«Spero che l'Italia non mi tradisca »

«Spero che l'Italia non mi tradisca » «Spero che l'Italia non mi tradisca » Con il leader prigioniero nella stanza d'ospedale UN PROFUGO ECCELLENTE C ROMA HISSA che cosa direbbero, i suoi miliziani, a vederlo ora, seduto su un letto d'ospedale, con il pigiama a righe e quel faccione contadino un po' spaesato. I due arkadaf, «compagni», che gli sono accanto lo ascoltano quasi sull'attenti, con grande deferenza: perché pure in questa cella che non è una cella, guardato a vista dai poliziotti italiani e dai responsabili della sicurezza curda, Abdullah Ocalan ha il portamento del capo, il busto eretto e le braccia conserte, attento ad ascoltare quel che sta avvenendo fuori e pronto a dare la linea sul caso politico-giudiziario diplomatico che ruota intorno al suo ingrombrante nome. Dalla città arriva l'eco già polemica di un accordo sottobanco tra la resistenza curda e il governo italiano, e Ocalan, sotto i suoi baffoni neri, detta una smentita ai suoi luogotenenti: «Non c'è stata alcuna trattativa né accordo con le autorità italiane. Sono venuto qui perché confido nelle leggi italiane e nella decisione di un Paese democratico che rispetta i diritti dei popoli». In mattinata ha consegnato a un emissario del Viminale la richiesta di asilo politico, vergata nella sua lingua. Ma ci spera davvero? «Ho fiducia». Ci sono voci di un possibile sciopero della fame, ma Ocalan precisa: «Io sono pronto a farlo, ma solo in caso di necessità. Al momento ho capito che non ce n'è motivo». La prigione provvisoria di Abdullah Ocalan, il capo del Pkk ricercato dai turchi e dai tedeschi, è una stanza al primo piano di un ospedale della provincia di Roma. La presenza dei «piantoni» della polizia è discreta ma costante, accanto a quella di un pugno di uo¬ «Sono vennelle leggiche rispettIn Russia m mini della resistenza curda in Italia. La stanza è spoglia, a due letti. In uno c'è lui, il rivoluzionario che per l'occasione ha dovuto smettere la divisa grigio-verde per il pigiama a strisce bianche e blu, l'altro è vuoto, usato come ripiano per giornali e carte. Nelle camere intorno, i inalati col viavai dei familiari in visita non si accorgono di nulla, o di nulla fanno finta. Sanno ormai tutto, invece, i medici del reparto, che si accordano con gli uomini della Digos per cercare le soluzioni più adatte ad ospitare Ocalan per chissà quanto tempo. «Ragazzi - dice il caposala ai suoi dipendenti, di ritorno dal colloquio con mi ispettore - dobbiamo metterci in testa che ò come se qui ci fosse un capo di Stato». Si teme per la sicurezza di Ocalan, ma lui, a chi può parlargli, uto qui perché confido di un Paese democratico a i diritti dei popoli mi sentivo in pericolo» ostenta tranquillità. All'aeroporto, ad attenderlo all'arrivo da Mosca, c'erano i suoi arkadaf, che l'hanno seguito anche dopo l'arresto provvisorio. «Da Mosca - racconta il leader curdo - sono dovuto venire via perche sul mio caso era in corso un contrasto tra la Duma (il Parlamento russo, ndr) e il capo del governo Priniakov». Dunque stavano per consegnarlo ai turchi? «Non lo so. Ma c'era il timore che i russi cedessero alle pressioni della Turchia e degli Stati Uniti. Spero che l'Italia non faccia altrettanto...». Secondo il racconto di Ocalan, che si esprime solo nella sua lingua e ha bisogno di traduttori per dire qualsiasi cosa, quando è stato bloccato a Fiumicino lui ha credu¬ to che fosse per via del passaporto falso, anche se era stato lo stesso Ocalan a dichiarare che quel documento non era autentico. «Poi - ricorda - ci sono state una serie di telefonate, e ho capito che c'erano altri problemi, impedimenti di tipo intemazionale al mio libero ingresso in Italia». Che sia vero o no quello che afferma, stando alla versione dell'arrestato il provvedimento di cattura di cui lui era a conoscenza era solo (niello dei turchi: «lo della richiesta di arresto dei tedeschi non sapevo niente». Ma qualcuno, in queste ventiquattrore di detenzione in ospedale, gli ha spiegato che invece c'è anche la possibile richiesta di estradizione da parte della Germania, e che è proprio quello l'ostacolo più grosso che si troveranno ad affrontare le autorità italiane, pur con tutta la buona volontà nel riconoscimento della causa curda. Ocalan ribatte: «Ouella della Germania è una storia vecchia. Mi accusano dell'omicidio di un curdo al quale io comunque non avrei partecipato direttamente. L'accusa si basa su una mia presunta telefonata, ma non è vero, io non ho ordinato alcun delitto». In questa camera bianca e asettica non arrivano le voci delle centinaia di curdi che a molti chilometri di distanza, in città, stanno manifestando in favore del loro leader. 