Un arcobaleno a Tirana

Un arcobaleno a Tirana Artisti e poeti a confronto per esplorare il comune orizzonte culturale fra Italia e Albania Un arcobaleno a Tirana Rodare e Kodra star intemazionali TIRANA DAL NOSTRO INVIATO «Non perdo questa strada!», grida il poeta Bardhyl Londo nella sua Itaka. Al viaggio di Ulisse si sovrappone quello degli sciagurati sui gommoni della notte tra Valona e la Puglia. E' l'esodo un simbolo dell'Albania di oggi, gli scafisti il legame con l'Italia. Ma sono gli unici ponti possibili? Per tre giorni, a Tirana, si è provato a tendere un ponte alternativo: il grido di Londo e i versi di altri poeti albanesi, così come i colori degli artisti, intrecciati con quelli degli italiani. Forse, più che un ponte, un arcobaleno da costa a costa, fragile ma forte di fiducia, buono per seminare. E' ancora chiusa, confinata la cultura albanese. Eppure c'è qui una creatività provata, talora sfiduciata, oppure incalzante, prigioniera di muri ormai soltanto psicologici o di mercato. Su queste basi ha tentato il ponte-arcobaleno Gateano Grillo, artista milanese già artefice nel '97 di Tirana Fax. L'ha teso sostenuto dalle due presidenze della Repubblica, dal nostro ministero degli Esteri e da quello della Cultura albanese, con il Comune di Molfetta e con l'ambasciata italiana a Tirana. «Albania/Italia: un comune orizzonte culturale» è il titolo scelto dall'Associazione Mediterranea. E queste giornate al Museo Storico Nazionale e alla Galleria Nazionale d'Arte rivelano come l'orizzonte comune sia obiettivo e, insieme, strada da percorrere. Inaugurati dal presidente della Repubblica albanese Rexhep Meidani, dal ministro della Cultura Edi Rama, dal nostro ambasciatore Marcello Spatafora, le mostre e i dibattiti sono sorpresa prima che dialogo. Parla Ismail Kadaré, rientrato da Parigi, tanto internazionale lui quanto ancora chiusi nel nido d'aquila sono i suoi colleghi di Tirana. E' festeggiato l'ottantenne Ibrahim Kodra, che da Durazzo fu spedito a studiare a Brera con una borsa di studio di re Zog. L'Italia espone - in una efficace galleria di parole anziché immagini - i versi di Luzi, Zanzotto, Raboni, Sanguineti, Majorino, Cucchi, Magrelli, Valduga e altri ancora come i giovani Pusterla e D'Elia. Tutti nelle due lingue, così come nelle due lingue si leggono, dalla terra albanese, i banditi di strada di Agolli, le masse di Ahmeti, la belva di questi tempi di Fatos Arapi, la «poltronaggine fatta virtù» dal Paese di Bejtja, la vita di traditi di Lleshanaku. E altri, ricurvi sui sentimenti oppure spalancati alla realtà dentro e fuori patria. Poi, i pittori. L'Italia dello stesso Grillo, di Accardi, De Paris, Dessi, Dorazio, Mazzoni, Ro¬ teili, Schifano, Tacimi. E, insieme, la terribile lisca di pesce del Biblical exodus di Lumturi Blloshmi, le inquietanti croci di Buza, i volti in attesa di Nalbani, o opere più votate alla ricerca grafica. Fuori c'è una Tirana che non se ne accorge, che pensa a un pezzo di frutta cui è stata tagliata la parte marcia e costerà di meno, a pullman per Valona e scafi per Otranto. La cultura non si mangia, e nemmeno è ancora un mezzo, tant'è che non ci sono scolaresche ad ascoltare e vedere: è una torre che per vivere ha bisogno di fiato anche all'estero, di confronto come di parole di fiducia, quasi ci si trovasse di fronte ad assennati e fortunati fratelli maggiori. Ed è proprio qui il merito dell'iniziativa, che forse dovrebbe essere bifronte, ripetersi al contrario, portando loro in Italia, spaccando i muri psicologici. Fortunati questi poeti nell'incontrare Majorino, Buffoni, Loi, fortunati quando Majorino parla loro della «realtà» e dell'«altro da sé», della curiosità, del poeta solitario ma autore di una poesia non solitaria. Sono forti, le loro voci, ma si sentono poco. E così è per i pittori, curiosi di sapere se davvero da noi Kodra è tanto famoso, interdetti e turbati quando domandano come stabiliamo il valore di un quadro e sentono parlare di «leggi di mercato»: dunque, si interrogano, non è il merito ma la richiesta, il «contorno» a fare il prezzo? Tirana si accende di musiche balcaniche, di Mercedes di magnaccia rientrati in vacanza, di umanità vaganti. Gli artisti - della parola o dell'immagine - guardano quel mondo e si aggrappano a quello degli amici italiani. Perché non finisca lì. Marco Neirotti Ma fuori la città pensa a sopravvivere, ai pullman per Valona, agli scafi per Otranto U di ldtii lbi t b ii Ott dt Biblil d dll'tit Lti Bllhi Un gruppo di clandestini albanesi mentre sbarca ieri a Otranto; a destra «Biblical exodus» dell'artista Lumturi Blloshmi