«Dategli il colpo di grazia o un barlume di speranza» di Fiamma Nirenstein

«Dategli il colpo di grazia o un barlume di speranza» «Dategli il colpo di grazia o un barlume di speranza» ANALISI IL NUOVO UMORE m ISRAELE U GERUSALEMME N brivido e uno sbadiglio: così, in questa ennesima ipotetica vigilia della guerra americana contro Saddam Hussein, reagisce Israele. E' una reazione inusitata come di qualcuno insieme molto preso dai fatti suoi (la ratificazione e la messa in pratica dell'accordo di Wye) e trascinato invece ancora una volta nel ruolo di comprimario di una commedia che non ha voglia di recitare. Non era capitato prima che, mentre la gente comincia a preoccuparsi per un possibile attacco missilistico accompagnato da gas nervino, il giornale intellettuale Ha' Aretz aprisse la prima pagina con un commento come quello dell'esperto di strategia mediorientale Zvi Bar'el dal titolo «Ma che accadrà se Saddam non accetta l'effetto deterrente?». In genere, sia durante la guerra del Golfo che durante la seconda crisi, Israele oltre alla preoccupazione per i propri cittadini esprimeva un diffuso desiderio di vedere gli americani assestare finalmente un colpo definitivo al loro acerrimo nemico. Adesso c'è un atteggiamento molto più possibilista verso un accordo: l'idea è che l'attacco sia giustificato se può finalmente preludere a un trattato che fissi la fine delle sanzioni e d'altra parte neutralizzi le intenzioni di Saddam di costruire armi non convenzionali, più che distruggere quelle esistenti. In verità, la psiche israeliana è sempre meno portata alla guerra anche se si tratta di nemici mortali; e d'altra parte, sia pure inconsciamente, entra in gioco la paura. Roni Daniel, il maggior commentatore di cose militari del telegiornale, ha ammesso, anche se minimizzando il pericolo, che se per caso Saddam dovesse attaccare Israele, questo avverrebbe in uno stadio estremo, sull'orlo della perdita del suo potere. Così, certo, il raiss non avrebbe più remore a usare le armi non convenzionali contro l'obiettivo più redditizio e più vicino: la solita Israele. Tuttavia, gli risponde un altro esperto, Ron Ben Yshai, è chiaro che se il raiss iracheno arrivasse a tanto, ciò darebbe ragione ai sospetti americani; quindi Clin¬ ton avrebbe il diritto-dovere di tagliare alla base il potere di Saddam. Allora, sempre che Saddam si salvasse, la sospensione delle sanzioni si allontanerebbe alquanto. Ed anche gli israeliani, ormai, sembrano propensi a non pensare più che Saddam abbia proibito ad agosto le ispezioni per pura malvagità quanto piuttosto per suscitare all'Onu un nuovo dibattito. Anche Arafat, certo, non deve essere molto contento di quel che succede con l'Iraq: stavolta per lui, dopo aver scelto l'America come ottimo amico e mallevadore, non sarebbe possibile lasciare che i palestinesi danzino sui tetti pregando Saddam di lanciare i missili contro Israele. Invece, d'altre parte, l'opposizione estremista interna, che vuole affossare l'accordo di Wye, vede lo scontro americano con Saddam come una possibilità di ristabilire giusti ruoli in commedia; in sostanza, di aggregare cioè un bel po' di estremismo e di dissenso contro Arafat, e insieme contro l'Occidente. E' interessante come la crisi di scetticismo di Israele (che tuttavia nel giro di poche ore, se gli americani attaccano, può trasformarsi in un deciso atteggiamento anti-iracheno) sia parallela a quella del resto dei Paesi mediorientali e ni particolare del Golfo. Tutti quanti nel passato infatti aderivano con entusiasmo all'idea di veder spazzato via un leader aggressivo e imprevedibile come Saddam. Ma Clinton ha dimostrato una sostanziale indecisione nell'affrontare il raiss iracheno, nonostante l'Onu abbia fornito informazioni abbondanti e precise sulle riserve di armi chimiche e biologiche. Le ultime risalgono solo a due mesi fa, quando Butler, il capo della delegazione dell'Onu, scoprì con l'aiuto di un fuoruscito due nuovi siti. L'America finora non ha saputo usare né la carota della fine delle sanzioni né il bastone della prevenzione della costruzione di nuove armi. E Israele, che bene o male è un Paese mediorientale, soffre di una crisi di fiducia, proprio come il Bahrein o l'Arabia Saudita. Fiamma Nirenstein Gli analisti di Gerusalemme chiedono alla Casa Bianca un intervento risolutivo La gente è sempre meno portata alla guerra anche se si tratta di un nemico mortale

Persone citate: Arafat, Butler, Clinton, Roni Daniel, Saddam Hussein