IL DELITTO MATTEOTTI ALLA PROVA GENERALE

IL DELITTO MATTEOTTI ALLA PROVA GENERALE IL DELITTO MATTEOTTI ALLA PROVA GENERALE Vittima, uno dei ras del fascismo padano CHE «le cose che nel male hanno inizio dal male traggono forza» oltre a considerazione con cui Macbeth anticipa di poche battute l'assassinio di Banquo è anche constatazione che la storia ribadisce con forza ad ogni suo passo. Esempio di questa concatenazione mortifera è una delle pagine più sanguinose del primo fascismo: il sequestro e l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti del giugno 1924. Azione che viene preceduta da una sorta di prova generale: stessi mandanti, stessi esecutori, stessa tecnica. E' diverso solo l'esito - non s'arriva all'esecuzione ma solo ad una cruenta e durissima intimidazione - e il colore politico della vittima. Non un rosso, o un oppositore del regime ma - paradossalmente - uno dei più violenti ras del fascismo padano, Cesare Forni. Personaggio che sembra far da confratello italiano ai terribili «soldati di ventura», nutriti di odio e disprezzo, scatenati dalla destra nella Germania di Weimar e narrati da von Salomon nel proscritti, Forni, nato nel 1890, appartiene ad una ricca famiglia di imprenditori agricoli. Dopo aver studiato a Novara ed essersi iscritto al Politecnico di Torino dove brilla per intelligenza e conquiste femminili ma non per applicazione agli studi («Sono un giocatore di biliardo e uno studente a tempo perso» dirà al Duca d'Aosta che lo interroga, nei primi giorni di guerra), Forni trova sul campo di battaglia il palcoscenico ideale per dispiegare gli ingredienti fondamentali del suo carattere. Innanzitutto ha un coraggio fisico assolutamente fuori dal comune (e i dodici riconoscimenti al valor militare, croce al merito e medaglie d'argento compresi, conquistati tra la Bainsizza e il Pasubio, parlano chiaro in proposito) e un'aggressiva spietatezza verso l'avversario. Inoltre possiede un senso del comando istintivo ed elitario unito ad un cameratesco paternalismo elargito verso i commilitoni che lo seguono nelle sue imprese. Queste caratteristiche, una volta finita la guerra, fanno dell'ex capitano dell'artiglierìa da montagna - «biondo leone di Lomellina» lo definisce D'Annunzio - l'ideale prototipo del condottiero delle squadre d'azione che il primo fascismo scatena nelle campagne della Padania. Nel giro di pochi mesi Forni s'impone come uno dei capi di quell esercito indisciplinato, violento, rissoso e spietato che sono le formazioni squadriste. Muovendo le squadre di un organico poderosamente foraggiato dagli agrari, ben armato, dotato di una mobilità frenetica e protetto spesso dalla pavidità o dalla complicità delle forze dell'ordine, Forni diventa uno dei protagonisti delle pagine più violente del biennio 1920/21. Ad esempio quando i fascisti, dopo aver imposto il loro ordine in diverse città di tradizione socialista danno inizio, nell'estate del 1921, alla cosiddetta «battaglia di Novara». Qui, dopo l'assassinio di un agricoltore fascista da parte di militanti comunisti, parte una prova di forza che coinvolge migliaia di squadristi. Giungono da tutto il Nord Italia per dare una lezioni ai rossi: dal 9 al 24 luglio tutto il territorio novarese è percorso dagli squadristi che, coordinati da De Vec- chi e da Forni, impongono il loro ordine. Un ordine che costa otto morti e venticinque feriti ed è fatto di distruzioni di leghe, cooperative contadine, circoli operai, defenestrazioni di sindaci socialisti e incendi di sedi politiche avversarie. Ma è con la brutale «presa di Palazzo Marino» - vale a dire la sede dell'amministrazione comunale milanese retta da tempo immemorabile