Clinton: Saddam si è arreso, ma deve provarlo

Clinton: Saddam si è arreso, ma deve provarlo Il presidente dopo una notte di suspense: stavolta, se il Raiss bluffa, non ci sarà preavviso Clinton: Saddam si è arreso, ma deve provarlo «Gli Usa pronti a colpire in qualsiasi momento» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «L'Iraq ha fatto marcia indietro». Dopo una notte insonne in cui ha chiesto e ricevuto nuove assicurazioni per iscritto da Baghdad, Bill Clinton è sceso ieri mattina nella sala stampa della Casa Bianca per annunciare che almeno nell'immediato anche questa ennesima crisi con l'Iraq era superata. «Saddam Hussein ha accettato di collaborare pienamente con gli ispettori dell'Orni, e di revocare le decisioni (dell'estate scorsa, ndr) con cui aveva interrotto quella collaborazione», ha precisato il Presidente. «Ma per noi questo non è sufficiente: voghamo essere certi che Saddam Hussein rispetti pienamente tutti gli impegni presi, consegni tutti i documenti richiesti e conceda agli ispettori un accesso totale ai siti». Le forze americane rimangono «pronte a colpire» in qualsiasi momento e senza preavviso. Clinton ha aggiunto - il concetto non è nuovo ma l'enfasi sì - che il suo obiettivo «nel lungo periodo» è di avere a che fare con «un nuovo governo» a Baghdad. E che gli Stati Uniti cominceranno subito a lavorare «per costruire un'opposizione più efficace» al regime di Saddam Hussein. Il Presidente ritiene che questa ennesima soluzione diplomatica se reggerà - è preferibile all'uso della forza che pure sembrava così imminente. «Noi possiamo infliggere danni pesantissimi a Saddam Hussein, ma non dobbiamo dimenticare che un'azione militare metterebbe fine al lavoro dell'Unscom. E io ritengo che se riusciamo a tenere gli ispettori in Iraq e se potranno lavorare, otterremo risultati». Clinton era stato accusato - e non solo negli ambienti repubblicani - di non avere il coraggio di usare la forza militare e di aver compromesso la credibilità americana minacciando interventi contro Saddam Hussein che poi non si sono mai materializzati. Critiche di questo genere sono naturalmente affiorate anche ieri quando si è diffusa la notizia che l'attacco militare era stato sospeso e che la crisi stava rientrando. Ma Clinton ha risposto stizzito che questa volta proprio la credibilità della minaccia militare aveva finito per piegare Saddam Hussein. La Casa Bianca assicura che il Presidente aveva già firmato l'ordine per mi primo bombardamento con missili Cruise (Tomahawk) sabato mattina. E che Clinton lo aveva poi revocato quando i bombardieri B52 erano già in volo solo perché da Baghdad era arrivato un primo segnale di cedimento. In realtà quella prima lettera del governo iracheno - una lettera di due pagine più un allegato di due pagine - era solo l'inizio di una lunga partita a poker tra Washington e Baghdad che si è protratta fino a ieri mattina. E che a sentire la Casa Bianca non è ancora chiusa. Quel primo documento, in cui Saddam Hussein accettava di riprendere la collaborazione con gli ispettori ma con un linguaggio pieno di bizantinismi e con un allegato in cui elencava una serie di posizioni irachene sulle sanzioni, aveva soddisfatto sia il segretario generale Kofi Annan («Un passo nella giusta direzione») sia Russia, Cina e Francia, le tre potenze che avevano lavorato a questa soluzione diplomatica. Ma la reazione di Clinton era stata di tutt'altro segno: la lettera non era affatto la marcia indietro inequivocabile che aveva chiesto. E quell'allegato in cui Saddam Hussein sembrava porre delle condizioni era un'altra pericolosa furbata del raiss. L'ambasciatore iracheno Nazir Hamdoon è sceso subito in strada a incontrare i giornalisti per assicurare che «non si tratta di condizioni ma di semplici desideri». Ma Clinton, a quel punto, voleva un nuovo documento scritto. E ha alzato la posta in gioco tenendo il dito sul grilletto. La prima avvisaglia di questo nuovo round si è avuta sabato pomeriggio, quando i giornalisti bivaccati a Andrews Air Force Base che dovevano viaggiare al seguito di Clinton in Asia sono stati informati dalla Cnn (e con loro Baghdad) che il Presidente non sarebbe partito per il vertice Apec a Kuala Lumpur. L'attacco missilistico, insomma, non era affatto scongiurato. Poco dopo il consigliere per la sicurezza nazionale Samuel Berger è sceso nella sala stampa della Casa Bianca. La lettera irachena? «Ha così tanti buchi che pare una groviera», ha detto sprezzante. Clinton nel frattempo parlava con Blair e i due si mettevano d'accordo: il premier britannico avrebbe di lì a poco fatto una dichiarazione durissima contro Saddam Hussein. Nelle ore successive - giorno a Baghdad, piena notte a Washington - la Casa Bianca ha ricevuto il testo di tre nuove lettere molto più chiare in cui gli iracheni specificavano che: 1) l'allegato di «condizioni» non era un allegato ma la semplice espressione dei desideri; 2) la decisione di interrompere la collaborazione con gli ispettori veniva revocata in maniera esplicita; 3) la collaborazione da ora in poi sarebbe stata completa e incondizionata. «Queste tre lettere hanno fatto la differenza», ha spiegato Clinton. Ed hanno convinto la Casa Bianca che Saddam Hussein aveva effettivamente «capitolato». Intanto, nella notte, Annan ha annunciato che gli esperti dell'Unscom ritornerannno già oggi in Iraq, a dimostrazione che la tensione si allenta. Il Segretario generale dell'Orni ha però detto che «ora la comunità internazionale chiede a Baghdad di rispettare in modo completo e incondizionato gli impegni presi». Andrea di Robilant Ora c'è chi accusa «La Casa Bianca non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo» «Indispensabile la certezza che gli ispettori abbiano accesso totale ai siti» «Possiamo infliggere danni gravi ma sarebbe la fine del lavoro Onu» A sinistra, soldati iracheni durante i festeggiamenti del «Baghdad Day» Sotto, da sinistra, il presidente americano Bill Clinton e l'ambasciatore iracheno Nizar Hamdoon