ROSSI: LA POLITICA VA IN CARCERE di Lorenzo MondoNerino Rossi

ROSSI: LA POLITICA VA IN CARCERE ROSSI: LA POLITICA VA IN CARCERE IL DETENUTO Nerino Rossi Marsilio pp. 185 ■ L 25.000 CRITTORE di lungo corso, Nerino Rossi è avvezzo a involgersi nel nativo mondo contadino e pauano, dove contano gli umori della terra e l'aria delle stagioni, l'esuberanza cordiale della gente emiliana. Ma con «Il detenuto» scrive a sorpresa un romanzo claustrofobico, come quello che si sviluppa tra le mura di una prigione dove ci si contende il rettangolo di luce che piove da una finestretta. Una chiusura sottolineata dai fogli di una impedita, tormentata corrispondenza epistolare. A questo lo ha indotto la passione civile che pulsa del resto anche nelle sue pagine di distesa elegia. Il protagonista è un sottosegretario, un potente di seconda fila, abituato - come lui stesso rileva ironicamente - a comparire nelle cerimonie «soltanto con metà della faccia». Sconta la pena del carcere preventivo sotto l'accusa di ricettazione, di avere sovvenzionato con soldi illeciti una cooperativa del suo collegio elettorale. Scrive alla moglie lettere amareggiate per raccontare l'avvilimento del suo nuovo stato (in compagnia di malfattori autentici) e le tappe di un crudele rituale inquisitorio, per protestare, alternando speranza e disperazione, la sua completa innocenza. Il discorso, che appare in un primo tempo informativo e descrittivo, assume a poco a poco cadenze testamentarie, diventa un grido di dolore e di impotenza, finisce per intonare uno straziato «De profundis». Non soltanto l'ex vice ministro non viene creduto, ma si procede a demolirlo nel fisico e nel morale con testimoni fraudolenti e infiltrati, perfino con il ricorso alle intimidazioni mafiose: con la promessa della libertà resa possibile dal patteggiamento, dalla confessione di una colpa inesistente. Quando lui si sente tutt'al più partecipe di una passività collettiva, del lungo silenzio, dell'acquiescenza davanti alla deriva della politica, al suo progressivo inquinamento. Rifiuterà allora di piegarsi alla macchina di una giustizia prevenuta contro gli uomini del Palazzo, aizzata da un'opinione pubblica mutevole e immemore. Il colpo decisivo gli viene assestato durante un sopralluogo nel paese natale, dove si illude di trovare affetto e rispetto, mentre sarà sottoposto al processo di una piazza insultante e beffarda. Allora, davvero, si può e si deve morire, per testimoniare la propria verità: anche se uno solo dovesse raccoglierla, forse la figlia che, nell'ultimo abbraccio, si è irrigidita nel sospetto e nel disagio. Resta qualche dolcezza nel tramonto: «anche la luce, nel momento della resa, quando si prepara a sparire, raccogliere ultime forze per un'ultima offerta, in cui ogni cosa si attenua e i colori fanno finalmente pace tra loro». Questo romanzo di Nerino Rossi si risolve di fatto jn una confessione estrema, di acuta sollecitazione morale, appoggiata alla scoperta della diversa umanità carceraria (la figura arguta e compassionevole del borsaiolo, l'esibita e untuosa complicità del «Ciociaro»), ai ricordi di una vita colma di affetti e di generosi entusiasmi. Non vuole essere un indiscriminato «j'accuse» contro le pratiche giustizialiste, non una richiesta di assoluzione per i misfatti di Tangentopoli. Insieme a una individuale affermazione di dignità, c'è piuttosto la rivendicazione della politica, della sua originaria nobiltà. Nulla sente di dover rinnegare, il modesto e decaduto eroe, del suo passato pubblico: dalla cospirazione antifascista che gli è valsa una prigione onorata, all'impegno nella ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra, nel riscatto di popolazioni oppresse da secoli di povertà. E' un invito ai sopravvenienti perché non rinuncino a una elementare pietas esistenziale e storica. Lorenzo Mondo Nerino Rossi IL DETENUTO Nerino Rossi Marsilio pp. 185 ■ L 25.000

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