Monte Bianco, la frontiera delle speranze perdute

Monte Bianco, la frontiera delle speranze perdute Continua l'assalto ai valichi, sono centinaia i clandestini che sperano nella sanatoria Monte Bianco, la frontiera delle speranze perdute REPORTAGE IL MIRAGGIO DEL PERMESSO COURMAYEUR DAL NOSTRO INVIATO «Alla fine del tunnel ho visto tutte quelle luci, poi la polizia. Allora ho capito che non ce l'avremmo fatta». E' il racconto di Kemal, 21 anni, cittadinanza turca. L'hanno bloccato senza il visto al Traforo del Monte Bianco: la via più stretta, più controllata, più difficile per entrare in Italia da clandestini. Ci ha provato lo stesso, assieme a un centinaio tra connazionali, indiani, pakistani, croati, romeni, albanesi. «C'è perfino un cittadino del Bhutan», dicono alla polizia di frontiera sfogliando l'elenco di denunciati, arrestati e in attesa di rimpatrio. «Ormai abbiamo imparato a distinguere questa gente dai tratti somatici». Un assalto alle frontiere che da giorni ormai si ripete qui come al Brennero, al Frejus, a Ventimiglia. Nei locali del Traforo c'è spazio per due dormitori e una cucina di fortuna allestita dai volontari della Croce Rossa. Prima degli accordi di Maastricht e di Schengen qui lavorava molta più gente. Oggi la frontiera è soltanto un posto di controllo documenti, come potrebbe essere in qualunque altro punto del territorio. Solo che qui è più facile: auto costrette a rallentare, nessuna via di fuga, controlli semplici e veloci. «E uffici riscaldati», fanno presente gli agenti indicando dalla finestra la neve caduta ieri. Siamo a 1500 metri di altitudine, 4 chilometri da Courmayeur, un paio di gradi sotto lo zero. Adesso i locali dismessi tornano utili per ospitare i clandestini in attesa di essere prelevati dalle autorità transalpine, come prevede un accordo di riammissione tra Italia e Francia. Una donna pakistana tiene in braccio la figlioletta di venti mesi in lacrime. «E' malata», spiega la madre. La piccola ha la febbre: l'assistono i volontari della Croce Rossa, che l'hanno fatta visitare da un medico. Ha un po' di influenza, in giornata riattraverserà il confine. «Il viaggio dalla Germania fino a qui ci è costato mille marchi», racconta la donna, vent'anni, un fisico reso ancor più minuto dal maglione che i volontari le hanno dato. Mille marchi per finire a una frontiera così presidiata? Alza le spalle: «In Italia è più facile avere un permesso di soggiorno». Il tam tam della sanatoria ha fatto il giro d'Europa e le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di clandestini nell'Unione Europea hanno deciso di puntare sull'Italia. La legge, però, impone l'onere di due prove: la dichiarazione di un datore di lavoro e un documento che provi l'ingresso in Italia prima di metà marzo '98. Kumar Satish, 31 anni, indiano, dice che una volta varcato il confine avrebbe ricevuto la sua bella documentazione. Polizia e guardia di finanza, che svolgono insieme i controlli, qualche sospetto ce l'hanno. «I referenti spiegano - sono probabilmente imprenditori sul filo del fallimento, che vivono di questi espedienti». Con Satish, nel dormitorio maschile ci sono Singh Sher, 22 anni, e Singh Raj Pai, di 26. Sui loro volti è dipinto il senso dell'ineluttabilità della loro condizione. Non è lo stesso sguardo dei clandestini sulle coste pugliesi, appena scappati dalla madrepatria, privati di tutti i risparmi per il viaggio della speranza e poi gettati in mare con i figli. No, questi hanno alle spalle mesi o addirittura anni di clandestmità e di viaggi a rischio attraverso le frontiere dell'Ue, di denunce e di rimpatri. La vita li ha temprati: hanno tempo di tentare altre vie, altre frontiere. Sher ha lasciato i fratelli in Germania. «Sono riuscito a passare il confine con la Francia sul cassone di un camion. Pensavo che sarebbe stato facile anche qui». Da quanto tempo ha lasciato il suo Paese? «Tre anni». Kemal, passaporto turco, racconta una storia diversa: «Sono curdo, andavo a manifestare in favore del mio presidente Abdullah Ocalan, che è in carcere in Ita- lia». I militari della guardia di finanza lo ascoltano scuotendo il capo: «E' vero che molti curdi passano il confine in questi giorni, ma hanno documenti in regola. Siamo convinti che lui si stia inventando tutto». Kemal è sospettoso: chiede il perché delle domande del cronista e vuol sapere quale sarà il suo destino. La brandina per la notte, gli rispondono, in attesa che arrivi la Gendarmerie. In un altro locale sono rinchiusi due fratelli pakistani: Syed Munir Hussain e Syed Zarbaft Hussain. Il primo ha 46 anni, l'altro nove di meno, sono due dei dieci arrestati da giovedì a oggi per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Rischiano almeno tre anni di galera. Con loro non è possibile parlare, ma tutti i «passeurs», i trafficanti di clandestini, raccontano una versione standard: ero a un distributore, mi hanno chiesto mi passaggio, mi hanno assicurato che erano in regola con i documenti e li ho caricati. «In Francia i distributori di carburante evidentemente pullulano di persone senza documenti che chiedono passaggi», scherza Marco Allegretti, comandante della polizia di frontiera della Valle d Aosta. I fratelli Hussain guidavano le proprie auto, una Opel e una Rover. Gli agenti le hanno sequestrate e posteggiate nel piazzale del Traforo, assieme ad altre macchine, a camioncini, a monovolume: una ventina in tutto, molti dei quali presi a noleggio. Non ci sono Tir, però. «Troppo rischioso, i camionisti perderebbero tutto il carico», dicono gli agenti. E si preparano a una nuova notte di controlli, la quinta dall'inizio degli arrivi. Sarà così fino al 15 dicembre, ultimo giorno per ottenere un permesso di soggiorno. «Ma noi speriamo di avere scoraggiato il traffico dal Monte Bianco», dice Allegretti. Nel dormitorio si spengono \e luci e scende il silenzio. Domani comincia un altro viaggio. Stefano Mancini Racconta un turco «Alla fine del tunnel ho visto la polizia e ho capito che era finita» A sinistra la frontiera tra Italia e Francia al Monte Bianco A destra immigrati in coda davanti ad una questura per la sanatoria