Sotto esame a Bruxelles l'Italia anti-Maastricht

Sotto esame a Bruxelles l'Italia anti-Maastricht Sotto esame a Bruxelles l'Italia anti-Maastricht BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPO 'JTìME Roma contro Maastricht, l'Italia contro quel Patto di stabilità che - i ' ne>..j nell'interpretazione finora dominai ite a Bruxelles - rischia di diventare un abito troppo stretto per bilanci nazionali che hanno invece bisogno di muoversi molto e molto in fretta, sperando di tenere così a bada lo spettro di una crisi economica. E' dal giorno in cui sono partite le ostilità tra i governi socialdemocratici dei Quindici e i sacerdoti d: Maastricht - la Bce e parte della Commissione europea - che da parte italiana si assiste a un florilegio di posizioni, dichiarazioni, proposte, che fino a qualche mese fa sarebbero state considerate pura eresia e che ancora oggi rischiano di rinfocolare sospetti sulla capacità di rispettare impegni sottoscritti con non pochi sforzi dal nostro Paese. Il 20 ottobre parte la lettera del Commissario europeo Mario Monti ai suoi colleghi, nella quale si sostiene che «riconoscere il ruolo degli investimenti pubblici non è in alcun modo contraddittorio con una politica di bilancio sana e rigorosa» e propone «un'iniziativa della Commissione che metta in condizione gli investimenti pubblici di non essere eccessivamente costretti, come lo sono adesso». Quattro giorni dopo, al ' ^rtice di Poertschach, Maastricht, Massimo D'Alema si dice contro «un'interpretazione fondamentalista» del Patto di stabilità; questa settimana, intervistato dall'International Herald Tribune, il presidente del Consiglio propone addirittura di «escludere dal calcolo degli obiettivi di deficit» di Maastricht la spesa «per investimenti pubblici mirati a stimolare la crescita». Ieri, poi, le parole di Carlo Azeglio Ciampi, che sul Financial Times chiede «spazio di manovra» per la ridefinizione del Patto di stabilità. Non poco, non male, per una classe dirigente che fino a ieri - spiegava lo stesso D'Alema, esordendo come premier al vertice di Poertschach - sembrava sentirsi obbigata all'imbarazzato silenzio e al comportamento ineccepibile dell'ospite accolto solo dopo molte esitazioni nel salotto buono della moneta unica: «Noi italiani siamo diventati troppo di recente virtuosi per cambiare rotta». Adesso, invece, sembra che la necessità di incassare il dividendo dell'euro, quella cedola idealmente composta da tassi in calo e da finanze pubbliche più rilassate che consentano investimenti, crescita e occupazione, sia diventato l'interesse prevalente dell'Italia, che si sente assai più a suo agio in un'Europa dove - almeno in apparenza - anche Francia e Germania parlano il suo linguaggio. E il dividendo dell'euro serve di sicuro all'Italia, più che ad altri Paesi che oggi chiedono a gran voce un allentamento del rigore di bilancio e un calo dei tassi. Per alcune buone ragioni. Ad esempio una crescita economica che quest'anno sarà la più bassa in Europa - l'Ue prevede 1' 1,7% - o un tasso di disoccupazione del 12%. Certo, D'Alema e Ciampi parlano da uomini di governo, mentre Monti si è mosso con cautela, restando strettamente nell'ambito del Trattato di Maastricht. Ma è un fatto che l'idea del Commissario di operare una distinzione netta «tra i deficit generati dal consumo pubblico e i deficit generati dagli investimenti pubblici» ha fatto andare su tutte le furie il collega responsabile della politica monetaria Yves-Thibault de Silguy, ed è considerata dai «rigoristi» di Bruxelles meno innocente di quel¬ lo che sembra, un «assist» insperato a D'Alema che parte proprio dal cuore della Commissione. E anche il risultato della lettera di Monti, che l'esecutivo comunitario discuterà nelle prossime settimane - prima comunque del vertice di Vienna a metà dicembre dove Bruxelles e i Quindici dovranno chiarirsi sui nuovi indirizi della politica economica - potrebbe essere in sintonia con quello che l'Italia ha chiesto ieri per bocca di Ciampi, cioè una frenata nel ritmo di risanamento dei bilanci pubblici. Senza mettere in discussione la soglia del 3 per cento del rapporto deficit/Pil, la riflessione sulle idee esposte da Monti potrebbe portare a spostare più in là nel tempo quella data del 2002 in cui, secondo quanto deciso dal Comitato monetario, i bilanci pubblici dovranno essere in una situazione di surplus o di equilibrio, prolungando quindi il periodo in cui si potranno fare investimenti pubblici sfruttando un deficit. Un'ipotesi che tra i Quindici, e in particolare in Italia, non troverebbe oggi troppe resistenze. Francesco Manacorda ti governatore della Bilica d'Italia, Antonio Fazio. Nelle ult ne settimane sono state numerc:'. le sue affermazioni in contrasto con quelle del ministro Ciampi