A Praga, con la scialuppa della fantasia
A Praga, con la scialuppa della fantasia A Praga, con la scialuppa della fantasia DALLA PRIMA PAGINA continuamente si mescolano, producendo immagini da caleidoscopio. E non c'è differenza tra le fantasie del Trecento o quelle del Barocco e ancora del Surrealismo, per il critico che cerca «i cimeli di una cultura svanita» e li assembla alle proprie vive emozioni, convinto che «il precario e l'irripetibile sono le certezze assiali, le leggi maggiori del nostro vivere». Questa vena vaga e lucida è il leitmotiv della feconda attività di Ripellino, saggista narratore, poeta, uomo di teatro, Un filo rosso unisce la memorabile e precoce Storta della poesia ceca contemporanea (1950), con i ritratti vivi di poeti come Nezval, Biebl, Wolker, Seifert, Halas, Holan, a II trucco e l'anima (1965) saggio che evoca l'avanguardia teatrale russa da Stanislavsky a Mejerchold, da Vachtangov a Tairov. Così come le traduzioni degli amati cechi Neznal e Holan e quelle dei russi Blok, Belyj, Chlebnikov, univano l'esplorazione di quei mondi al proprio, un'officina Urica che lo vedeva testimone e protagonista, come attestano i suoi volumi in versi: La fortezza d'Alvernia, Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, Autunnale barocco. Sempre il suo segreto era «limar le parole come pietre dure», come gli orafi di Rodolfo o gli intagliatori di cristalli, sensibilissimo, come ha scritto Alena Wildova, «all'amalgama della parola con l'immagine, al fascino del teatro, alle vibrazioni dell3- musica e di ogni arte, anche marginale, anche remota». Il linguaggio era per lui la magia, e insieme l'angoscia, il destino: «Della solitudine di Kafka nella sua terra natia. Dell'ebreo praghese di lingua tedesca, che vive come in contumacia in un mondo slavo». E la Mitteleuropa ne mostrava il fascino e il mistero, l'anima di una verità profonda il cui volto era quello delle sue capitali, di Praga al massimo grado per essere crocevia di strade e di imperi. «Questo mio dittamondo praghese - riconosceva - è un libro sconnesso, sbandato, a frastagli, scritto nell'insicurezza e nei mali, con disperaggine e con pentimenti continui, con l'infinito rimorso di non conoscere tutto, di non stringere tutto, perché una città, anche se assunta a scenario di una flanelle innamorata, è una dannata, sfuggente, complicatissima cosa». Praga, con la vitalità dei suoi caffè, delle birrerie, con il castello specchiato nel fiume, scompare alla vista del suo pellegrino, da lei allontanato dal regime insieme con la compagna della vita Eia Hlochova, e rimane solo in un fotogramma di nostalgia: «ingiallita, / dietro specchietti di celluloide, / con gli occhi malati dei tram, / Praga piange» (1953). Una sera, in un dopo teatro, quando le luci del suo lucido controllo si affievolivano, concedendosi appena, mi raccontava il suo tormento, quando alla frontiera era stato offeso e i'suoi libri stracciati e sparpagliati sulla terra che amava tanto, da mani grosse che poco sapevano che in quelle parole egli, Angelo Maria Ripellino, difendeva proprio loro, la loro libertà a vivere. Dei lineamenti della città amata, mutevoli come quelli di una consumata attrice, restava il fascino, la malia delle luci della scena. Il teatro è stato, soprattutto negli ultimi anni, sino alla morte a Roma nel 1978, l'ultimo grande amore di Ripellino, come provano le raccolte delle sue critiche per l'Espresso; Siate buffi e La poltrona vuota. Come ha osservato Agostino Lombardo, egli «racconta, mima, rimette in scena lo spettacolo cui ha assistito». A questo laboratorio d'ascolto e d'invenzione, sono legati i miei personali ricordi della sua cara figura: lo incontravo molte sere nei foyer dei teatri romani, che in quegli anni conoscevano una stagione felice, o a cena dopo lo spettacolo. Affabile e pieno d'ironia, sensibile e fantasioso, un po' antico gentiluomo e un po' clown, come notava l'amico comune Paolo Milano. Spesso sedevo in una poltrona vicina, e lo vedevo scrivere nell'om¬ bra, con la penna dotata di una piccola luce, senza distogliere lo sguardo dallo spettacolo, come se fosse immerso nel sogno e le divagazioni della fantasia ben s'accordassero alla grafia minuta del suo taccuino. Giuliana Morandlnl Angelo Maria Ripellino, vagabondo a Praga, in compagnia di Kafka o di Neznal o degli eroi di Brecht
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