Uno lettera infittisce il mistero

Uno lettera infittisce il mistero UN GIALLO DIPLOMATICO Uno lettera infittisce il mistero Destinata a D'Alema: trattativa o equivoco? ROMA ELL'OSPEDALE prigione del Lazio dov'è rinchiuso da tre giorni, ora sorvegliato anche dai «cecchini» dei Nocs, Abdullah Ocalan si chiede che cosa sta succedendo fuori. Perché si trova ancora agli arresti? Perché non è accaduto quel che lui si aspettava accadesse, e cioè un ingresso in Italia da perseguitato politico, accolto senza imbarazzi né tentennamenti? Nella giornata di sabato, mentre i suoi arkadaf, i compagni, erano a Roma per la conferenza stampa, il capo del Pkk ha deciso di scrivere una lettera al presidente del Consiglio Massimo d'Alema, per dare la sua versione dei fatti. Ocalan ha preso un foglio bianco e ha scritto a mano, in turco, diciotto righe che si aprono con un'intestazione formale: «Onorevole Massimo D'Alema primo ministro del governo italiano». Quello che segue è il riassunto di ciò che il leader curdo sapeva sul suo probabile destino al momento dell'arrivo in Italia. E il primo punto lascia aperto il «giallo» sulla trattativa e gli accordi - presunti - con il governo italiano. «Considerati gli approcci positivi di alcuni amici parlamentari italiani e, sullo stesso parallelo, di alcune persone autorevoli del vostro governo», scrive Ocalan. Una frase piuttosto esplicita nella traduzione letterale dal turco, ma che potrebbe nascondere significati più sfumati se solo fosse chiaro ciò che il leader prigioniero intende dire con «approcci» e nell'inciso «sullo stesso parallelo». Subito dopo Ocalan aggiunge gli altri elementi che l'hanno spinto a scegliere l'Italia come meta della sua fuga da Mosca: «Gli inviti precedentemente fatti da parte di numerosi senatori e parlamentari, il carattere democratico del vostro governo, il favorevole atteggiamento del popolo nei confronti dei diritti umani e la sua aperta democraticità», oltre al fatto che «in questi ultimi tempi si riversano in quest'area (cioè l'Italia, ndr) flussi dal Kurdistan, e l'invito al dialogo col Pkk del Parlamento Europeo». Insomma, un Paese accogliente. Per tutti questi motivi, prosegue Ocalan, «sono giunto nella capitale Roma del vostro paese per via aerea il 12-11-998». Il capo dei curdi non cita il passaporto falso che aveva con sé, né dice nulla dell'arresto avvenuto la sera stessa dello sbarco a Fiumicino, giovedì. Lui credeva - e lo scrive nella riga successiva - che l'Italia sapesse del suo arrivo: «Ritenevo vi fosse già pervenuta la mia richiesta di asilo politico». Invece s'è ritrovato agli arresti, sia pure in ospedale e con la possibilità di continui contatti coi suoi uomini. Sono stati proprio gli arkadaf a spiegargli la nuova situazione, e nella parte finale della lettera Ocalan conferma di essere stato «informato che, per motivi incomprensibili», la sua richiesta «non è stata messa in azione». Per questo ha inoltrato la formale domanda di asilo politico. «Ne prego l'accettazione e le porgo rispettosi saluti», conclude il leader turco, che in calce indica la qualifica e il nome: «Il presidente generale del Pkk Abdullah Ocalan». Infine la data, «14-11-998», e uno sgorbio come firma. Il capo della resistenza curda ha consegnato la lettera ai suoi uomini; se e a chi sia stata reca¬ pitata ufficialmente non si sa. Non è affatto certo che sia arrivata al destinatario che aveva in mente Ocalan, e cioè Massimo D'Alema, né ad altri esponenti del governo. Sui contatti (o «approcci») preventivi, l'unico dato ufficiale è il comunicato di Palazzo Chigi che sabato sera smentiva qualunque «tipo di rapporto» tra Ocalan e il governo «prima dell'arrivo in Italia». Ma quella precisazione rispondeva alle affermazioni dei curdi nella conferenza stampa romana, non alla lettera. Appare chiaro, invece, che dal letto d'ospedale Ocalan ripeteva gli stessi concetti espressi dai suoi emissari a Roma: il governo era al corrente dell'arrivo grazie ai «mediatori italiani». Nasce da qui il «giallo» sulla trattativa, e il successivo passo indietro dei curdi e del loro leader. Nel pomeriggio di sabato, infatti, dopo l'incontro con l'awocato-deputato Luigi Saraceni che l'assiste insieme al collega Giuliano Pisapia, lo stesso Ocalan ha negato i contatti. Prima parlando con chi ne ha avuto la possibilità («Non c'è sta- ta alcuna trattativa né accordo con le autorità italiane»), poi con un comunicato diffuso alle agenzie di stampa a tardissima sera: la notizia era «assolutamente infondata» e frutto di «un equivoco circa le dichiarazioni fatte a mio nome nella conferenza stampa». La lettera a D'Alema, però, era già stata scritta, anche se forse non inviata. Questo significa che nell' «equivoco» era caduto pure Ocalan, e che probabilmente il fraintendimento non s'è verificato durante la conferenza stampa, ma nei contatti - quelli non smentiti da nessuno - con i parlamentari italiani prima dell'arrivo del leader curdo a Fiumicino. Che siaiio stati loro ad aver parlato, o ad essere stati fraintesi, della disponibilità preventiva del governo? E se così fosse, a quando risalgono quei contatti? E a quale governo si faceva riferimento, quello di D'Alema o quello guidato da Romano Prodi in carica fino a un mese fa? A queste domande possono dare risposte certe solo i deputati o senatori che hanno avuto rapporti con gli esponenti del Pkk nelle settimane scorse, oltre naturalmente ai curdi direttamente interessati. Risposte che non sono ancora arrivate, lasciando intatto il «giallo» all'origine dei malumori di Ocalan, recluso malgrado le sue aspettative. Nel frattempo, nella cittadina laziale dove si trova il capo continua il viavai di esponenti della resistenza curda (ieri ha ricevuto una delegazione di cinque persone guidate da Akif Hasan), e continuano i contatti di questi ultimi con gli avvocati dell'aspirante esule per stabilire la strategia difensiva da esporre al magistrato della corte d'appello che lo interrogherà domani. «Il problema ora è lo stato di detenzione di Ocalan - si limita a dire Saraceni -, poi studieremo se è il caso di presentare una domanda di revoca degli arresti; successivamente si affronteranno gli argomenti dell'estradizione e dell'asilo politico». Ma a quel momento gli «equivoci» sulle trattative, vere o presunte che siano, dovranno necessariamente essere stati chiariti. Giovanni Bianconi li prigioniero ritratta le precedenti versioni e rivela «approcci con persone del governo» Sopra, il ministro degli Esteri Lamberto Dini