Mila, lettere dal carcere
Mila, lettere dal carcere Aperte a Torino le celebrazioni per il decennale della morte con l'annuncio di un libro drammatico Mila, lettere dal carcere Da Regina Coeli alla madre, fra il 35 e il '40 NTORINO EL soggiorno di Anna Mila, fra i quadri di Sturarli, le cartoline illu—I strate di Casorati e le incisioni di Dùrer, c'è un tavolo basso con il ripiano di vetro, lungo un metro e mezzo per uno e venti, interamente coperto di libri. Su ognuno la stessa firma, Massimo Mila. «Ma sono appena una parte - avverte la vedova del musicologo -. Sono soltanto quelli usciti dopo, negli ultimi anni». Mila è morto il 26 dicembre 1988, già con un grosso patrimonio di pubblicazioni alle spalle; e da allora le uscite editoriali non hanno fatto altro che moltiplicarsi. Quanti sono oggi i libri di Mila? Domanda difficile, alla quale nemmeno la custode delle memorie sa risponderò con sicurezza. Preferisce schermirsi dietro la battuta di Leporello, nel Don Giovanni di Mozart: «Il catalogo è questo. In Spagna son già 1003». Perché il numero 1003 le piace: «E' un numero metafisico, un numero dispari, ancora in movimento». E perché, riconosce, Massimo Mila nel personaggio di Don Giovanni si identificava. Solo per il gusto del catalogo? «Non solo. Vedeva in lui il libero pensiero; oltre certe doti di seduzione, magari autoironizzate». E magari no? La domanda aleggia nell'aria, non pronunciata. Anna Giubertoni Mila, docente universitaria di letteratura tedesca, preferisce parlare delle lettere che continua a ricevere, dall'Italia e dall'estero, sull'opera del marito. Chi scrive? «Il mondo della cultura, fuori dall'Università». Dice «fuori dall'Università» sottolineando le parole. Scrivono storici, musicologici, cultori di Mila, da Londra, da Berlino. Il suo libro su Bruno Maderna - unico esistente al mondo - dovrebbe essere tradotto ora in Germania. E Pierre Boulez dalla Frància ha promesso un saggio su Mila per la nuova edizione de L'esperienza musicale e l'estetica, che dovrebbe uscire da Einaudi. Sugli Scritti civili del musicologo sono arrivate lettere di Scalfaro, di Nilde lotti, di storici e politici italiani. E i nemici di Mila? Non ce ne sono più? Ci sono, ci sono, s'intuisce dall'esitazione nella risposta. «Non hanno volto, preferisco non ricordarli. Ho tante cose da tenere a mente, devo fare una selezione; non vale la pena di perderci tempo». Ma un nemico ben individuabile esiste, anche se non ha un nome e un cognome, legàbile a questo o quello. «C'è un clima, questo sì preoccupante, che fa prevalere il tecnicismo sul fatto culturale come interessava a Mila. Ci si concentra su un microsettore e poi non si conosce Goethe». Anche nella musica? «Soprattutto nella musica. Mila era un umanista, aveva pensato ed elaborato un'intera cultura. Di tutto ciò non è rimasto niente. C'è un brutto clima di parricidio, anche se non bisogna generalizzare, sarebbe iniquo. I topi cercano di far affondare la barca e scappano. Ma la barca di Mila veleggia, si sono sbagliati. Mila è vivo, vivissimo e ha un grosso futuro ancora». Un presente lo ha di certo, di fronte a questo tavolo carico di libri che l'autore non è riuscito a vedere. «Quelli che abbiamo fatto in questi anni sono altrettanti figli», dice con orgoglio Anna Mila. «Con Einaudi ne abbiamo fatti venire al mondo parecchi». Cita il Dufay, la grande scoperta del critico, che in Italia nessuno conosceva ed era rimasto affidato alle dispense universitarie; il WagnerBrahms; Il flauto magico; gli Scritti di montagna. Senza di¬ menticare le traduzioni, come lo splendido Ragno nero di Jeremias Gotthelf apparso due anni fa da Adelphi, ignorato fino allora da tutti i lettori. E, fra i tanti figli, ce n'è uno concepito appena tre settimane fa a Fiesole, durante un convegno su Luigi Nono. «Io ero andata per parlare sulle lettere fra Nono e Mila e, e sull'istante, la vedova di Nono, Nuria Schònberg, ha deciso che si doveva pubblicare l'intero epistolario». Ma il libro più importante, previsto da Einaudi per l'inizio del '99, è quello che conterrà le lettere di Mila da Regina Coeli, dove il giovane ribelle di Giustizia e Libertà fu detenuto per cinque anni, dal '35 al '40. «Aveva chiesto di scrivere a Pavese e Sturani, gli fu negato il permesso; ho trovato io la richiesta e la risposta all'Archivio di Stato. Così abbiamo perso cinque anni di una corrispondenza che poteva essere straordinaria». Dal carcere il venticinquenne Mila poteva scrivere solo alla mam- ma, una volta la settimana. Costretto ad autocensurarsi, non esprimeva giudizi politici; non faceva cenno neppure alle difficili condizioni personali. Ma quelle lettere sulle quali ogni tanto il censore stendeva una riga nera, dicono assai più di quanto i suoi carcerieri pensassero. E soprattutto sarebbero state molto utili all'autore dopo. Poiché quella era la sola occasione in cui il detenuto disponeva di penna e carta, Mila se ne servì per trasmettere le note delle sue letture, gli appunti per i futuri saggi, scritti a margine. Anna Mila ci mostra gli originali, nella grafia quasi elementare che Mila mantenne per tutta la vita, le lettere ben arrotondate. L'esperienza musicale e l'estetica, che nel 1950 avrebbe vinto il Premio Viareggio, era già tutta lì. E ci son tante altre carte che la signora Mila sa di poter ancora giocare. In Italia son più di 1003. Giorgio Calcagno «Il mondo oggi non gli piacerebbe: è scomparsa la cultura che lui aveva elaborato» Ma aumenta l'interesse per la sua opera Boulez gli dedica un saggio in Francia Massimo Mila nello studio di casa In alto la moglie Maria Giubertoni A sinistra Cesare Pavese al quale Mila avrebbe voluto scrivere dal carcere ma non ebbe il permesso
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