Harding scherza con Beethoven

Harding scherza con Beethoven Al Comunale di Ferrara la giovane Mahler Chamber Orchestra in un'originale prova che entusiasma il pubblico Harding scherza con Beethoven Concerto-parodia con il violinista Tetzlaff FERRARA. Anche Beethoven prendono in giro, questi ragazzi. Ma si può immaginare una cadenza del primo movimento del Concerto per violino così parodistica come quella che Christian Tetzlaff ha scritto ed eseguito al Teatro Comunale per la stagione di Ferrara Musica? Trentadue anni il violinista tedesco, dieci in meno il direttore inglese Daniel Harding, la stessa età media i ragazzi della Mahler Chamber Orchestra, che a Ferrara hanno la loro «residenza stabile». La cadenza, dunque: un inizio dichiaratamente antibeethoveniano, con un modernissimo gioco di .sovracuti e scordature; poi, con piglio da marcia popolare un po' comica, tra la banda e i clown, entrano in scena i timpani, secondo una tradizione storicamente documentata, oggi negletta. Su questo scherzo falsamente impettito, il solista fa riaffiorare l'eco del tema di Beethoven. I timpani rispondono con una rullata da triplo salto mortale senza rete. E' questo il modo per reinventare il rito un po' stanco del concerto? L'entusiasmo del pubblico sembra dire che la qualità degli interpreti può giustificare tanta libidine di protagonismo. Ribadita in tanti altri passaggi, con un gusto per il teatro del suono a un passo dalla parodia rallentando enfasi, concitazioni rapinose quando non le aspetti, trilli sostenuti variando a piacere l'intensità del suono - legittimata dall'intesa solista-orchestra, da un nitore esecutivo che ribadisce la provocatoria disinvoltura del virtuoso, talvolta troppo compiaciuto di sé. Poi, nei bis bachiani, concilia galanteria e senso dell'architettura, per farci capire che sa essere anche più contenuto. Sul podio, Harding conferma la sua grinta. Lo avesse visto Furtwaengler agitarsi così, lo avrebbe maledetto con anatema inappellabile. La sobrietà, ragazzo, la misura: indemoniarsi non serve, basta il carisma, se lo hai. Ma Harding, sopra il suo podietto, combatte una guerra all'ultimo respiro fatta di esuberanza organica, non nevrastenica. Sa dove andare a parare, e qui ha trovato un altro moschettiere con cui giocarsi la partita. «Io guardo la partitura originale», dice. La sua sfida è chiara: dobbiamo reimparare ad ascoltare Beethoven con quella predisposizione alla novità che il compositore pretendeva dal pubblico a lui contemporaneo. Anche Brahms - insiste - va risco- perto, questa volta togliendo l'enfasi spalmata dalla tradizione esecutiva tardo-romantica, riscoprendo dettagli trascurati, fraseggi interni all'orchestra, palpiti smarriti. Ci riesce - dialogo tra oboi, clarinetti, fagotti, corni dell'Allegro iniziale, tra fagotti e corni nell'Andante - ma non evita certe pesantezze, in particolare nel passo d'avvio, quasi un destino beethoveniano, e la dolcezza del canto è ancora da conquistare. La tensione è forte, ben governata, il suono dell'orchestra duttile, splendido nella sezione delle viole. Ma per tutelare il «Don Giovanni» di Mozart che fra tre settimane dirigerà, con questa orchestra, al Piccolo Teatro di Milano, Harding dovrà mitigare la continuiti del suo entusiasmo. Sandro Cappelletto Giochi, modernità, gusto per il teatro accompagnati da una certa ansia di protagonismo Nella foto il direttore inglese Daniel Harding, ventidue anni, che ha confermato sul podio ferrarese la sua grinta Fra tre settimane dirigerà la Mahler Chamber Orchestra nel «Don Giovanni» di Mozart al Piccolo Teatro di Milano

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