LA GRANDE FUGA DEI MARCHI

LA GRANDE FUGA DEI MARCHI PRIMA PAGINA LA GRANDE FUGA DEI MARCHI zione nell'ultimo decennio, quando le imprese tedesche per restare competitive avevano imparato a investire massicciamente all'estero, ad assumere lavoratori stranieri e anche a pagare le tasse all'estero. Il modello tedesco tradizionale, a cui il governo fa riferimento, si basa invece sulla possibilità di redistribuire all'interno dei confini nazionali i profitti delle imprese sotto forma di salari e di posti di lavoro. Con l'apertura dei confini globali, le imprese avevano potuto realizzare alti profitti solo investendo all'estero e ristrutturando a casa propria, ma per la prima volta ciò aveva coinciso con la perdita di milioni di posti di lavoro in Germania. L'ardita speranza del ministro delle Finanze Lafontaine è di frenare sia la mobilità del risparmio tra Eurolandia e il resto del mondo, sia la fuga degli investimenti delle imprese tedesche verso Paesi in cui i costi delle aziende sono gravati da minori oneri sociali e fiscali. Per farlo Lafontaine propone controlli sui movimenti di capitale internazionali e l'armonizzazione degli standard sociali e fiscali in Europa. Solo due giorni fa Lafontaine ha chiesto politiche salariali armonizzate in Europa. La speranza di frenare sia la libertà dei mercati globali, sia la concorrenza economica (e politica) dei Paesi confinanti, si starebbe però scontrando con la realtà. Se col passare delle settimane i segnali di questi giorni in Austria e Svizzera dovessero crescere di importanza, l'esperimento socialdemocratico tedesco riserverebbe di fallire come quello francese dei primi Anni Ottanta. Per frenare i movimenti finanziari, Lafontaine prevede che siano tassati come speculativi i proventi delle cessioni di azioni non detenute da almeno 12 mesi e l'inclusione nell'imponibile dei derivati, nonché il dimezzamento della quota di risparmio esente e una riduzione delle detrazioni derivanti da perdite subite da eventuali cali del valore dei propri titoli. Nel complesso si stima per i risparmiatori un aggravio di 15 miliardi di marchi. Una fuga di capitali vanificherebbe però gli introiti fiscali e impoverirebbe il Paese. Nel '92 con l'introduzione della ritenuta sugli interessi uscirono dal Paese 66 miliardi di marchi in pochi mesi. L'Unione europea è da tempo impegnata a contrastare la concorrenza «scorretta» di Paesi che attraggono imprese e capitali col dumping fiscale, ma un'armonizzazione completa del fisco è ritenuta impossibile (per l'opposizione di molti Paesi) e indesiderabile perché spegnerebbe gli stimoli e la competizione tra governi verso politiche più efficienti nella gestione delle risorse pubbliche. Bonn punta così a uniformare prima possibile gli standard sociali dei Paesi europei per disinnescarne la concorrenza, inducendo così le imprese a restare in Germania nonostante i costi elevati. Bonn nobilita la propria strategia richiamandosi alle politiche di John Maynard Keynes, dimenticando però un celebre monito dell'economista: «Non è certo impossibile sviluppare idee nuove, quello che è difficile è liberarsi dalle vecchie». Carlo Bastasin

Persone citate: Carlo Bastasin, John Maynard Keynes, Lafontaine

Luoghi citati: Austria, Europa, Germania, Svizzera