PADRE MIO

PADRE MIO Alle origini della «Iena di San Giorgio»: Ceronetti incontra Gualberto Niemen, il decano dei burattinai che nel '33 gli svelò un mondo ignoto PADRE MIO che stai tra ifili i BLANDRONNO ERTO, mai l'avrei immaginato, di poterlo incontrare oggi, al rantolare del secolo (udibile quando si riesce a fare silenzio dentro di noi), e nella stessa casa che abita da sessantadue anni nei pressi di Varese, l'uomo che mi ha generato idealmente come marionettista a fili, il grande artista girovago Gualberto Niemen, nato da un Circo che sostava a Tronzano Vercellese, il 6 agosto 1905! Posso dire così, generato, perché se quella sera tra agosto e settembre del 1933 non mi fossi trovato, ancora vergine di alfabeto, sul prato di fronte all'osteria Vacchina di Andezeno, tra il pubblico (tutto in piedi, nu pare, o c'erano sedie?) attratto da un teatrino ambulante rischiarato ad acetilene dove si agitavano in scena dei burattini a guanto (in programma: La iena di San Giorgio), una buona parte, e importantissima secondo la Treccani, della miS sbalorditiva esistenza, sarebbe rimasta vuota. E chi muoveva quei personaggi era Gualberto Niemen, Nonno Berto come lo chiamano qui vicini e ammiratori, lo stesso che sta ora davanti a me e non smette un momento di parlare, memoria portentosa, piccolo, largo di spalle, agile, tenuto in forma dalla passione per l'Arte, uno che soltanto il Creatore potrà mandare in pensione! Accidenti... quando si dice la forza... Ma se non si è avuta un'infanzia dura, di onesta fatica, se non si è imparato con lo sforzo e l'ideale il mestiere di vivere, una vecchiaia così non è edificabile... Tutti artisti in famiglia: i cugini circensi, i nonni materni Caprani e Cavallini che facevano il Varietà ambulante, le zie cantanti, lo zio contorsionista, lo zio Roberto autore di un melò sul Terremoto di Messina «nel quale prendevo parte anch'io che restavo seppellito sotto i mattoni di cartapesta delle case crollanti. E poi mi divertivo col teatrino a fare scenette del terremoto di Messina dopo avermi fatto i mattoncini di cartapesta». Così anche un moto tellurico piuttosto spaventoso può far sbocciare una vocazione... Ecco un'immagine torinese da ritrovare, che emerge dalla memoria di Niemen, le carovane dei girovaghi ferme in periferia, alla barriera di Milano, in qualche piazza ospitale, negli anni della guerra 1915-1918, perché i loro capifamiglia e capiciurma erano tutti a recitare la parte dell'eroe per forza, a saltare nel cerchio di fuoco sotto la frusta del maldestro domatore Cadorna. Viene la smobilitazione e coi superstiti il giro ricomincia... Ma la madre di Niemen era morta già parecchio prima, nell'anno dell'Esposizione, eroina di Lotta per la Vita, in seguito a caduta dal filo dove si esibiva. Spunta anche il ricordo di Giacomo Canardi, che di sera faceva 11 burattinaio sulle piazze e di giorno lavorava all'Itala e all'Ambrosio Film ai deliri muti, insieme ai due figli, e «aveva belle scene dipinte su tele di grande effetto e cambiava bene tutte le voci», e gli insegnò un mestiere già mezzo imparato, mentre girava con l'arena del padre congedato. Nella stagione morta il padre faceva il modello anatomico per gli allievi dell'Accademia Albertina: «Aveva un corpo molto ben fatto come atleta con nervi, muscoli e vene che si vedevano molto bene per copiarle. Dalle 9 alle 12 prendeva 6 lire per mattino. A quei tempi un operaio della Fiat prendeva poco più di 2 lire al giorno. E poi ogni tanto si esibiva in qualche Varietà di Torino col suo numero di giocoliere, antipodista e saltatore che piaceva molto. In primavera per San Giuseppe si ricominciava a lavorare all'aperto con l'arena ginnasta... E fu proprio a Torino, in borgo San Paolo, che verso la fine d'agosto feci il mio primo spettacolo di burattini con II nuovo