, devono diventare una risorsa economica. Non devono soltanto essere oggetto di godimento estetico, ma devono produrre: creare reddito e avere un indotto. Come? Con ricadute positive sull'occupazione, sul turismo, sull'editoria, sui media, sul prelievo fiscale, sui conti pubblici, per fare degli esempi. In questa direzione, una tappa chiave è stata rappresentata dal Rapporto sull'economia delle arti e dello spettacolo della Fondazione Agnelli, nel 1992, a cura di Giorgio Brosio e Walter Santagata. Quella inchiesta faceva conoscere la vastità del problema e offriva le prospettive per una nuova politica dei beni culturali, che realizzasse il passaggio dalla conservazione alla valorizzazione. Il ministero Veltroni ha dato una sterzata in questo senso. E il Salone dei Beni artistici e culturali è il luogo dove fare il punto sulla rotta intrapresa. Infatti le politiche degli Anni Ottanta ave¬ vano messo a nudo le difficoltà. Un esempio per tutti: il grande progetto di una articolata catalogazione dei beni stessi ha dovuto fare i conti con la lobby dell'informatica applicata. Si è visto che le leggi non bastano. Bisogna chiarire dei problemi. Fondamentale è il rapporto fra pubblico e privato. Contrariamente a quello che si pensa, la spesa pubblica italiana, nel campo dei beni artistici e culturali, è abbastanza alta: spendiamo di più che in Inghilterra, Francia, Germania e Spagna, naturalmente perché abbiamo un patrimonio più considerevole. Tuttavia non basta. Senza contributi da parte dei privati, la gestione dei beni culturali non è materialmente possibile. Un piccolo ma sintomatico caso è il finanziamento dei musei pubblici. Si può concedere l'ingresso gratis e mettere la spesa a carico dei contribuenti. Si può invece far pagare un biglietto d'ingresso, sgravando il fisco. Ma si può anche usare la formula Pay what you wish, paga quel che ti. va di pagare, come al Metropolitan Museum di New York oppure alla Tate Gallery di Londra. Un'inchiesta condotta da Walter Santagata ha dimostrato che la terza via è la migliore. Il Comune di Napoli spende quasi quattro miliardi e mezzo per finanziare il programma «Musei aperti», con ingresso gratuito. Un campione di popolazione è stato intervistato sulla disponibilità a pagare un biglietto d'ingresso: metà hanno detto di no, metà hanno risposto di sì, ma l'ammontare che si sarebbe ottenuto è risultato più alto dei miliardi che spende l'amministrazione comunale. Anche il «paga quel che vuoi» è una originale forma di ricorso al contributo dei privati, capovolgendo i criteri tradizionali. Una prospettiva analoga si presenta per il mecenatismo, che si manifesta soprattutto nella forma della sponsorizzazione: un'impresa finanzia un evento o un progetto, per un ritorno pubblicitario. Ma è una vecchia formula, che sarà messa in discussione nel seminario di oggi su «Imprese e gestione dei beni culturali». Una prima possibilità è che l'impresa non elargisca denaro ma offra competenze tecniche: esempi tipici la ristrutturazione di Palazzo Grassi per opera della Fiat Engineering e il recupero archeologico della Villa dei Volusii, grazie all'intervento della Società Autostrade. Si ottiene un maggiore coinvolgimento dell'impresa, il mecenate si sente responsabile del progetto. Un'altra possibilità è il consorzio fra imprese, che sostengono un progetto non per trarne pubblicità, ma per migliorare l'ambiente in cui operano, secondo un'idea cara in particolare a Cesare Annibaldi, direttore centrale Fiat, che giovedì parteciperà al convegno «Beni culturali e comunicazione d'impresa». E' in questo modo che la Consulta di Torino (che fa capo all'Unione Industriale) ha realizzato presso la Biblioteca Reale la straordinaria mostra dei disegni di Leonardo. Alberto Papuzzi Lo S Per anni l'Italia ha conservato e tutelato Sembrava l'unica politica possibile mentre l'Europa cercava altre strade Solo negli Anni 80 alla conservazione si affianca il concetto della valorizzazione E si valuta la ricaduta sui conti pubblici Lo Stato spende per la cultura ma senza i privati la gestione è impossibile FpSvVcpClzdpt Foto grande: coda a Roma per la «Dama dell'ermellino» Sotto: Carlo Callieri vicepresidente della Confindustria Federico Zeri C'è una mostra al Salone sul lavoro da lui compiuto in Umbria dopo il terremoto A destra la tavola rotonda «Un ponte tra pubblico e privato»

Persone citate: Alberto Papuzzi, Carlo Callieri, Cesare Annibaldi, Federico Zeri, Giorgio Brosio, Veltroni, Walter Santagata, Walter Veltroni