TORINO

TORINO Le sorprese degli anni oscuri fra i due conflitti: il nuovo volume Einaudi sulla storia della città, curato da Tranfaglia, sfata miti e luoghi comuni TORINO Guerra e Pace MTORINO NA grande città industriale italiana, che si sviluppa sotto la pressione di una massiccia immigrazione operaia. Una company town, con un suo ordine, fondato sulle leggi dèlia produzione, trasformata dai flussi migratori. La sua vita dipende dalla crescita di grandi gruppi, in primis la Fiat, ma anche dall'espansione di uri! reticolo di imprese medie e piccole, che ne costituiscono] l'indotto. La sua struttura appare divisa, molto più'rigidamente che altrove, fra centro storico e barriere di/periferìa. La sua cultura è quella d'una ex capitale di stampo europeo, con i militari, i burocrati, la fiducia nel positivismo e la belle epoque. E' stata anche la città dei compagni, delle fabbriche occupate e dello sciopero delle sartine. Ma diventa la città dove gli immigrati riconquistano un'identità. E' il puzzle d'Italia. Questa città è Torino naturalmente, ma non quella degli anni Cinquanta o Sessanta, come si potrebbe immediatamente pensare, sulla scorta di una radicata immagine tradizionale: invece è la Torino degli oscuri anni fra le due guerre, che mostra un volto eccezionalmente moderno, anticipatore di processi che gli studiosi collocavano dopo la seconda guerra mondiale. L'opera che mette in evidenza questa novità storiografica è l'ottavo volume della Storia di Torino, edita da Einaudi; con l'Accademia delle Scienze, dedicato agli anni Dalla Grande Guerra alla Liberazione e curato da Nicola Tranfaglia (in libreria dà lunedì). Il curatore scrive nell'introduzione: «Il mito sorto negli anni Sessanta e Settanta sulla grandiosità dell'immigrazione dovuta allo sviluppo va dunque ridimensionato e collocato all'interno di un processo più lungo». Nel 1911, alla vigilia della grande guerra, Torino aveva 427.733 abitanti. L'ex capitale sabauda appariva già visibilmente divisa, come racconta Paride Rugafiori nel lungo saggio di apertura (oltre cento pagine), fra un centro storico abitato dalla borghesia, da artigiani e commercianti, e i nuovi quartieri popolati dagli operai dell'industria automobilistica: i borghi operai «sono per buona parte separati dal centro, cui si collegano con insufficienti linee tramviarie, e isolati tra loro». Nel corso del trentennio che seguì, la divisione sociale diventò un carattere che definiva l'identità della città. «Di qua il centro borghese, di là la periferia operaia», come scriverà Mario Soldati. Due città coesistono nella giovane metropoli. Ma nel 1938 Torino arrivo a 700 mila abitanti (nonostante il calo dovuto alla guerra). La crescita è il frutto dell'attrazione esercitata in- nanzi tutto sui braccianti piemontesi ma anche sui giovani che non trovavano lavoro nelle regioni meridionali e sui contadini poveri del Veneto e della Romagna. Come racconta Stefano Musso, nel saggio sulla società industriale nel ventennio fascista, i massicci e costanti flussi migratori cominciarono a intaccare l'unità culturale del quartiere operaio: la maggioranza degli immigrati restava piemontese, ma si erano formate «comunità di immigrati, specie dal Veneto, dalle Puglie, dalla Sicilia, dalla Campania, la cui diversità culturale era rafforzata e sottolineata dagli aspetti linguistici». Dietro questa espansione della città si andava precisando una struttura economica. «Nel periodo che va dal 1927 al 1940 - scrive Tranfaglia - l'industria metalmec¬ canica, la chimica e l'elettrica hanno definitivamente il sopravvento sui settori più tradizionali, come il tessile, il vestiario, il legno, il cuoio e le pelli». Il settore metalmeccanico occupava quasi centomila addetti. La Fiat aveva già 55 mila dipendenti. Sip, Italgas, Snia, Lancia erano altri complessi industriali che controllavano lo svilup- po e alimentavano l'indotto. Questa struttura economica, caratterizzata da una forte concentrazione delle imprese ma anche dalla specializzazione produttiva, resterà quasi inalterata praticamente sino all'autunno caldo e alla crisi energetica. Anche se metà della popolazione nel 1931 vive in alloggi di una o due camere, è fra le due guer¬ re che nasce la Torino contemporanea. Gli altri studiosi che hanno collaborato al nuovo volume raccontano anche il regime fascista (Emma Mana e Valeria Sgambati), la Torino antifascista (Brunello Mantelli), l'edilizia e l'architettura (Michela Rosso), il sindacalismo imprenditoriale (Gian Carlo Jocteau), la vita intellettuale (Angelo D'Orsi), la cultura letteraria (Marziano Guglielminetti). Altri aspetti saranno trattati, anche per la parte fra le due guerre, nel nono volume, Gli anni della Repubblica, concepito come secondo tomo di un'opera unica su Torino nel Novecento (previsto per la primavera). Ma resta fondamentale la scoperta d'una massiccia città degli immigrati fra le due guerre: contro immagini che sfiorano lo' stereotipo (tenacia piemontese, laboriosità operaia, gobettismo e gramscismo, antifascismo e azionismo), l'identità torinese si rispecchia nella capacità di integrare pezzi disgregati d'Italia in una grande realtà industriale e urbana. Alberto Papuzzi la grande immigrazione del boom economico prosegue un processò di più antica data finora sottovalutato: tra il 1911 e il '38 300 mila abitanti in più L'espansione comportò trasformazioni sociali e industriali destinate a segnare l'identità della metropoli e dell'Italia fino quasi ai giorni nostri II reparto Grandi Presse alla Fiat Lingotto nel '34. A destra la chiesa dei Cappuccini distrutta dalle bombe nell'agosto '43. In alto una manifestazione di regime in piazza Carlo Alberto