«Così sono sfuggita al killer»
«Così sono sfuggita al killer» Bridget, nigeriana di 21 anni: «Mi picchiava con un bastone di ferro e urlava "Ora ti ammazzo » «Così sono sfuggita al killer» Una prostituta: ho finto di essere morta LA STORIA L'ASSASSINO EIELLE LUCCIOLE CAPRIATE (Bergamo) DAL NOSTRO INVIATO «Mi gridava ti ammazzo, ti ammazzo e poi altre cose che non capivo...», trema ancora Bridget, 21 anni, nigeriana, una delle tante accanto ai falò accesi a un passo dagli stradoni che uniscono Grezzago, Vaprio, Crespi d'Adda, Brembate, Capriate, Filago e Suisio. Gli stradoni dell'amore a pagamento e della Mercedes nera, l'incubo di tutte le prostitute della zona. «Sì, era una Mercedes. Era nera», conferma Bridget con quel giubbotto di finta pelle che non deve nemmeno tenere caldo, la gonna nera cortissima, gli stivali e il trucco sugli occhi che vira al rosso. E trema, e si vede che non è per il freddo ma per il ricordo di quel pomeriggio di settembre, quando davanti a questa strada sterrata che si perde nei cespugli tra i campi, si era fermata la Mercedes nera. «Sembrava uno gentile, non lo avevo mai visto. Andiamo a fare all'amore, mi aveva detto», spiega lei con l'amica accanto, tre anni di meno ma sembrano molti di più, che l'aiuta in quel misto di inglese, italiano e la lingua della Nigeria, che pare una litania. «Quando gli ho detto quanto volevo, mi ha sorriso», racconta Bridget, che di sorrisi deve averne visti mille ma quello non riesce più a dimenticarlo. «Siamo andati là dietro...», stende la mano, saranno trenta metri, dove gli arbusti sono più fitti, dove la strada sembra lontana e nemmeno si vede più la serra nel campo di fronte, con la plastica sbrindellata e i tralicci mezzo rotti. «Era l'inizio di settembre, faceva caldo, erano le due o le tre del pomeriggio», adesso ricorda anche i dettagli, dopo averli ripetuti mille volte ai carabinieri di Bergamo, che l'hanno interrogata mentre era ancora all'ospedale e la Mercedes nera colpiva di nuovo. «Aveva quaranta anni, i capelli neri corti, gli occhi scuri. Era alto, non era magro, parlava in italiano, sembrava di qui», spiega Bridget di quell'uomo, uno tra i mille che passa ogni giorno per questa strada, senza fermarsi, a volte senza nemmeno guardare verso il falò e queste due ragazze, immobili ad aspettare un cliente. «Sembrava gentile, con la macchina bella. No, l'autoradio non c'era...», fa così con la testa e ondeggiano i capelli neri uitrecciati, raccolti con la coda di cavallo. «Aveva i pantaloni corti e chiari, mia t-shirt verde, faceva tanto caldo», spiega di quel giorno che era sola, per strada, senza un'amica, senza altri clienti. Sola tra le macchine che passavano e nessuno ha visto niente. «Sono salita in macchina, ci siamo fermati qui», guarda a ter- ra Bridget. «Non ha voluto fare all'amore. Ha iniziato subito a picchiarmi, con un bastone di ferro, come uno di questi ma più grande», raccoglie un pezzo di tondino, mi centimetro, un centimetro e mezzo di diametro. «Mi picchiava in testa e urlava e diceva di non guardare la targa, non guardare. Gridava anche altre parole ma non le capivo, pensavo volesse uccidermi», racconta, sempre più veloce, come se a ripetere in un attimo quei minu¬ ti possa accorciare il ricordo, renderlo più lontano. Cancellarlo no, perché non si può cancellare più niente di quei momenti, con l'uomo nel bosco. «Quando mi picchiava eravamo fuori dalla macchina, a pochi metri. Non ho visto che aveva un ferro. Teneva le mani dietro alla schiena, mentre canuninava», assicura lei che non si era accorta di niente, che pensava a fare all'amore in modo veloce e incassare le cinquantamila lire. Come ogni volta, come da ogni cliente che si ferma qui, al falò che illumina la strada per i campi e non scalda niente. «Sono caduta a terra, sentivo il sangue, ho fatto finta di essere morta», spiega Bridget. E nemmeno sa che è a quella finzione, che deve la vita. O forse lui, quella volta, non voleva uccidere. Come a Masate, a Inzago o a Suisio quattro giorni fa. Quando ha colpito per l'ultima volta, sempre che sia lo stesso. Lo stesso della Mercedes nera di Bridget e di quindici altre prostitu¬ te, bianche, slave, nigeriane, vive per miracolo. «L'ho visto raccogliere la mia borsetta, salire in macchina e scappare. Ho fatto appena in tempo a vedere che era targata Bergamo. No, i numeri no», giura. Ma forse non è vero, che tanto i numeri li hanno già controllati i carabinieri e non c'è nessuna Mercedes nera con quella targa. Sempre che sia vera, sempre che Bridget abbia visto bene. «Stavo ferma a terra, mentre lui se ne andava. Sentivo il sangue e la testa che mi faceva male, anche la schiena», racconta Bridget. Prima di spiegare la corsa verso l'ospedale di Bergamo, con le altre prostitute della zona che con i telefonini chiamano l'ambulanza. E in ospedale insieme ai medici, incontra i carabinieri. «Pensavo che l'uomo della Mercedes fosse un rapinatore. Mi hanno detto che aveva già picchiato e ammazzato», spiega di quei verbali scritti mentre lei era a letto, bendata e con i punti in testa, che tiene coperti sotto alla geometria dei suoi lunghi capelli neri, intrecciati e raccolti sulla nuca. Come vuole la moda in Nigeria, come fanno tutte, qui sulle strade della Lombardia. «Adesso ho paura, a lavorare vengo poco, preferisco rimanere a casa a Torino», racconta Bridget. Mentre spiega la sua vita sulla strada durata nove mesi, ogni giorno, ogni santo giorno. C'è qualcuno che le viene a prendere in macchina a casa, dove vivono in gruppo. Le carica sull'auto, infila l'autostrada, si perde nelle stradine di campagna. Il turno inizia a mezzogiorno. Alle cinque e mezzo, ma d'estate ancora più tardi, fino a quando c'è luce, quel qualcuno ripassa in macchina. «E' un amico...», dice solo Bridget. Sarà il protettore, lo sfruttatore che ogni sera fa i conti nella borsetta delle ragazze. Ma lei non vuole dirlo, sta sul vago. Le basta una paura sola, quella dell'uomo in Mercedes incontrato quel giorno d'estate. «Lavoro poco, anche perché mi fa ancora male la testa», giura, mentre si passa una mano tra i capelli annodati. «So che i carabinieri stanno passando in questi giorni, ad avvisare tutte di stare attente ai clienti», conferma delle ronde nella notte, con le auto blu e i lampeggianti davanti alle quali adesso non scappano più. «Abbiamo paura, se mi sono salvata lo devo solo a Dio», dice con un sorriso. Mentre passano altre auto con un uomo solo e una Golf mette la freccia. L'amica si avvicina, parlotta un po' e quello se ne va. Bisogna aspettare un altro cliente. E intanto, come dice Bridget, si scaccia la paura: «Speriamo non torni più quello della Mercedes». Fabio Potetti «Aveva capelli e occhi scuri. Era settembre E' arrivato su una Mercedes e sembrava tanto gentile» Prostitute di colore in attesa di clienti. Una di loro è stata uccisa da un assassino ancora senza nome
Persone citate: Crespi D'adda, Fabio Potetti
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