dai socialisti sloggiati con la violenza dagli squadristi di Forni - che il ras lomellino s'impone all'attenzione della stampa nazionale ed estera. L'inviato del quotidiano francese Le Matin, capitato sulla scena di Palazzo Marino, si sofferma a lungo sul carisma di Forni «grand géant blond, dont la chemise noire est striée de tout l'arcen-ciel des croix internationales de la bravoure». Su II Popolo d'Italia si sprecano i ritratti dedicati alla sua «maschia e leonina figura». Come scrive lo storico Pierangelo Lombardi nell'accurata e preziosa biografia che gli dedica «Forni sembra incarnare agli occhi dei suoi uomini l'idealtipo dell'uomo fascista, modellato proprio sull'immagine del combattente e dello squadrista,., nei miti e nei riti del gesto violento». Quello di Forni è tutto un percorso scandito da violenze e incendi, risse nelle piazze, saettanti corse I in auto da un'impresa squadri- stica all'altra, galoppate nella notte assieme ai suoi uomini scatenati nelle campagne a terrorizzare braccianti e multanti socialisti. Trova anche il tempo, in questa saga, di mettere a posto un camerata troppo arrogante, il conte Carminati Brambilla - inquietante figura di Don Rodrigo della risaia - al quale pare scippi anche la bella amante. La parabola di Forni sale ancora, ma per poco. Una volta che il fascismo s'insedia al potere parte l'ordine, da Mussolini stesso, di ridimensionare il potere dei ras. Di lì a due anni Cesare Forni è capofila dello squadrismo dissidente per il quale, nelle elezioni del 6 aprile 1924, presenta una lista autonoma all'interno della quale viene eletto. E' un'affermazione elettorale che ha pagato duramente: il mese prima, il 12 marzo, alla Stazione Centrale di Milano, Forni è stato improvvisamente circondato da una ventina di uomini. Si muovono come costituissero una formazione militare. Lo circondano. Nonostante la violentissima resistenza e la sua forza erculea Forni viene accostato ad un muro, abbattuto a randellate, colpito sino a quando ritengono di averlo finito.' TutW questo davanti alla folla dei passeggeri e a elementi delle forze dell'ordine. A poche decine di metri Amerigo Dumini, il capo della Ceka (vale a dire la squadra d'azione costituita all'ombra dell'ufficio stampa della presidenza del Consiglio) assiste silenzioso. Alcuni giorni prima Cesare Rossi, fidatissimo di Mussolini, gli ha impartito istruzioni su come «dare una lezione a Forni». Dumini si è mosso immediatamente: a Firenze, nel viaggio che lo porta a Milano, lo attendono otto squadristi toscani che, assieme al reparto milanese di ex arditi denominatisi «Squadra della carne cruda», saranno protagonisti dell'aggressione a Forni. Avvenuta l'azione Dumini passa nella questura milanese e quindi si precipita a Roma, per riferire ai suoi mandanti. Cesare Forni sopravvive e, come si è detto, viene eletto deputato nella Usta dello squadrismo dissidente. Ma ormai la sua parabola è in discesa. I suoi aggressori, capitanati sempre da Dumini, s'apprestano invece ad un nuovo agguato, questa volta mortale: la vittima innocente di ogni colpa - è Giacomo Matteotti. Oreste del Buono Giorgio Boatti Il caso dì Cesare Forni prototipo del condottiero delle squadre d'azione, amatissimo assassino, diventato scomodo per troppa popolarità Da leggere: Ernest von Salomon I Proscritti Baldini & Castoldi 1994 Pierangelo Lombardi II ras e II dissidente Bonaccì editore Roma 1998 G. Rossini Il delitto Matteotti tra Viminale e Aventino ff Mulino. Bologna (966 Il memoriale Duminl a cura di P. Paoletti in II Ponte XUl (1986) n. 2 LUOGHI COMUNI l'KRSOrWMÌI KMBIOMi; E IH 11 11AI IA C Cesare Forni, il primo a sinistra in una foto dei primi Anni Venti