11 capo, dal suo letto, ha parole pure per loro: «lo sto con il mio popolo, anche adesso, qui da dove mi trovo». Gli dicono dei prigionieri curdi in Turchia che hanno tentato di darsi fuoco in segno di protesta, e lui ordina ai suoi uomini: «Bisogna evitare che si ripetano episodi di questo tipo. Noi prosegue in quello che diventa quasi un comizio - non siamo terroristi né assassini; siamo solo gente che lotta per l'indipendenza del nostro popolo. E la soluzione al conflitto in coreo si avrà solo quando ci daranno la terra che non ci vogliono dare, altrimenti anche qui in Italia continueranno gli sbarchi dei curdi clandestini. Non è questo che noi vogliamo, e non è questa la soluzione». Adesso il capo del Pkk parla da vero leader: «Invece c'è un grande complotto contro la nostra gente, ad opera della Turchia e degli Stati Uniti che fanno pressioni presso gli altri governi. Mi auguro che queste pressioni non arrivino anche all'Italia, e che l'Italia comunque non ceda. Contro il complotto sarei pronto a fare lo sciopero della fame». E se gli fai notare che al momento, in Italia, la situazione sembra buona perché c'è un ministro della Giustizia che appartiene! al partito comunista che sta al fianco dei curdi, e a difenderlo ci sono due parlamentari della sinistra, la risposta di Ocalan è solo un sorriso. Della situazione in cui si trova - prigioniero, anche se in una condizione di privilegio - l'Aral'at del popolo curdo non si lamenta: «Mi hanno trattato bene, per adesso non ci sono problemi. Certo, non mi posso muovere...». Ma i contatti coi suoi uomini non gli mancano. Nel pomeriggio arriva uno dei suoi difensori, l'avvocato Luigi Saraceni, che resta a colloquio con lui per parecchio tempo, ma quando esce dice soltanto: «Stiamo lavorando per far ottenere a Ocalan l'asilo politico, visto che il nostro ordinamento si ispira ai principi della democrazia e dei diritti dell'uomo. Smentisco comunque ogni accordo preventivo con il nostro governo. Vero è, invece, che Ocalan è giunto in Italia per consegnarsi spontaneamente alle autorità locali, ma il governo non era a conoscenza del suo arrivo. Al massimo possono Sono prondella lameMa ho capnon c'è alc esserci stati dei contatti con alcuni parlamentari». Onesto è un altro risvolto dell'intreccio politico-giudiziario-diplomatico che avvolge questo «malato eccellente» della casa eh cura laziale. Tra i legali e i rappresentanti della resistenza curda in Italia c'è la preoccupazione che le voci sull'accordo col governo di Roma - «totalmente infondate», insiste l'avvocato - finiscano con l'irrigidire le posizioni ih Palazzo Chigi e dei ministri interessati. 1 contatti sono continui, anche con quei parlamentari che invece erano probabilmente a conoscenza dell'arrivo di Ocalan, per raffreddare gli animi e studiare bene il da farei. Prima che la magistratura e il governo italiano prendano una decisione passerà del tempo, giorni e to a fare lo sciopero n caso di necessità to che per il momento un motivo di larlo» forse settimane: che cosa sarà, nell'attesa, del leader curdo? Conviene chiedere comunque la scarcerazione o mantenere questi arresti «morbidi», che garantiscono una protezione? L'avvocato Saraceni se ne va senza dare risposte, l'uori ormai è buio, e i tempi dell'ospedale impongono che scenda il silenzio. L'ora ili cena è passata, i parenti degli ammalati se ne vanno, nelle stanze a sei o otto letti le luci cominciano ad abbassarsi. Dappertutto tranne che nella camera di Abdullah Ocalan, il capo che continua a confabulare in curdo con gli arkadaf che l'assistono, costretto al pigiama ma sempre alla guida della sua rivoluzione. Giovanni Bianconi «Sono venuto qui perché confido nelle leggi di un Paese democratico che rispetta i diritti dei popoli In Russia mi sentivo in pericolo» Sono pronto a fare lo sciopero della lame in caso di necessità Ma ho capito che per il momento non c'è alcun motivo di larlo» Una bimba vuole entrare all'ospedale dove crede ricoverato Ocalan. In alto, la facciata del Celio