Caino...». Nel tinello del vegliardo (che vive solitario, ma con un soccorrevole paese a sostenerlo) sfoglio un po' di vecchie carte e di ritagli incollati con cura, mentre lui ripete a memoria, senza interrompere, cambiando le voci, il suo copione del Re della Foresta alla caccia dell'uomo. E' una mitragliatrice... Il numero del padre è nella foto di ima locandina, dove si legge: The-Nie-Men - Attrazione giapponese. Si trattava di Giappone dagli ideogrammi in uso specialmente tra la borgata Monterosa e le case Leumann. Vi si vede al lavoro l'antipodista: il giocoliere trattava coi piedi le palle gettate in aria, più difficile che lavorare sul filo. Peccato, nella Torino di Gabinio questo mondo manca del tutto. Neanche i pittori dell'epoca, Chessa, Menzio, Fillia, ne furono mai attratti. Il ricordo di quel che è puramente popolare, morti i portatori, si perde. Borgo San Paolo... L'anno in cui Niemen debuttava in piazza (Sabotino?) il rione ebbe, in via Cesana (oggi Di Nanni?) il suo cinema, il San Paolo (misto, faceva cinema e teatro): aprì il 31 maggio con qualcosa d'irresistibile: La piccola cioccolataia. Sempre nel Ventuno aprirono il Nazionale, lo Spezia, il Regio Parco. Lo Statuto, invece, di funestissima memoria, fu inaugurato nel 1924. Di passaggio per Torino, vedo che da poco la carcassa affumicata è sparita, stanno tirando su un condominio, finita la storia. C'era stata per anni, come cassiera, una donna-tronco. Andavamo a vederla, quando la collocavano sul sedile e sbigliettava seducendo molti, finché non scoprivano l'amara verità. Non era lontana la marcia su Roma e non mancavano le violenze squadristiche. Il 26 aprile 1921, la sede dell'Associazione Operaia (poi Camera del Lavoro) in corso Galileo Ferraris 2, fu spaventosamente devastata dalle squadre di Brandimarte. In maggio era venuta la Duse, naturalmente come Donna del mare, al teatro Balbo («La libertà, Wangel! Rendimi la mia libertà...») e Zacconi, con tremiti e balbettamenti da copione ospedaliero (che di¬ sgustavano Piero Gobetti e il pubblico ammirava, esterrefatto), portava in scena l'inumano Spettri. Ci sono belle immagini del borgo San Paolo di quegli anni nel catalogone della mostra Torino tra le due guerre (1978) e la piazza Sabotino appare come una superba oasi, con cinque auto in sosta, rari passanti, niente tram, l'ideale per un teatrino ambulante. Partito di là, dunque, Niemen. L'incredibile è che, quasi ottantanni dopo, manipoli e animi ancora, e vada ogni tanto in qualche scuola varesina con le sue casse di personaggi e di scenari fabbricati con le sue mani a ridare un po' d'infanzia a bambini desertificati dalla TV e dai calcolatori berlingueriani. Veniamo al 1933. L'avvenimento di quell'anno, per la comune storiografia, è l'ascesa al potere del «messaggero infernale», a Berlino, ma un attento sgattigliatore di cronache non metterebbe troppo al di sotto lo strano duplice assassinio di Le Mans: due impeccabili ragazze povere a servizio presso famiglia delle più note e rispettabili che all'improvviso, una sera, aggrediscono e massacrano padrona e padroncina, facendole a pezzi con rudi attrezzi di cucina. Le sorelle Papin, un caso di cui si occuparono anche Sartre e Lacan e, molti anni dopo, anch'io. Molto meno torva, la Iena di Nonno Berto, che tuttavia la sera prima aveva avvertito le persone impressionabili di restare a casa e di portare soltanto bambini ben maturi. Non c'era tempo di rimanere impressionati perché tutto si risolveva in una ventina di minuti e di sangue non ne scorreva neppure una goccia. Tuttavia, enigmatica memoria infantile... Una quarantina d'anni dopo, mettendo su con Erica Tedeschi il mio primo lavoro per marionette a filo, mi venne fuori subito: - Facciamo Ixi iena di San Giorgio! - In tutti quegli anni non ne avevo mai più