SILVIO GEUNA

SILVIO GEUNA ^tdfib delia Memoria SILVIO GEUNA Una classe turbolenta domata da un professore in bombetta UNA mattina di scuola all'ultima ora - scrive Caterina Gromis di Trana, ricordando Silvio Geuna - Non ricordo se era il penultimo o l'ultimo anno di liceo (1980 o '81): la classe era la stessa e lo stesso lo spirito, allegro, un po' goliardico, esuberante e scanzonato. Il liceo era il Virgilio e a mezzogiorno noi studentinon avevamo più risorse: la mattina era trascorsa tra le guerre di Sparta e Atene, o a imparare la metrica del canto di Nausicaa. 0 ci si sentiva fare la predica per quei cinque o sei figuri che, nonostante provenissero da famiglie ineccepibili, non riuscivano a prendere più di 8 in condotta. Quel giorno era arrivata una sorpresa: il nuovo insegnante di religione. La classe era pronta a dar battaglia: inaccettabile l'idea di propinarci una lezione di religione proprio a quell'ora. I figuri dell'otto in condotta erano pronti ad annientare il solito giovane intellettuale cattolico problematico che avrebbe tentato di insegnarci cose che sapevamo già benissimo. E invece ricordo un fremito di sbigottimento. Davanti a noi c'era un signore con la barba, la bombetta e i guanti che pareva uscito da una altro tempo. Si era presentato con quella sua voce un po' rauca, l'accento piemontese, la cortesia da gentiluomo quasi un po' affettata. Eravamo pronti all'attacco ma c'era stato un attimo di esitazione. E lui aveva approfittato di quell'istante perché era un combattente che sapeva salvare la pelle nelle situazioni più disperate, e noi non eravamo che un giochetto per tenersi in esercizio e tornare sul filo della memoria ai suoi anni più belli, sofferti e rimpianti. Si era tolto guanti e bombetta e aveva iniziato a raccontare, prima piano, poi con una foga appassionata e vibrante. Eravamo schiacciati. Ricordo un silenzio irreale mentre diceva di quando dopo l'8 settembre aveva attraversato a nuoto l'Isonzo portando solo la penna nera con sé. E quando all'una suonò la campana, mentre dal corridoio arrivava il frastuono che sempre accompagnava la fine delle lezioni, nella nostra classe non si sentiva volare una mosca. Da allora le lezioni di religione erano diventate un appuntamento settimanale attesissimo: gli 8 in condotta facevano capannello alla cattedra e non si stancavano mai di sentirlo parlare, attento, affettuoso, generosissimo a darci tutto quello che poteva, come aveva voluto scri- vere nella prefazione del suo libro sulla Resistenza, «Le rosse torri di Ivrea»; «Noi possederemo* eternamente soltanto ciò che avremo donato». Chi non voleva dargli retta poteva fare quello che voleva: ripassare per il giorno dopo, giocare a battaglia navale o a tris, leggere un giornalino. Non obbligava nessuno: l'ina- portante era mantenere il decoro necessario alla scuola, e disinteressarsi a lui con dignità e correttezza, senza fare un rumore assordante che avrebbe richiamato gente da fuori. Mi torna in mente un altro ricordo, bellissimo: una giornata in campagna da un compagno, poco prima dell'esame di maturità, all'inizio dell'estate: c'era un grande parco con un lago e un maneggio. Il nostro indomito professore allora aveva su per giù settantacinque anni e quel giorno aveva montato a cavallo galoppando pancia a terra per mezz'ora, poi aveva fatt" un corpo a corpo con il più robusto dei suoi allievi e, incitato da tutti noi schiamazzanti, l'aveva atterrato senza pietà (gli ho portato le fotografie di questo incontro di lotta libera in ospedale durante questo suo ultimo torrido agosto, e l'hanno fatto ancora sorridere). Si era anche tuffato nel lago in mutande, e poi le aveva stese ad asciugare su una lampada, attorno alla quale erano raccolti i miei compagni a chiacchierare delle loro cose da giovinetti. Aveva cantato, scherzato, ballato, fatto dichiarazioni d'amore sconvenienti alla professoressa di matematica, e ci aveva fatti ridere fino alle lacrime. Finita la scuola, lasciato il Virgilio che oggi non esiste più, ha scelto la solitudine, definitiva, spaventosa e amata. E' sua la citazione di Balzac: «La solitudine fa, nell'uomo, uno di quei deserti in cui risuona la voce della divinità». Eppure, me lo diceva durante le poche visite che gli facevo nella sua casa buia e piena di ricordi, aveva un disperato desiderio di affetto: un affetto senza pretese, ma vivo e non solo immaginato, fatto di attenzioni quotidiane e di tenerezza. Aveva bisogno, come ha scritto, del «pianto del cuore, che è un pianto interiore che lenisce l'arsura delle ciglia che, in un uomo non possono, non devono piangere!». Con il suo inesorabile pudore che gli impediva di piangere, negli ultimi giorni mi ha detto che avrebbe voluto per il suo necrologio solo queste parole: «E' morto Silvio Geuna». m Renato Scagliola Nella foto il professor Geuna tra gli studenti del liceo I irgilio

Persone citate: Balzac, Caterina Gromis, Geuna, Renato Scagliola, Silvio Geuna

Luoghi citati: Atene, Ivrea, Trana