Riapre ad Ivrea il Teatro Giacosa di Monica Bonetto

Riapre ad Ivrea il Teatro Giacosa Riapre ad Ivrea il Teatro Giacosa QUANDO cominciai a lavorare allo spettacolo "Olivetti" quel che mi colpiva di più era il sentimento della dimenticanza di Ivrea». Ha scritto Laura Curino. E ancora: «Lucchetti sbarrano l'accesso a molti luoghi, ormai deserti, dove le collettività civili depositano i propri sogni: teatri, sale da concerto, scuole d'arte, biblioteche, gallerie, caffé, cinematografi...» Da allora ci separano la trasmissione televisiva deUo spettacolo «Olivetti» (prima parte) di due settimane fa e la riapertura, sabato 14 novembre, del Teatro Giacosa di Ivrea. Mica poco, per imo spettacolo che voleva essere «semplice storia di persone», «testo sulla dimenticanza che spera di essere scintilla di memoria collettiva». Ma ciò che più appassiona, e che sera dopo sera rinnova la necessità profonda del far Teatro, è la somma di ricordi, dati, storie, emozioni, energie e sogni che lo spettacolo ha ricevuto e accumulato dal pubblico. La prima parte di «Olivetti» è nata e cresciuta così, con il contributo di chi rivivendo qualcosa che gli era appartenuto voleva correggere, arricchire, confortare il racconto. La prima parte era dedicata a Camillo Olivetti, il padre. Quello che nel 1911, all'Esposizione Universale di Torino, aveva prenotato un padiglione per esporre la prima macchina per scrivere di fabbricazione italiana. Ma non venne finita in tempo per l'inaugurazione. Così lui, Camillo, decise di esporre gli operai che la stavano finendo, e che la finirono proprio lì, all'Esposizione. Camillo aveva esposto un lavoro in creazione, aveva anticipato i tempi e ciò che in un futuro sarebbe stata definita «body art», l'opera d'arte costituita da un corpo in azione nello spazio. La seconda parte del progetto «Olivetti», quella dedicata ad Adriano, il figlio, e che andrà in scena a Ivrea sabato 14 alle 21, (repliche il 15, 16 e 17, tutte esaurite, tel. 0125/41.02.15.) riparte anche da lì: dal corpo delle tre attrici in scena, Curino, Mariella Fabbris e Lucilla Giagnoni; dal loro agire un testo ancora non finito, dal presentare uno studio che si modificherà lungo le repliche perché spettatori si riconosceranno, testimoni vorranno replicare, protagonisti di quel tempo consegneranno scrigni di ricordi. «Body -art, arte del corpo scrive Curino- Questa definizione ci soccorre. Ci è utile anche oggi a definire un processo e anche un progetto, quello olivettiano, che tentava di coniugare alle ragioni dell'economia e del profitto, le ragioni dei corpi che concorrevano a produrli, dei luoghi che li accoglievano, delle menti che li animavano e li sostenevano». Perché Adriano Olivetti era un utopista. Di più. Era uno che ce l'aveva quasi fatta a realizzare la propria utopia. E Ivrea per un po' è stata la città dei sogni, di un sogno collettivo grande e straordinario, dove il capitano di un' azienda di rilevanza mondiale riteneva irrinunciabile e imprescindibile il benessere dei propri operai, dove il buon andamento degli affari era strettamente collegato al progresso sociale e intellettuale. Una città laboratorio e un capitalista rivoluzionario. Il minimo che si possa fare, è non dimenticare. Non ancora. La regia dello spettacolo è di Gabriele Vacis. Le scene, i suoni e le luci di Lucio Diana e Roberto Tarasco. I prossimi spettacoli sono attesi al Giacosa per gennaio. Monica Bonetto

Persone citate: Adriano Olivetti, Camillo Olivetti, Curino, Gabriele Vacis, Giacosa, Laura Curino, Lucilla Giagnoni, Lucio Diana, Mariella Fabbris, Roberto Tarasco

Luoghi citati: Ivrea, Torino