sentito parlare. In appartamento facemmo la Iena per una decina d'anni, poi nel 1986 lo Stabile di Torino avviò la lunga fase pubblica del Teatro dei Sensibili, adottandola. Tra i ricordi, una serata in cui venne Montale, promosso senatore a vita, che si annoiò visibilmente, irritato per il nostro implacabile divieto di fumare. Io, costernato dal suo broncio, feci emettere dalla Iena, illudendomi di lusingarlo, la Casa dei Doganieri: niente, restò refrattario. Un giorno mi chiamò Guido Piovene, pregandomi di fargli apposta la Iena, avendone bisogno per un romana L'allestimmo in gran fretta per il giorno dopo e venne con Mimi ingioiellatissima e qualcun altro, la malattia gli aveva già bloccato una mano. In un suo libro, la dedica che mi scrisse porta la data, 16 ottobre 1973. Piovene inori il 12 memore dell'anno successive, a Londra, il romanzo che lasciò incompiuto uscì postini io iol titolo Verità e menzogna, ma è verità tutto, una pioggia rovente di verità tremende, impietose, in una scrittura che ha del medianico, un prodigio di chiaroveggenza, e termina con un teatrino di marionette come pretesto per un grido estremo, senza traccia apparente di quella serata insieme nel suburbio romano, ma non importa che sia visibile, la traccia dell'uccello nell'aria. Dopo il 1945 Niemen arrivò ad avere tutta per sé una grande arena, di cui parla con indicibile nostalgia (andò bruciata, il rogo la preservò dall'abbandono, dalla decrepitezza), ma non mi capitò più d'incontrarlo, e fino all'estate scorsa neppure sapevo che dietro la Iena del 1933 c'era un burattinaio, allora sulla trentina, di nome Niemen. Ora apprendo, da una densa ricerca di Cesare Bermani, che ci fu una Ur-Iena e che l'intelligente allievo Gualberto l'aveva vista fare molto probabilmente dall'infaticabile Canardi, quello dell'Itoio e dell'Ambrosio, nel campo delle carovane, dopo i congedi militari, quando ripresero a muoversi, dunque non prima del 1919. Lui, così mite, non sembra averlo troppo amato, questo personaggio: le tirate che schizzano come razzi dalla sua memoria sono di altri copioni (ne scrisse innumerevoli), dove ricorre incessantemente, detentore di una morale intransigente, la sua creazione preferita: Testatina. Il Macellaio-Salumiere che insacca carni umane di bellezze sacrificate è un mito con le gambe lunghe, quasi come Faust. L'Orsolano di San Giorgio in Canavese non era neppure salumiere, non assassinava per fini di lucro, il nobile: fu preso al laccio dal mito, dopo quello del boia sabaudo. Mancava, per quanto ne sappia, alla serie delle Iene la congiunzione tra umorismo nero e aura tragica: rivendico, per la mia (il cui testo è pubblicato, all'insaputa di tutti, da Einaudi) questo merito orripilante. L'inverno estremo, senza ghiacci, di un'esistenza che perfino Sofocle ammetterebbe felice. Ormai Nonno Berto, padre di generazioni di burattini strappati dalle sue mani al legno, è già fuori della rete dell'Uccellatore. Senza essere uno yogin è un liberato in vita. Non per volontà ascetica ma per attaccamento indefettibile al sogno, altro tipo di ascesi, forse. Il sogno lo ha protetto con ali angeliche, e il mondo esterno lo sfiora appena, non può varcare la soglia ben difesa dai suoi legnosi fantasmi. Guido Ceronetti E'piccolo, largo di spalle tenuto informa dall'amore per l'Arte: solo il Creatore potrà mandarlo in pensione «Se non mi fossi imbattuto nel suo teatrino ambulante e nello spettacolo che avrei poi ricreato con i "Sensibili" una parte della mia esistenza sarebbe rimasta vuota» ADRE MIO Foto grande «La iena di San Giorgio» creata da Guide Ceronetti nel 1986 (foto Monge) Sopra Guido Piovene e Eleonora Duse In basso 10 scrittore con Gualberto Niemen 11 marionettista nato nel 1905 da una famiglia di artisti: crea e anima le sue figure di legno dal 1921