MONTALE E ANSALDO UNA PERFIDA AMICIZIA

MONTALE E ANSALDO UNA PERFIDA AMICIZIA MONTALE E ANSALDO UNA PERFIDA AMICIZIA E loro vite si incrociarono fm dai remoti tempi del «Giornalino» di Vamba (Luigi Bertelli), una diffusa palestra nazionale tempestata dalle letterine di lettori giovinetti, sollecitate da Vamba, un animatore ante-litteram. I bambini primo Novecento contribuivano a quell'associazione cartacea cresciuta come una specie di «repubblica», con nuvole d'abbonati in ogni città che si incontravano per giochi, merende, gite in bicicletta, tornei enigmistici. .. In quel mondo di scherzi e calembours il bambino Giovanni Ansaldo, già attivissimo nella scrittura, divenne «Sindaco di Genova». Il bambino Eugenio Montale chiedeva a Maestro Sapone (Giuseppe Fanciulli), perché l'olio galleggiasse sull'acqua. Certi bambini di Solda volevano Gii Ald è il fi sapere se «Giovanni Ansaldo è il fi¬ glio del capitano di un bastimento della Navigazione Generale Italiana oppure quello che è in III A nel Regio Ginnasio Colombo». Ansaldo con un anticipo fanciullesco di solennità e malcelato orgoglio rispondeva: «Proprio tutti e due i supposti individui». Si reincontrarono da giovani uomini: Ansaldo giornalista, redattore capo del «Lavoro» e Montale poeta imbronciato. Vivevano nello stesso clima, quello di Genova, una città introversa e senza illusioni. Si trovarono entrambi nell'orbita di Piero Gobetti. H giornalista, sollecitato continuamente dall'«editore ideale», dilagò la proprio prosa austera e libeUistica sulle pagine di «Rivoluzione Liberale». Montale pubblicò gli Ossi di seppia. Quando un comune amico - Emilio Servadio - scrisse un articolo sul nuovo libro di poesie e lo portò al «Lavoro», «... Ansaldo me lo restituì strepitando - con la sua voce nasale che io ero matto a elogiare in tal modo un libro di versi. "Lei ne scrive come si trattasse di un nuovo Leopardi", aggiunse indignatissimo». Montale e Ansaldo erano due genovesi che «non incontravano». Mantennero, per tutta la vita, un rapporto di formale cortesia. Coetanei, curiosi uno dell'altro, si «difesero» con il simbolico usbergo del (dei». Avevano firmato entrambi il manifesto degli intellettuali antifascisti. Montale corteggiava i varchi, amava l'invisibile, l'ombra delle formiche. Ansaldo si autocelebrava con articoli decantanti gli antichi splendori della città «dove ho avuto l'onore di nascere». Il poeta voltò le spalle a Genova «dove si vive malissimo» e gli erano stati «lesinati pane e onori». Da Firenze da «emigrato», alle feste comandate tornava in famiglia e compiva le visite di rito. Nel 1929, il 29 dicembre, andò anche da Ansaldo che fissò l'incontro nel suo diario: «L'esangue Montale mi compare ieri dinanzi al tavolino di redazione, in una di quelle sue visite semestrali, o tutt'al più trimestrali come i fascicoli di "Commerce"... Il suo viso è sempre più sfiorito, le sue mani sempre più appassite, i suoi occhi si chiudono sempre più in quelle pause, in cui pare che il mondo lo disgusti e lo spaventi. E' veramente il vero poeta dell'upupa... Ma quest'uomo, che pare così distaccato, così lontano, così stanco e disabusato, quest'uomo che, a quanto so, ha una intima, potente ragione per dispregiare la vita e le chiacchiere degli uomini, pure è sorretto da una mcommensurabile vanità... I suoi giudizi sono tutti di un delizioso autocentrismo; ha detto male di me, quindi è una canaglia; ha detto bene di me, quindi è un grand'uomo..,». Montale non lesse mai questo perfido ritratto. E presentendo l'idea che di lui aveva il giornalista, in una lettera del 1933 all'amica Lucia Rodocanachi, esplose in una di quelle sue stupende sulfuree liberatorie invettive: «... Ansaldo ha sposato la serva (e brutta) per paura di essere becco...». Il sarcasmo montaliano, nel chiuso delle missive, scoccò più volte la freccia sul bersaglio Ansaldo. Si sfottevano con circospezione sotterranea, per interposta persona: duellanti coscienti e inesistenti. Soltanto una volta Montale perse «ufficialmente» la pazienza quando scrisse, per l'ennesima volta, ad Ansaldo onde ottenere la certificazione di collaboratore del «Lavoro». Desiderava iscriversi all'Albo dei Pubblicisti fiorentini. «E' dunque possibile o no averla? Comincio a temere che neanche sette anni di assenza abbiano saziato i miei concittadini, pronti, oggi come ieri, a considerarmi un perfetto coglione». Erano ormai due genovesi «all'estero», curiosi dalle rispettive fortune. La loro «amicizia» era mutata in una cortese quanto apparente distaccata sorveglianza, alla lontana. Nel tempo trovarono anche un «telefono senza filo» tanto nell'arguta malizia di Longanesi, quanto nella notturna insofferenza di Missiroli. La sorte li aveva voluti alfine «colleghi»; Montale redattore al «Cornerà della Sera», Ansaldo direttore del «Mattino» di Napoli. Nel 1955 si incotrarono su un treno per Milano, partito da Venezia. Un treno zeppo. Il demone scrittorio di Ansaldo non mancò di appuntare l'avvenimento sul diano. 20 settembre: «... Capito in un vagone dove c'è Montale. Conversiamo a lungo. E' affetto da numerosi tic: tra 1 altro quello di gonfiare le labbra come se masticasse qualcosa... A Venezia è stato a trovare Berenson e me lo dice gravemente, come se annunciasse che è stato a trovare il Gran Muftì. Conferma che Berenson è un grande ladro: perché con lo studio non si raggiunge la ricchezza,.. [...]. Poveruomo! Si mangia il suo cestino da viaggio; la poesia, in questa circostanza, ci scapita forte. I poeti, come le donne, non dovrebbero mai farsi vedere mangiare e dilaniare il pollo...». La storia di questa amicizia «molto genovese» ha un esito che non dipende né da Ansaldo, né da Montale. 0 caso, col suo strambo carattere, ma con grande stile, ha voluto giocarli entrambi. Nella sontuosa opera che esalta Montale e che pubblica tutto quanto egli ha scritto, collocandolo giustamente tra i grandi del Novecento italiano, un articolo dedicato a Remigio Zena si è proditoriamente infilato da clandestino. Infatti non è di Montale, ma di Ansaldo che con la sua prosa è scivolato tra le migliaia di pagine che glorificano lo stile di Montale. Continuano, anche dopo la morte. Giuseppe Marcenaro «Il poeta ha una intima, potente ragione per dispregiare la vita, pure è sorretto da una vanità mcommensurabile» Convegno oggi a Torino (Archivio di Stato, piazza Castello) sui rapporto fra Montale e la città dove esordi con gli «Ossi di seppia». Interverranno fra gli altri Marziano Guglielminetti, Giorgio Bàrberi Squarotti, Maria Luisa Spaziani e Giuseppe Marcenaro, che qui anticipa alcuni passaggi della sua relazione: «Gobetti, Montale e Ansaldo (storia di un'amicizia)».

Luoghi citati: Firenze, Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia