La politica dei nuovi arrabbiati di Carlo Bologna

La politica dei nuovi arrabbiati I tassisti sono uniti dallo stipendio garantito, non dall'ideologia La politica dei nuovi arrabbiati SROMA EIMILA, o giù di lì. Ci sembrano pochi ma è un errore. Perché i tassinari in marcia sotto le lampade delle tv sono soltanto l'avanguardia di un esercito. Il prototipo del nuovo modello di arrabbiati che invaderà il mondo. Si muovono a branchi compatti. Indossano gli stessi giubbotti colorati di cupo. Rubano gli slogan al cinema, invece che alla tele, che guardano sempre meno, o alla politica, che detestano sempre di più. Il cemento che li compatta è l'interesse materiale. La pagnotta. La domenica libera. Lo stipendio modesto ma sicuro. La paura che la routine quotidiana si trasformi in una giungla. La sensazione di essere «figli di un dio minore», e cioè vittime di un complotto ordito da poteri arroganti e incapaci. Di fronte a sentimenti così concreti e sinceri le ideologie del passato si riducono a pretesto iconografico. Tessere del vecchio Pei e magliette con la faccia di Fini; lo striscione dei rifondaroli e quello dove komunista è scritto ancora con la kappa; battute di Nanni Moretti e lugubri pupazzi impiccati a un'asta; il federale romano Teodoro Buontempo che abbraccia il capo della rivolta - il compagno Spartacus armato di elmo e gladio - e dice: «Lo so che era un comunista, e allora?». L E allora niente. Nelle tribù dei nuovi arrabbiati, l'unità di intenti ignora le vecchie barriere e ne crea di nuove contro il futuro, che per qualche bizzarro scherzo della Storia è oggi incarnato dalla sinistra snob dei Rutelli e dei Tocci, con la loro smania - condivisibile e vana - di adeguare Roma a New York. Fa effetto vedere le copie del «Secolo d'Italia» mescolarsi a quelle di «Liberazione», in questa che sembra la prima prova di piazza della opposizione sociale al governo D'A- lema. Ma è un'interpretazione troppo di testa o, se volete, di cuore. Mentre il corteo dei tassinari è assolutamente di fegato. Non il solito rito sindacalizzato a metà fra la protesta e la gita. Queste sono facce piene di bile, che non si illudono, non si sacrificano, non si accontentano. Seimila, o giù di lì. Ci sembrano ancora pochi, ma è un doppio errore. Perché i tassinari che bivaccano sotto le finestre del sindaco hanno un potenziale di fuoco spaventoso. Con dieci corse a ti testa possono raggiungere ogni giorno sessantamila persone, alle quali raccontare per sessantamila volte che «Rutelli ce mandasse su raqje a lavora», che «se Tocci è un assessore, il Titanic era un pattino» e che alla vigilia del Giubileo «gli ultimi cristi der millennio senio noi: dopo arriva Allah, o al limite Maometto». Più che gli ultimi cristi, sono i barbieri del nostro tempo. Scarrozzano la classe dirigente del Paese da un albergo all'aeroporto, ne raccattano e travisano gli umori. E li invadono con i loro comizi ai quali nessuno può scappare se non a rischio della vita (siete mai scesi da un taxi in corsa?) né togliere il volume, dato che i tassinari non hanno la consegna del silenzio durante la guida come i conducenti degli autobus. Un'altra avanguardia di nuovi arrabbiati ai quali Rutelli con singolare tempismo ha appena dichiarato guerra. Farseli nemici è pericoloso Un italiano antico come Andreotti lo sapeva bene. Infatti lui i tassinari se li filava persino nei film (di Alberto Sordi, naturalmente). Sarà per questo che anche Forza Italia, in teoria liberista, sostiene la loro lotta, in teoria antiliberista. In pratica per la pagnotta. Massimo Gramellini Si ritrovano a protestare insieme simpatizzanti di Alleanza nazionale e di Rifondazione comunista A destra Carlo Bologna, leader dei tassisti

Persone citate: Alberto Sordi, Andreotti, Fini, Massimo Gramellini, Nanni Moretti, Rutelli, Teodoro Buontempo, Tocci

Luoghi citati: Italia, New York, Roma