Storie di Città di Bruno Gambarotta

Storie di Città Storie di Città IL Lunario dei giorni d'amore di Guido Davico Bonino riporta, alla data del 14 gennaio, una citazione da Roland Barthes sui tormenti dell'attesa, quando la persona amata si fa aspettare. In chiusura della citazione, Barthes allarga il discorso e scrive: «Fare aspettare: prerogativa costante di qualsiasi potere, passatempo millenario dell'umanità». Ecco che si affollano alla mente i ricordi di quante volte abbiamo aspettato, di quante ore - e giorni - della nostra vita sono trascorsi nell'attesa di qualcosa o di qualcuno. Il potere dell'impiegato al di là del vetro; ti serve il passaporto, hai consegnato la cartella con i documenti richiesti e l'addetto li sfoglia uno per uno con esasperante lentezza e tu intanto fremi perché se ne manca uno oppure è da rifare, perderai l'occasione di un viaggio importante. Se poi manca una marca da bollo, il posto più vicino dove le vendono è a tre chilometri dall'ufficio e, fra andare e tornare, chiudono gli sportelli e devi tornare domani: ti affacci allo sportello bancario e chiedi che ti cambino un assegno. L'impiegato ti scruta e poi si alza e si allontana; lo vedi mentre si avvicina alla scrivania del direttore della filiale e si china deferente a mormorargli qualcosa all'orecchio mostrandogli l'assegno. Intanto ti indica col braccio teso e man mano che parla il direttore aggrotta la fronte, stringe gli occhi in una smorfia di rammarico. Gli altri in coda dietro di te ti guardano e fanno un passo indietro come se tu fossi un rapinatore. Finalmente l'impiegato ritorna e ti domanda se conosci qualcuno in quella filiale che possa garanti¬ re per te; sarebbe bello in quei momenti aver vinto alla lotteria e poter dire: «Compro la vostra banca, quanto fa?». Peggio ancora è l'attesa davanti allo schermo del Bancomat quando compare la scritta: «La richiesta di autorizzazione è stata inoltrata alla sua banca. La preghiamo di attendere». Ti immagini i direttori della banca riuniti attorno a un tavolo che discutono animatamente: «Questo vuole centomila lire, cosa facciamo, gliele diamo? Possiamo correre questo rischio?». C'è anche l'attesa davanti al Bancomat quando altri prima di te stanno chiedendo soldi allo schermo. Non bisogna star troppo sotto per non avere l'aria di sbirciare il codice segreto di chi sta operando, ma nello stesso tempo bisogna impedire che qualcuno arrivato dopo di te ti scavalchi nella fila. Allora ci si dispone a semicerchio sul marciapiede e per far comprendere a tutti le proprie intenzioni si tira fuori la tessera magnetica; quando ce l'hai in mano non sai che farne e per darti un contegno cominci a studiarla come se non l'avessi mai vista prima, stupito tu per primo di quell'affare che ti sei trovato in tasca. Spesso il medico di famiglia divide lo studio con altri medici e la sala d'attesa è una sola per tutti; arrivi e domandi: «C'è qualcuno per il dottor Rossi?». Tutti gli altri quattro medici non hanno mai un paziente. Domanda successiva: «Per favore, chi è l'ultimo per il dottor Rossi?». L'ultimo alza la mano e da quel momento inizi a puntarlo come un cane la sua preda, in attesa di diventare a tua volta l'ultimo per qualcun altro. Dopo un quarto d'ora mi accorgo che il mio ultimo è un signore anziano per il quale quella saletta con una ricca dotazione di settimanali dell'anno scorso e di riviste mediche che ti fauno venire la pelle d'oca è 0 posto più bello e confortevole del mondo e che vorrebbe che l'attesa non finisse mai. Così non si preoccupa se una signora sul nevrotico spinto arrivata dopo di noi non si siede ma sta-' ziona sulla soglia pronta a fiondarsi nello studio non appena il medico apre la porta per congedare il paziente. Devi stimolarlo alla lotta: «Guardi che quella vuole passarci davanti». Il mio ultimo si stringe nelle spalle: «Avrà fretta», dice. Tocca a me farmi avanti: «Scusi signora, se è qui per il dot¬ tor Rossi guardi che ci siamo prima noi». La replica è sempre la stessa: «E' solo per ritirare una ricetta, questione di un minuto». Uscirà trionfante dallo studio dopo 45 minuti. Il punto più alto dell'attesa come forma di potere 10 raggiunge il medico che osserva la radiografia contro il quadro luminoso, scuote la testa, produce piccoli'ma significativi rumori di disapprovazione ma tace, inesorabilmente tace. Per quelli come me va molto meglio quando c'è da prendere il numerino e aspettare che compaia sul display; si tratta di un sistema che placa la tua ansia ma fa emergere pensieri perfidi. Il primo è quello di non dire niente a coloro che arrivano e non realizzano che bisogna staccare il numero per vedere la faccia che faranno quando crederanno che sia 11 loro turno di passare. Il secondo è sperare intensamente che i possessori dei numeri che precedono il tuo non si presentino alla chiamata, perdendo il turno. Succede all'anagrafe quando gli interessati escono a cambiare il disco orario al parcheggio e soprattutto al banco della gastronomia del supermercato, per l'abitudine delle signore di staccare il biglietto appena entrate e poi andare in giro per il resto della spesa; si dimenticano di controllare e quando sentono annunciare 0 loro numero inizia una corsa disperata con il carrello. Ma è tutto inutile; io, che non mi sono mai staccato dal banco, sono stato più svelto di loro ad allungare la prova del mio diritto a essere servito. Sono momenti di trionfo che mi ripagano di tutte le ore trascorse nell'attesa di qualcosa o di qualcuno. di Bruno Gambarotta

Persone citate: Barthes, Guido Davico Bonino, Roland Barthes, Rossi